Insulina e nuove insuline ultralente
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aggiornamento per il medico pratico
CFR il paziente che deve fare insulina
Meccanismo di azione
Nel diabete mellito di tipo 2 è presente un progressivo deterioramento della funzione β-cellulare pancreatica che
può precedere di anni lo sviluppo dell'iperglicemia. L'importanza relativa dell'alterata
secrezione insulinica e dell'insulino-resistenza per lo sviluppo del diabete di
tipo 2 è stata valutata in numerosi studi che hanno dimostrato come entrambi siano
fattori di rischio per questa patologia e che, sebbene l'insulino-resistenza rimanga
un fattore fondamentale, la transizione da una normale tolleranza glucidica all'IGT
(Impaired Glucose Tolerance) e al diabete manifesto sia caratterizzata soprattutto
da una concomitante riduzione della capacità di secernere insulina. L'alterazione
irreversibile della secrezione insulinica, che ha come principale substrato fisiopatologico
il progressivo declino della funzione e del numero delle β -cellule pancreatiche,
svolge quindi un ruolo chiave nello sviluppo e nella progressione del diabete.
Anche per motivi di ordine fisiopatologico, l'insulina va quindi considerata nella
terapia del diabete di tipo 2, e questo può avvenire anche in una fase relativamente
precoce della malattia. L'insulina promuove l'utilizzazione del glucosio a livello
del muscolo scheletrico e del tessuto adiposo, inibisce la produzione epatica di
glucosio, riduce la lipolisi e i livelli di FFA, ed esercita effetti trofici a livello
cellulare, attraverso la promozione della sopravvivenza cellulare e l'inibizione
dell'apoptosi. Sebbene l'insulina di per sé possieda un effetto anoressizzante agendo
sui centri ipotalamici, la terapia insulinica nel paziente con diabete di tipo 2
favorisce l'aumento del peso corporeo (cfr diabete,
fenotipo paziente obeso ) , attraverso un aumento della massa grassa e della
massa magra. Questo risultato si deve a un effetto anabolizzante dell'insulina sul
metabolismo lipidico e proteico, e probabilmente anche ad altri meccanismi quali
il difensive eating da parte del paziente, finalizzato a prevenire l'ipoglicemia,
nonché alla correzione dell'eventuale glicosuria con maggiore positività del bilancio
energetico.
Beneficio clinico
La terapia insulinica intensiva, finalizzata al raggiungimento di normali livelli glicemici, è sempre più utilizzata
nel trattamento del diabete mellito di tipo 2 per ridurre il rischio di complicanze
legate al diabete. La terapia con ipoglicemizzanti orali può divenire, nell'arco
di pochi anni, insufficiente a ottenere un adeguato controllo metabolico, determinando
la necessità di instaurare la terapia insulinica. Secondo l'IDF (International
Diabetes Federation), la terapia con insulina andrebbe considerata quando, in presenza
di un trattamento con le massime dosi tollerate di ipoglicemizzanti orali, i livelli
di HbAlc sono persistentementesuperiori a 7,5%. Secondo
il documento di consenso degli esperti individuati dall'ADA (American Diabetes Association)
e dall'EASD (European Association for the Study of Diabetes), la terapia con insulina
basale può essere considerata quando pazienti trattati con terapia non farmacologica
e metformina non raggiungono un livello di HbAlc inferiore al 7%. La terapia con
insulina dovrebbe essere preferita ad altri farmaci (come le sulfonilurce, i glitazoni
e l'exenatide) se il livello di HbAlc è più lontano dal 7%, e cioè è superiore a
8,5%, perché in questo caso si può sfruttare il maggior potere ipoglicemizzante
dell'insulina rispetto a quello di questi altri farmaci. La terapia insulinica dovrebbe
essere sempre utilizzata in associazione alla metformina, se essa non è controindicata,
con la finalità di ridurre le dosi di insulina, di minimizzare l'aumento di peso
associato alla terapia insulinica e di conferire una maggiore protezione cardiovascolare.
Queste ultime considerazioni valgono ancor più nei pazienti in sovrappeso o con
obesità.
Va ricordato che la terapia insulinica
nel diabete di tipo 2 si rende necessaria non solo quando gli obiettivi glicemici
non vengono raggiunti con gli ipoglicemizzanti orali, ma anche in presenza di altre
situazioni cliniche, quali la cheto-acidosi diabetica, il diabete all'esordio con
livelli glicemici estremamente elevati e sintomi caratteristici legati all'iperglicemia
(per esempio, poliuria, polidipsia, calo ponderale), in gravidanza o in donne che
stanno programmando una gravidanza, in occasione di stress acuti (eventi cardiovascolari
maggiori, infezioni, traumi, interventi chirurgici), in presenza di allergia o controindicazioni
all'uso degli ipoglicemizzanti orali, e di malattie epatiche o renali che precludono
l'impiego degli ipoglicemizzanti orali. Recentemente, inoltre, alcuni studi hanno
suggerito che la terapia insulinica intensiva potrebbe avere un ruolo nel diabete
di tipo 2 di nuova diagnosi. Un controllo metabolico ottimale attraverso l'impiego
della terapia insulinica intensiva, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia,
potrebbe svolgere un ruolo importante nel prevenire la disfunzione e la perdita
delle β -cellule attraverso la rapida correzione della glucotossicità e della
lipotossicità (che favoriscono l'apoptosi delle β -cellule), nonché attraverso
alcuni possibili effetti diretti di promozione della sopravvivenza e di inibizione
dell'apoptosi β -cellulare. Questa ipotesi è avvalorata da uno studio recente,
condotto in pazienti di origine asiatica con diabete neodiagnosticato e glicemie
a digiuno superiori a 200 mg/dl, in cui il trattamento per 2 settimane con terapia
insulinica intensiva, anche mediante l'impiego di microinfusore, si è associato
a un più elevato tasso di remissione (normoglicemia), rispetto al gruppo trattato
con ipoglicemizzanti orali. Infine, pazienti con diabete di tipo 2 a patogenesi
autoimmunitaria (LADA, Latent Autoimmune Diabetes of thè Adult), che vanno incontro
più frequentemente alla necessità di terapia insulinica entro 5 anni dalladiagnosi,
potrebbero beneficiarsi dell'impiego precoce della terapia insulinica rispetto alla
terapia con ipoglicemizzanti orali, come dimostrato in uno studio condotto anche
in questo caso in una popolazione asiatica (107). L'insulina potrebbe produrre
una migliore conservazione della funzione (3-cellulare attraverso meccanismi di
promozione della sopravvivenza cellulare e inibizione della apop-tosi o anche per
effetto della riduzione degli autoantigcni espressi dalle β -cellule.
Nel diabete di tipo 2, l'insulina
può essere somministrata secondo vari schemi: insulina basale (glargine, detemir,
NPL) una volta al giorno; insulina premiscelata due volte al giorno;
-iniezioni singole o multiple
di insulina prandiale;
-iniezioni singole o multiple
di insulina prandiale con insulina basale. Numerosi studi hanno valutato l'efficacia
relativa di questi differenti schemi di terapia insulinica nel paziente diabetico
di tipo 2. In particolare, nello studio treat-to-target sono stati confrontati
l'efficacia e il rischio di ipoglicemia in pazienti diabetici di tipo 2 in trattamento
con ipoglicemizzanti orali assegnati alla terapia con insulina glargine o insulina
NPH, in monosomministrazione serale, al fine di ottenere un valore di HbAlc inferiore
al 7%. Al termine dello studio, durato 24 settimane, i due gruppi hanno raggiunto
livelli comparabili di glicemie a digiuno e di HbAlc; tuttavia, il gruppo di pazienti
trattati con insulina
NPH, rispetto al gruppo di pazienti trattati con glargine, ha fatto registrare un maggior
numero di ipoglicemie notturne e ipoglicemie sintomatiche. Nello studio APOLLO,
invece, 412 pazienti non adeguatamente controllati con gli ipoglicemizzanti orali
sono stati randomizzati a terapia con glargine (una iniezione al giorno) o con insulina
lispro ai tre pasti principali. Lo studio ha dimostrato la non inferiorità della
monosomministrazione di insulina glargine rispetto alla triplice somministrazione
di insulina lispro. Il trattamento con insulina glargine ha consentito un miglior
controllo dei valori glicemici a digiuno e nel corso della notte, mentre con l'insulina
lispro ai tre pasti principali si è ottenuto un miglioramento prevalente a carico
delle glicemie postprandiali. L'incidenza di ipoglicemia è risultata inferiore con
l'insulina glargine rispetto all'insulina lispro, mentre l'aumento di peso è risultato
paragonabile nei due gruppi. Nello studio 4-T, infine, 708 pazienti non adeguatamente
controllati con le massime dosi tollerate di metformina o sulfoniluree, con HbAlc
compresa tra 7% e 10%, sono stati assegnati a tre differenti schemi di terapia insulinica:
insulina aspart premiscelata bifasica due volte al giorno, insulina aspart ai tre
pasti principali, insulina detemir una o due volte al giorno. Dopo 1 e 3 anni di
follow-up gli obiettivi valutati sono stati i livelli di HbAlc, la proporzione di
pazienti che aveva raggiunto un valore di HbAlc inferiore a 5,5%, il tasso di ipoglicemie
e l'aumento di peso. Al termine dello studio, i livcll i di HbAlc sono risultati
comparabili nei tre gruppi di trattamento (7,1% per l'insulina bifasica, 6,8% per
l'insulina prandiale e 6,9% per l'insulina basale), anche se k percentuale di pazienti
con livelli di HbAlc inferiore a 6,5% è stata più bassa nel gruppo assegnato alla
bifasica (31,9%) rispetto ai gruppi trattati con gli schemi di insulina prandiale
(44,7%) o basale (43,2%), e le percentuali di pazienti che hanno avuto la necessità
di un secondo tipo di insulina nei tre gruppi sono stati, rispettivamente, 67,7%,
73,6% e 81,6%. La frequenza di eventi ipoglicemici è stata più bassa nel gruppo
in trattamento con insulina basale (1,7% per anno), più alta nel gruppo trattato
con l'insulina bifasica (3% ; per anno) e particolarmente elevata nel gruppo trattato
con le tre iniezioni di insulina prandiale (5,7% per anno). L'aumento di peso è
stato maggiore, rispetto agli altri gruppi, nel gruppo trattato con l'insulina prandiale.
Sulla base di questi risultati, il regime con insulina basale si afferma come un
regime praticamente efficace tanto quanto gli altri schemi terapeutici ma caratterizzato
da un minor numero di eventi avversi, quali gli eventi ipoglicemici e l'aumento
di peso, oltre che certamente meglio accetto al paziente in ragione della singola
iniezione giornaliera. Tuttavia, questo schema può rendere necessaria l'aggiunta
di insulina prandiale in pazienti in cui l'iperglicemia postprandiale è più manifesta.
La scelta dello schema insulinico ottimale va in ogni caso effettuata sulla base
delle caratteristiche cliniche e dei valori glicemici del singolo paziente e del
suo stile di vita. L'osservazione che spesso un singolo pasto sostanzioso contribuisce
in larga misura all'iperglicemia che si sviluppa in fase postprandiale e che può
caratterizzare ampi periodi della giornata, ha portato a far considerare uno schema
di somministrazione insulinica caratterizzato
da un'unica iniezione di insulina prandiale al pasto principale associata all'insulina
basale (il cosiddetto schema «basal-plus», anziché tre somministrazioni di insulina
prandiale a ciascun pasto associate all'insulina basale (il tradizionale schema
«basal-bolus»). Per attuare lo schema basal-plus, occorrerebbe: (i.) identificare
il picco iperglicemico postprandiale principale; (ii.) aggiungere all'insulina basale
un'insulina prandiale con l'obiettivo di contenere la glicemia due ore dopo i pasti
entro 140-160 mg/dl; (iii.) considerare la somministrazione di una seconda o anche
terza iniezione di insulina prandiale se i livelli di HbAlc non sono a target. L'aggiunta
di insulina prandiale prevede la sospensione dei secretatoghi insulinici, mentre
la metformina e/o i glitazoni (laddove questi farmaci siano tollerati e non controindicati)
dovrebbero essere mantenuti. Naturalmente, è importante individuare il pasto che
maggiormente produce un aumento della glicemia in fase postprandiale, e questo richiede
l'effettuazione dell'autocontrollo glicemico durante la giornata. I trial clinici
che hanno utilizzato l'insulina e dimostrato l'importanza del controllo glicemico
intensivo hanno usato l’automonitoraggio glicemico come componente fondamentale
della strategia terapeutica. E possibile titolare l'insulina basale in base alla
misurazione della glicemia ottenuta con l’automonitoraggio domiciliare. La frequenza
ottimale e la distribuzione temporale della determinazione domiciliare della glicemia
capillare dovrebbe essere determinata dalle esigenze del paziente e dagli
obiettivi della cura. L'impiego ottimale dell'automonitoraggio richiede inoltre
una adeguata capacità di analisi dei dati. I pazienti devono essere istruiti su
come utilizzare i dati per modificare (al fine di raggiungere gli obiettivi glicemici)
l'alimentazione, l'esercizio fisico e la terapia farmacologica.
Profilo di rischio
La terapia insulinica è associata
a un importante aumento del rischio di ipoglicemia, che, come già ricordato, è
maggiore quando si utilizza insulina prandiale ovvero, tra Le insuline ad attività
prolungata, insulina NPH anziché gli analoghi dell'insulina glargine e detemir.
Peraltro, la presenza di un rischio importante di
ipoglicemia comporta
che il paziente sia adeguatamente educato alla somministrazione dell'insulina e
a far fronte agli episodi di ipoglicemia, soprattutto in presenza di schemi di terapia
insulinica complessa.
La terapia insulinica, soprattutto quando viene instaurata in pazienti con grado di controllo glicometabolico
scadente, comporta un sensibile aumento di peso. L'aumento di peso è maggiore se
il paziente è in trattamento anche con pio-glitazone o sulfoniluree e minore se
viene associata la metformina. L'analogo dell'insulina detemir ha mostrato
di produrre un aumento di peso inferiore rispetto ad altre insuline basali, quali
NPH e glargine. Un cenno specifico merita il rischio oncologico associato alla terapia
insulinica. Come è noto, l'insulina è un fattore di crescita, ed esercita quindi
un effetto di stimolo della proliferazione cellulare sia nelle cellule normali sia
in quelle neo-plastiche. Dal 2014 è in commercio anche una nuova insulina ultralenta,
degludec , è una insulina basale ad azione ultraprolugata, quindi
con la caratteristica del suo effetto metabolico distribuito uniformemente nel corso
di una/due giornate. Il medicinale può essere ottenuto soltanto con prescrizione
medica limitativa (RRL) a cura di centri ospedalieri (come per la Lantus) o di specialisti
(endocrinologo, internista, geriatra) ed è al momento dispensabile solo ai soli
diabetici maggiori di età.
E’ disponibile come soluzione iniettabile in cartuccia (100 unità/ml) e in penna
preriempita (100 unità/ml e 200 unità/ml). degludec non deve
essere somministrato:
• per via endovenosa, poiché ciò può provocare gravi ipoglicemie.
-per via intramuscolare, poiché ciò può modificare l’assorbimento.
-nei microinfusori.
Degludec è un medicinale contenente il principio attivo insulina degludec,
prodotto con un metodo noto come ricombinante Tecnologia del DNA da Saccharomyces
cerevisiae: è fatta con cellule di lievito in cui è stato introdotto un gene (DNA),
che li rende in grado di produrla.
Degludec deve essere somministrato una volta al giorno, preferibilmente alla
stessa ora ogni giorno. La dose corretta deve essere determinata in base alle necessità
individuali dei pazienti. Nel diabete di tipo 1, Degludec deve essere sempre usato
in combinazione a un'insulina ad azione rapida, che è somministrata per iniezione
durante i pasti. Nel diabete di tipo 2, Degludec può essere utilizzato in monoterapia,
in combinazione con altri medicinali antidiabetici e con insulina prandiale (assunta
ai pasti) ad azione rapida. Il diabete è una malattia in cui l’organismo non produce
abbastanza insulina per controllare il livello del glucosio nel sangue o non è in
grado di utilizzare l’insulina in modo efficace. Degludec è un’insulina sostitutiva
molto simile all’insulina naturale con la differenza che viene assorbita molto più
lentamente nell’organismo e richiede più tempo per raggiungere il suo bersaglio.
Ciò significa che Degludec ha una lunga durata d’azione. Ha un esordio d'azione di
30-90 minuti (simile all'insulina glargine e insulina detemir) ma si differenzia
da queste per una durata di 25 ore effettive, venendo quindi ampiamente superato
il limite effettivo delle 16/18 ore delle attuali insuline ad azione prolungata
(cfr. insulina glargine e detemir). Nel diabetico è presente il fenomeno della insulino-resistenza
è compromessa in maniera pressoché selettiva la capacità dell'insulina di espletare
i suoi effetti metabolici, mentre è conservata, e in presenza di iperinsulinemia
può essere anche esaltata, la capacità dell'ormone di esercitare effetti di stimolo
sulla crescita cellulare. L'effetto mitogeno dell'insulina non va confuso, tuttavia,
con la promozione della carcinogenesi a livello cellulare, processo che l'insulina,
in condizioni fisiologiche, non è in grado di realizzare. In generale, i farmaci
che comportano un aumento dei livelli di insulina (insulina, sulfoniluree) sono
associati a un maggiore rischio di cancro, mentre le terapie che riducono l’iperinsulinemia
e l'insulino-resistenza (metformina) sembrano avere un effetto protettivo. Nel recente
passato è stato generato un certo allarme a seguito della pubblicazione di alcuni
studi retrospettivi che hanno valutato la possibile associazione tra l'uso dell'insulina
glargine e il cancro, anche in considerazione della maggiore affinità di legame
dell'insulina glargine per il recettore dell'IGF-I, che è coinvolto nella proliferazione
cellulare neoplastica. In verità, questi lavori hanno prodotto risultati assai contrastanti,
riportando un aumento dell'incidenza, nessuna differenza sostanziale, o anche una
riduzione dell'incidenza di tumori in pazienti diabetici trattati con insulina glargine
rispetto all'insulina umana. Gli studi, ancorché condotti su ampie coorti di pazienti,
soffrono di alcuni limiti metodologici, tra cui l'interpretazione dei dati relativi
a regimi di associazione tra più tipi di insulina, la breve durata del periodo di
osservazione, e la mancanza di informazioni sulla dose complessiva di insulina utilizzata
durante tutto il periodo di osservazione.
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