Interpretazione delle prove di laboratorio della funzione epatica

  1. Un Medico per Tutti
  2. Gastroenterologia
  3. Prove di laboratorio della funzione epatica
  4. Aumento transaminasi
  5. Aumento della bilirubina
  6. Il protidogramma
  7. Colestasi
  8. Cause di colestasi

Come studiare il fegato e capire quando un individuo ha problemi di insufficienza epatica oppure è affetto da epatopatie acute o croniche?

Qual'è il ruolo delle transaminasi?

Questi enzimi che vagano nel circolo sanguigno quando il fegato è affetto da patologie e l'epatocita, unità funzionale del fegato, distruggendosi le libera nel sangue. E come capire se un fegato produce a sufficienza le proteine di cui ha bisogno l'organismo? Per capire ed interpretare la funzione epatica occorre riconoscere i segni, come appresso spiegato.  In sostanza, se ho  transaminasi in circolo vorrà dire che il fegato è danneggiato; se esse sono X3 o X 4 rispetto alla norma, vuol dire che il danno è lento e graduale nel tempo; se vi è un'impennata, allora siamo di fronte ad un'epatite acuta. Se non vi è protrombina, significa che il fegato non lavora e non la produce, e cosi via. Le prove di laboratorio hanno un ruolo importante nella diagnosi delle malattie del fegato e nella valutazione della loro natura e della loro estensione. Non esiste un'unica prova specifica valida al riconoscimento di un danno epatico. Pur tuttavia l'associazione di più prove esploranti differenti aspetti funzionali epatici, eseguite in serie nel tempo e correttamente collocate nel contesto del quadro clinico del paziente, è utile a stabilire diagnosi e prognosi e a seguire il decorso del danno epatico. Le prove di funzione epatica più utili possono essere raggruppate in tre categorie.

1) Prove di danno epatocellulare.
2) Prove della funzione di sintesi del fegato.
3) Prove per il riconoscimento della colestasi intra- ed extraepatica e dei processi infiltrativi del fegato.
 

Aminotrasferasi (transaminasi) sieriche

Le aminotrasferasi costituiscono un gruppo di enzimi che catalizzano il trasferimento di un gruppo aminico (-NH2) da un α-aminoacido a un α-chetoacido. Le due aminotrasferasi più frequentemente misurate nello studio delle epatopatie sono l’aspartato-aminotrasferasi (AST) o transaminasi glutammico-ossalacetica (GOT) e Valanina-aminotrasferasi (AGT) o transaminasi glutammico-piruvica (GPT). Entrambi questi enzimi sono presenti nel siero in condizioni normali; i valori di riferimento non superano le 40 unità. Quando un tessuto ricco in aminotrasferasi è danneggiato o distrutto, gli enzimi sono liberali in circolo. L'incremento delle attività enzimatiche nel siero traduce la velocità relativa con la quale gli enzimi entrano nel circolo o ne escono. fegato Le aminotrasferasi del siero sono indici sensibili di danno epatocellulare. AST è un enzima citosolico, mentre ALT è un enzima microsomiale. L'attività di questi enzimi è aumentata in qualsiasi forma di danno epatocellulare, comprese le epatiti virali, tossiche e da farmaci, il carcinoma metastatico del fegato, il fegato da stasi in corso di insufficienza cardiaca, le epatiti granulomatose e l'epatopatia etilica. Una risalita dei livelli sierici delle aminotrasferasi oppure un loro persistente aumento indica di solito una ripresa del processo infiammatorio o necrotico del fegato. Perciò, la misura in serie nel tempo di questi parametri rappresenta un valido indice dell'at-tività clinica del danno epatico. In presenza di ittero il rilievo di valori di aminotrasferasi sieriche superiori a 300-400 unità indica, di solito, un danno epatocellulare acuto. In genere l'ostruzione biliare extraepatica non dà luogo ad aumento delle aminotrasferasi. Valori inferiori a 300unità in un paziente itterico non hanno valore diagnostico, perché si possono osservare sia in condizioni acute e croniche di danno epatocellulare che nell'Utero ostruttivo. L'aumento più cospicuo di questi enzimi (oltre 1000 unità) si osserva nell'epatite virale, nel danno epatico acuto di natura tossica o farmacologica e in corso di prolungata ipotensione. Il rapporto AST/ALT è utile per riconoscere una epatopatia etilica; infatti in questa circostanza il rapporto è superiore a 2 a causa della bassa attività della ALT nel citosol degli epatociti e nel siero di questi malati. L'entità dell'aumento delle aminotrasferasi sieriche ha scarso valore prognostico. Infatti si può osservare una rapida guarigione in casi di epatite o di danno epatocellulare da shock anche con valori superiori a 3.000 unità. Al contrario, nella maggioranza dei pazienti con cirrosi e in quelli con insufficienza epatica terminale i valori delle aminotrasferasi sono inferiori a 300 unità. L'aumento delle aminotrasferasi del siero non è specifico solo delle malattie del fegato, poiché possono essere elevate anche in condizioni patologiche del miocardio e del muscolo scheletrico. Nelle malattie muscolari l'elevazione della concentrazione sierica delle aminotrasferasi non va oltre le 300 unità. Tuttavia, quando il danno muscolare è grave, sono aumentati anche altri enzimi, come l'aldolasi e la creatinfo-sfochinasi (CPK).

Proteine sieriche

Il fegato è la sede di origine più importante delle proteine del siero. Le cellule parenchimali epatiche sintetizzano, infatti, albumina, fibrinogeno e altri fattori della coagulazione, plasminogeno, transferrina, ceruloplasmina, aptoglobina e beta-globuline; invece le gamma globuline non sono sintetizzate dal fegato, ma dai linfociti e dalle plasmacellule. La misura della concentrazione sierica delle proteine è eseguita con vari metodi di laboratorio. I più utili sono i metodi di salatura frazionata con solfato di ammonio e i metodi di separazione elettroforetica. I metodi di salatura, che sono adoperati in molti sistemi automatici, separano e misurano albumina e globuline; i metodi elettroforetici separano e misurano albumina e globuline alfa,, alfa2, beta e gamma. Con i metodi di salatura si ottengono valori albuminemici più alti che non con l'elettroforesi. I metodi elettroforetici consentono un più spinto frazionamento delle sieroproteine in rapporto alla diversa velocità di migrazione di queste in un campo elettrico In gran parte delle epatopatie è presente, di solito, una diminuzione della concentra­zione sierica dell'albumina e delle altre proteine sintetizzate dal fegato e un aumento delle globuline. L'entità dell'alterazione del quadro sieroproteico è in rapporto con gravità, estensione e durata del danno epatico. L'albumina ha un'emivita relativamente lunga (ti/2 = 21 giorni); pertanto la sua concentrazione nel siero può non modificarsi in corso di epatopatia acuta. L'iperglobulinemia, prevalentemente dovuta ad aumento delle gamma globuline, che si osserva in molte malattie del fegato è in relazione alla diminuita capacità delle cellule epatiche di filtrare gli antigeni. Il rilievo di un'albuminemia inferiore a 3g/dL (valori normali di riferimento: 3,5-5 g/dL) e di una globulinemia superiore a 4g/dL (valori normali di riferimento: 2-3,5 g/dL) depone, di solito, per un'epatopatia cronica e progressiva. Ipoalbuminemia e iperglobulinemia sono caratteristiche della cirrosi epatica e tendono a essere più marcate che non nelle epatopatie acute. Tuttavia nella cirrosi "compensata" si può osservare albuminemia normale in presenza di ipergammaglobulinemia policlonale. Nei pazienti con cirrosi epatica da deficit di alfa1-antitripsina si può osservare diminuzione o assenza di alfa1 globuline. I ragguagli ottenibili con il frazionamento delle sieroproteine sono utili per stabilire l'entità del danno epatocellulare e la relativa prognosi. In un paziente con cirrosi epatica l'incremento dell'albuminemia di 2-3g/dL verso i valori normali, in corso di trattamento, riflette un miglioramento della funzione epatica e una prognosi mi­gliore, che non l'assenza di questo aumento malgrado la terapia. Si deve, peraltro, ricordare che la misura della protidemia ha un limitato valore clinico e per molti motivi; non si tratta, infatti, di un indice molto sensibile di danno epatico ed è di scarsa utilità nella diagnosi differenziale; inoltre anche in altre condizioni patologiche non epatiche si possono avere valori anormali.

Tempo di protrombina (TP)

Il fegato sintetizza tutti i fattori della coagulazione tranne che il fattore VIII ed è coinvolto nella clearance di questi fattori e nel proces­so di dissoluzione del coagulo formatosi. La misura dell'attività di parecchi fattori della coagulazione è utile nella valutazione della funzione epatica. La misura del TP con il metodo in unica fase ("one stage") fornisce ragguagli sull'attività della protrombina, del fibrinogeno e dei fattori V, VII e IX, attività che è in rapporto sia alla sintesi epatica che alla disponibilità di vitamina K. Il prolungamento del TP (valori normali 11,5-12,5 secondi) di 2 secondi o più è considerato anormale. II prolungamento del TP non è specifico delle malattie del fegato. Infatti esso può verificarsi in condizioni di deficit congenito di fattori della coagulazione o di consu­mo di questi fattori (come nella coagulazione intravascolare disseminata, che, peral­tro, può complicare alcune epatopatie) e in conseguenza dell'assunzione di alcuni farmaci che influenzano la cascata coagulativa. Inoltre il TP è prolungato nell'ipo-vitaminosi K dovuta a ittero ostruttivo, a steatorrea, a prolungata carenza alimentare o ad assunzione di antibiotici che alterano la flora batterica intestinale e, infine, in condizioni di ridotta utilizzazione della vitamina K come accade nel danno parenchimale epatico. La somministrazione per via parenterale di vitamina K (10 mg) normalizza il TP entro 24 ore nella maggioranza dei pazienti, tranne che in quelli con alterazioni parenchimali del fegato. Anche se il TP non è un indice sensibile di malattia epatica, pur tuttavia esso ha un grande valore prognostico, specialmente nel danno epatocellulare acuto. Il prolungamento del TP oltre 5-6 secondi preannuncia la necrosi epatocellulare fulminante. Nell'epatopatia etilica, come anche in altre condizioni di danno epatocellulare cronico, il prolungamento del TP di oltre 4-5 secondi, che non risponde alla somministrazione di vitamina K per via parenterale, ha uno sfavorevole significato prognostico a lungo termine.

Fosfatasi alcalina del siero

Le fosfatasi alcaline sono enzimi che catalizzano l'idrolisi degli esteri fosforici organici a pH alcalino e che si trovano in molti tessuti. L'enzima che si rinviene nel siero deriva principalmente da tre fonti. 1) Il sistema epatobiliare: superficie dell'epatocito sul versante del canalicolo biliare ed epitelio biliare. 2) Sistema osseo: osteoblasti. 3) Intestino: orletto a spazzola delle cellule della mucosa intestinale (10% della quantità totale dell'enzima presente nel siero). La fosfatasi alcalina ha un'emivita nell'organismo di circa 7 giorni. Nelle età comprese tra 18 e 60 anni la fosfatasi alcalina è più elevata nell'uomo che nella donna (valori normali nell'adulto: M = 62-176 U/L; F = 56-155 U/L); inoltre, è più elevata nei bambini rispetto agli adulti in rapporto all'accrescimento osseo e all'attività osteoblastica. Durante la gravidanza la fosfatasi placentare può determinare il raddoppio della concentrazione sierica dell'enzima, specialmente nel terzo trimestre di gestazione.  Le cause di una iperfosfatasemia alcalina si possono rinvenire nel sistema epatobiliare, nel tessuto osseo e, a volte, nel tenue e nel rene. Per stabilire l'origine dell'aumento dell'enzima si possono seguire vari metodi. La separazione elettroforetica dei diversi isoenzimi è ancora in fase sperimentale; pertanto ci si riferisce al differente comportamento al calore; infatti la stabilità a 56 °C per 15 minuti diminuisce nel seguente ordine: placenta, fegato, osso. Purtroppo vi è ancora sovrapposizione di risultati che rende questa prova non del tutto attendibile.  Il criterio preferibilmente seguito per differenziare l'isoenzima di origine epatobiliare dagli altri è quello di misurare l'attività di altri enzimi simili che sono aumentati in caso di danno epatico, come 5'-nucleotidasi, gamma glutamiltrasferasi (GGT) e leucino-aminopeptidasi. Senonché il mancato aumento di questi enzimi quando è aumentata la fosfatasi alcalina non esclude la presenza di danno epatico, non essendo di necessità parallelo il comportamento di questi parametri biochimici. La sintesi e l'immissione in circolo della fosfatasi alcalina epatobiliare sembra mediato dagli acidi biliari. Nella colestasi intra- ed extraepatica l'aumento della fosfatasi alcalina precede la comparsa di ittero. I valori dell'enzima possono superare da 3 a 10 volte quelli normali, mentre l'aumento delle aminotrasferasi è minimo. Nelle malattie che interessano primariamente il parenchima epatico, come la cirrosi e le epatiti, la fosfatasi alcalina può non aumentare o aumentare di poco, mentre le aminotrasferasi aumentano notevolmente. L'incremento di 2-10 volte i valori normali della fosfatasemia alcalina è anche utile nella diagnosi precoce di processi infiltrativi del fegato, compresi le epatiti granulo-matose (tubercolare, sarcoidosica, micotica), i tumori primitivi o metastatici e gli ascessi del fegato. Pertanto l'utilità della misura della fosfatasi alcalina del siero risiede nella differenziazione del danno epatico epatocellulare da quello colestatico, come nell'ostruzione intra- o extraepatica delle vie biliari da calcoli, neoplasie, stenosi, granulomi.

5'-nucleotidasi.

Questo enzima è un'altra fosfatasi localizzata essenzialmente nei canalicoli biliari e nella membrana dei sinusoidi epatici. I valori sierici (di norma 0,3-3,2 unità Bodansky) sono aumentati in condizioni di danno epatobiliare, con un comportamento analogo a quello della fosfatasi alcalina; questo parametro è specifico per le malattie epatiche e non è influenzato da razza e sesso, ma lo è dall'età, raggiungendo un plateau di valori massimi normali dopo i 50 anni; non aumenta, peraltro, durante la gravidanza e nelle osteopatie.
 Le misure della 5-nucleotidasi e della fosfatasi alcalina sono utili nella diagnosi di colestasi o di lesioni infiltrative od occupanti spazio del fegato. Anche se la correlazione tra i due enzimi è notevole, pur tuttavia i loro valori possono non variare parallelamente nel singolo paziente, ma ben raramente la 5 ' nucleotidasi è normale quando l'isoenzima epatico della fosfatasi alcalina è aumentato.

Leucino-aminopeptidasi

Questa proteasi è stata rinvenuta in tutti i tessuti dell'uomo, ma soprattutto nel fegato e nell'epitelio delle vie biliari. Non è aumentata nelle osteopatie e i suoi valori non si modificano con l'età. Tuttavia nella gravidanza il suo livello sierico aumenta progressivamente fino a raggiungere valori massimi al termine della gestazione.
 La misura della leucino-aminopeptidasi (valori normali: 50-220 U/L) è un indice sensibile almeno quanto quella della fosfatasi alcalina e della 5 '-nucleotidasi nella diagnosi di colestasi e di lesioni infiltrative od occupanti spazio del fegato. È controversa la sua specificità in questi disturbi nei confronti delle epatopatie parenchimali. Tuttavia, valori superiori a 450 unità ben raramente si osservano nel danno epato-cellulare come quello della cirrosi o delle epatiti.

Gamma-glutamiltrasferasi (GGT) (o gamma-glutamiltranspeptidasi)

Questo enzima si ritrova soprattutto nel fegato, nel pancreas e nel rene; i valori sierici sono sovrapponibili nei due sessi al di là dei 4 anni di età e non aumentano in gravidanza e nelle osteopatie (valori normali: 4-60 U/L). Elevati valori sierici di GGT si osservano nelle malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas. L'entità dell'aumento è sovrapponibile nelle varie epatopatie ed ha un limitato valore nella diagnosi delle sindromi itteriche. La GGT sierica è anche aumentata nei soggetti che ingeriscono grandi quantità di etanolo o che fanno uso di barbiturici o di fenitoina. I livelli sierici di GGT diminuiscono dopo assunzione di ormoni sessuali femminili, ivi compresi i contraccettivi.
 

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