Interpretazione delle prove di laboratorio della funzione epatica
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Come studiare il fegato e capire quando un individuo ha problemi di insufficienza epatica oppure è affetto da epatopatie acute o croniche?
Qual'è
il ruolo delle transaminasi?
Questi enzimi che
vagano nel circolo sanguigno quando il fegato è affetto da patologie e l'epatocita,
unità funzionale del fegato, distruggendosi le libera nel sangue. E come capire
se un fegato produce a sufficienza le proteine di cui ha bisogno l'organismo? Per
capire ed interpretare la funzione epatica occorre riconoscere i segni, come appresso
spiegato. In sostanza, se ho transaminasi in circolo vorrà dire che
il fegato è danneggiato; se esse sono X3 o X 4 rispetto alla norma, vuol dire che
il danno è lento e graduale nel tempo; se vi è un'impennata, allora siamo di fronte
ad un'epatite acuta. Se non vi è protrombina, significa che il fegato non lavora
e non la produce, e cosi via. Le prove di laboratorio hanno un ruolo
importante nella diagnosi delle malattie del fegato e nella valutazione della loro
natura e della loro estensione. Non esiste un'unica prova specifica valida al riconoscimento
di un danno epatico. Pur tuttavia l'associazione di più prove esploranti differenti
aspetti funzionali epatici, eseguite in serie nel tempo e correttamente collocate
nel contesto del quadro clinico del paziente, è utile a stabilire diagnosi e prognosi
e a seguire il decorso del danno epatico. Le prove di funzione epatica più utili
possono essere raggruppate in tre categorie.
1) Prove di danno epatocellulare.
2) Prove della funzione di sintesi del fegato.
3) Prove per il riconoscimento della colestasi intra- ed extraepatica e dei processi
infiltrativi del fegato.
Aminotrasferasi (transaminasi) sieriche
Le aminotrasferasi costituiscono un gruppo di enzimi che catalizzano il trasferimento di un gruppo aminico (-NH2) da un α-aminoacido a un
α-chetoacido. Le due aminotrasferasi più frequentemente misurate nello studio delle
epatopatie sono l’aspartato-aminotrasferasi (AST) o transaminasi glutammico-ossalacetica
(GOT) e Valanina-aminotrasferasi (AGT) o transaminasi glutammico-piruvica (GPT).
Entrambi questi enzimi sono presenti nel siero in condizioni normali; i valori di
riferimento non superano le 40 unità. Quando un tessuto ricco in aminotrasferasi
è danneggiato o distrutto, gli enzimi sono liberali in circolo. L'incremento delle
attività enzimatiche nel siero traduce la velocità relativa con la quale gli enzimi
entrano nel circolo o ne escono.
Le aminotrasferasi del siero sono indici
sensibili di danno epatocellulare. AST è un enzima citosolico, mentre ALT è un enzima
microsomiale. L'attività di questi enzimi è aumentata in qualsiasi forma di danno
epatocellulare, comprese le epatiti virali, tossiche e da farmaci, il carcinoma
metastatico del fegato, il fegato da stasi in corso di insufficienza cardiaca, le
epatiti granulomatose e l'epatopatia etilica. Una risalita dei livelli sierici delle
aminotrasferasi oppure un loro persistente aumento indica di solito una ripresa
del processo infiammatorio o necrotico del fegato. Perciò, la misura in serie nel
tempo di questi parametri rappresenta un valido indice dell'at-tività clinica del
danno epatico. In presenza di ittero il rilievo di valori di aminotrasferasi sieriche
superiori a 300-400 unità indica, di solito, un danno epatocellulare acuto. In genere
l'ostruzione biliare extraepatica non dà luogo ad aumento delle aminotrasferasi.
Valori inferiori a 300unità in un paziente itterico non hanno valore diagnostico,
perché si possono osservare sia in condizioni acute e croniche di danno epatocellulare
che nell'Utero ostruttivo. L'aumento più cospicuo di questi enzimi (oltre 1000 unità)
si osserva nell'epatite virale, nel danno epatico acuto di natura tossica o farmacologica
e in corso di prolungata ipotensione. Il rapporto AST/ALT è utile per riconoscere
una epatopatia etilica; infatti in questa circostanza il rapporto è superiore a
2 a causa della bassa attività della ALT nel citosol degli epatociti e nel siero
di questi malati. L'entità dell'aumento delle aminotrasferasi sieriche ha scarso
valore prognostico. Infatti si può osservare una rapida guarigione in casi di epatite
o di danno epatocellulare da shock anche con valori superiori a 3.000 unità. Al
contrario, nella maggioranza dei pazienti con cirrosi e in quelli con insufficienza
epatica terminale i valori delle aminotrasferasi sono inferiori a 300 unità. L'aumento
delle aminotrasferasi del siero non è specifico solo delle malattie del fegato,
poiché possono essere elevate anche in condizioni patologiche del miocardio e del
muscolo scheletrico. Nelle malattie muscolari l'elevazione della concentrazione
sierica delle aminotrasferasi non va oltre le 300 unità. Tuttavia, quando il danno
muscolare è grave, sono aumentati anche altri enzimi, come l'aldolasi e la creatinfo-sfochinasi
(CPK).
Proteine sieriche
Il fegato è la sede di origine più importante delle proteine del siero. Le cellule parenchimali epatiche sintetizzano, infatti, albumina, fibrinogeno e altri fattori
della coagulazione, plasminogeno, transferrina, ceruloplasmina, aptoglobina e beta-globuline;
invece le gamma globuline non sono sintetizzate dal fegato, ma dai linfociti e dalle
plasmacellule. La misura della concentrazione sierica delle proteine è eseguita
con vari metodi di laboratorio. I più utili sono i metodi di salatura frazionata
con solfato di ammonio e i metodi di separazione elettroforetica. I metodi di salatura,
che sono adoperati in molti sistemi automatici, separano e misurano albumina e globuline;
i metodi elettroforetici separano e misurano albumina e globuline alfa,, alfa2,
beta e gamma. Con i metodi di salatura si ottengono valori albuminemici più alti
che non con l'elettroforesi. I metodi elettroforetici consentono un più spinto frazionamento
delle sieroproteine in rapporto alla diversa velocità di migrazione di queste in
un campo elettrico In gran parte delle epatopatie è presente, di solito, una diminuzione
della concentrazione sierica dell'albumina e delle altre proteine sintetizzate
dal fegato e un aumento delle globuline. L'entità dell'alterazione del quadro sieroproteico
è in rapporto con gravità, estensione e durata del danno epatico. L'albumina ha
un'emivita relativamente lunga (ti/2 = 21 giorni); pertanto la sua concentrazione
nel siero può non modificarsi in corso di epatopatia acuta. L'iperglobulinemia,
prevalentemente dovuta ad aumento delle gamma globuline, che si osserva in molte
malattie del fegato è in relazione alla diminuita capacità delle cellule epatiche
di filtrare gli antigeni. Il rilievo di un'albuminemia inferiore a 3g/dL (valori
normali di riferimento: 3,5-5 g/dL) e di una globulinemia superiore a 4g/dL (valori
normali di riferimento: 2-3,5 g/dL) depone, di solito, per un'epatopatia cronica
e progressiva. Ipoalbuminemia e iperglobulinemia sono caratteristiche della cirrosi
epatica e tendono a essere più marcate che non nelle epatopatie acute. Tuttavia
nella cirrosi "compensata" si può osservare albuminemia normale in presenza di ipergammaglobulinemia
policlonale. Nei pazienti con cirrosi epatica da deficit di alfa1-antitripsina si
può osservare diminuzione o assenza di alfa1 globuline. I ragguagli ottenibili con
il frazionamento delle sieroproteine sono utili per stabilire l'entità del danno
epatocellulare e la relativa prognosi. In un paziente con cirrosi epatica l'incremento
dell'albuminemia di 2-3g/dL verso i valori normali, in corso di trattamento, riflette
un miglioramento della funzione epatica e una prognosi migliore, che non l'assenza
di questo aumento malgrado la terapia. Si deve, peraltro, ricordare che la misura
della protidemia ha un limitato valore clinico e per molti motivi; non si tratta,
infatti, di un indice molto sensibile di danno epatico ed è di scarsa utilità nella
diagnosi differenziale; inoltre anche in altre condizioni patologiche non epatiche
si possono avere valori anormali.
Tempo di protrombina (TP)
Il fegato sintetizza tutti i fattori della coagulazione tranne che il fattore VIII ed è coinvolto nella clearance di questi fattori e nel processo di dissoluzione
del coagulo formatosi. La misura dell'attività di parecchi fattori della coagulazione
è utile nella valutazione della funzione epatica. La misura del TP con il metodo
in unica fase ("one stage") fornisce ragguagli sull'attività della protrombina,
del fibrinogeno e dei fattori V, VII e IX, attività che è in rapporto sia alla sintesi
epatica che alla disponibilità di vitamina K. Il prolungamento del TP (valori normali
11,5-12,5 secondi) di 2 secondi o più è considerato anormale. II prolungamento del
TP non è specifico delle malattie del fegato. Infatti esso può verificarsi in condizioni
di deficit congenito di fattori della coagulazione o di consumo di questi fattori
(come nella coagulazione intravascolare disseminata, che, peraltro, può complicare
alcune epatopatie) e in conseguenza dell'assunzione di alcuni farmaci che influenzano
la cascata coagulativa. Inoltre il TP è prolungato nell'ipo-vitaminosi K dovuta
a ittero ostruttivo, a steatorrea, a prolungata carenza alimentare o ad assunzione
di antibiotici che alterano la flora batterica intestinale e, infine, in condizioni
di ridotta utilizzazione della vitamina K come accade nel danno parenchimale epatico.
La somministrazione per via parenterale di vitamina K (10 mg) normalizza il TP entro
24 ore nella maggioranza dei pazienti, tranne che in quelli con alterazioni parenchimali
del fegato. Anche se il TP non è un indice sensibile di malattia epatica, pur tuttavia
esso ha un grande valore prognostico, specialmente nel danno epatocellulare acuto.
Il prolungamento del TP oltre 5-6 secondi preannuncia la necrosi epatocellulare
fulminante. Nell'epatopatia etilica, come anche in altre condizioni di danno epatocellulare
cronico, il prolungamento del TP di oltre 4-5 secondi, che non risponde alla somministrazione
di vitamina K per via parenterale, ha uno sfavorevole significato prognostico a
lungo termine.
Fosfatasi alcalina del siero
Le fosfatasi alcaline sono enzimi che catalizzano l'idrolisi degli esteri fosforici
organici a pH alcalino e che si trovano in molti tessuti. L'enzima che si rinviene
nel siero deriva principalmente da tre fonti. 1) Il sistema epatobiliare: superficie
dell'epatocito sul versante del canalicolo biliare ed epitelio biliare.
2) Sistema osseo: osteoblasti.
3) Intestino: orletto a spazzola delle cellule della mucosa intestinale (10% della
quantità totale dell'enzima presente nel siero). La fosfatasi alcalina ha un'emivita
nell'organismo di circa 7 giorni.
Nelle età comprese tra 18 e 60 anni la fosfatasi alcalina è più elevata nell'uomo
che nella donna (valori normali nell'adulto: M = 62-176 U/L; F = 56-155 U/L); inoltre,
è più elevata nei bambini rispetto agli adulti in rapporto all'accrescimento osseo
e all'attività osteoblastica. Durante la gravidanza la fosfatasi placentare può
determinare il raddoppio della concentrazione sierica dell'enzima, specialmente
nel terzo trimestre di gestazione. Le cause di una iperfosfatasemia alcalina
si possono rinvenire nel sistema epatobiliare, nel tessuto osseo e, a volte, nel
tenue e nel rene. Per stabilire l'origine dell'aumento dell'enzima si possono seguire
vari metodi. La separazione elettroforetica dei diversi isoenzimi è ancora in fase
sperimentale; pertanto ci si riferisce al differente comportamento al calore; infatti
la stabilità a 56 °C per 15 minuti diminuisce nel seguente ordine: placenta, fegato,
osso. Purtroppo vi è ancora sovrapposizione di risultati che rende questa prova
non del tutto attendibile. Il criterio preferibilmente seguito per differenziare
l'isoenzima di origine epatobiliare dagli altri è quello di misurare l'attività
di altri enzimi simili che sono aumentati in caso di danno epatico, come 5'-nucleotidasi,
gamma glutamiltrasferasi (GGT) e leucino-aminopeptidasi. Senonché il mancato aumento
di questi enzimi quando è aumentata la fosfatasi alcalina non esclude la presenza
di danno epatico, non essendo di necessità parallelo il comportamento di questi
parametri biochimici. La sintesi e l'immissione in circolo della fosfatasi alcalina
epatobiliare sembra mediato dagli acidi biliari. Nella colestasi intra- ed extraepatica
l'aumento della fosfatasi alcalina precede la comparsa di ittero. I valori dell'enzima
possono superare da 3 a 10 volte quelli normali, mentre l'aumento delle aminotrasferasi
è minimo. Nelle malattie che interessano primariamente il parenchima epatico, come
la cirrosi e le epatiti, la fosfatasi alcalina può non aumentare o aumentare di
poco, mentre le aminotrasferasi aumentano notevolmente. L'incremento di 2-10 volte
i valori normali della fosfatasemia alcalina è anche utile nella diagnosi precoce
di processi infiltrativi del fegato, compresi le epatiti granulo-matose (tubercolare,
sarcoidosica, micotica), i tumori primitivi o metastatici e gli ascessi del fegato.
Pertanto l'utilità della misura della fosfatasi alcalina del siero risiede nella
differenziazione del danno epatico epatocellulare da quello colestatico, come nell'ostruzione
intra- o extraepatica delle vie biliari da calcoli, neoplasie, stenosi, granulomi.
5'-nucleotidasi.
Questo enzima è un'altra fosfatasi localizzata essenzialmente nei canalicoli biliari e nella membrana dei sinusoidi epatici. I valori sierici
(di norma 0,3-3,2 unità Bodansky) sono aumentati in condizioni di danno epatobiliare,
con un comportamento analogo a quello della fosfatasi alcalina; questo parametro
è specifico per le malattie epatiche e non è influenzato da razza e sesso, ma lo
è dall'età, raggiungendo un plateau di valori massimi normali dopo i 50 anni; non
aumenta, peraltro, durante la gravidanza e nelle osteopatie.
Le misure della 5-nucleotidasi e della fosfatasi alcalina sono utili nella
diagnosi di colestasi o di lesioni infiltrative od occupanti spazio del fegato.
Anche se la correlazione tra i due enzimi è notevole, pur tuttavia i loro valori
possono non variare parallelamente nel singolo paziente, ma ben raramente la 5 '
nucleotidasi è normale quando l'isoenzima epatico della fosfatasi alcalina è aumentato.
Leucino-aminopeptidasi
Questa proteasi è stata rinvenuta in tutti i tessuti dell'uomo, ma soprattutto nel fegato e nell'epitelio delle vie biliari. Non è aumentata nelle
osteopatie e i suoi valori non si modificano con l'età. Tuttavia nella gravidanza
il suo livello sierico aumenta progressivamente fino a raggiungere valori massimi
al termine della gestazione.
La misura della leucino-aminopeptidasi (valori normali: 50-220 U/L) è un indice
sensibile almeno quanto quella della fosfatasi alcalina e della 5 '-nucleotidasi
nella diagnosi di colestasi e di lesioni infiltrative od occupanti spazio del fegato.
È controversa la sua specificità in questi disturbi nei confronti delle epatopatie
parenchimali. Tuttavia, valori superiori a 450 unità ben raramente si osservano
nel danno epato-cellulare come quello della cirrosi o delle epatiti.
Gamma-glutamiltrasferasi (GGT) (o gamma-glutamiltranspeptidasi)
Questo enzima si ritrova soprattutto nel fegato, nel pancreas
e nel rene; i valori sierici sono sovrapponibili nei due sessi al di là dei 4 anni
di età e non aumentano in gravidanza e nelle osteopatie (valori normali: 4-60 U/L).
Elevati valori sierici di GGT si osservano nelle malattie del fegato, delle vie
biliari e del pancreas. L'entità dell'aumento è sovrapponibile nelle varie epatopatie
ed ha un limitato valore nella diagnosi delle sindromi itteriche. La GGT sierica
è anche aumentata nei soggetti che ingeriscono grandi quantità di etanolo o che
fanno uso di barbiturici o di fenitoina. I livelli sierici di GGT diminuiscono dopo
assunzione di ormoni sessuali femminili, ivi compresi i contraccettivi.
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