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METFORMINA

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aggiornamento in medicina interna

La terapia del diabete mellito di tipo 2 si avvale oggi di numerose classi di farmaci ipoglicemizzanti, alcune piu' tradizionali e altre di piu' recente introduzione. Pertanto, e' particolarmente importante conoscere i benefici e i rischi di ciascuna di queste classi di farmaci, anche per poter scegliere il farmaco che meglio si adatta alle caratteristiche fisiopatologiche e cliniche del paziente.  La metformina appartiene alla classe delle biguanidi, un gruppo di farmaci ipoglicemizzanti orali che riducono l'iperglicemia con un meccanismo simil-insulinico che si realizza soprattutto a livello epatico. Ne deriva un miglioramento anche dello stesso effetto insulinico sull'inibizione della produzione epatica di glucosio. Sebbene anche altre biguanidi siano disponibili (per esempio la fenformina), la metformina e' di gran lunga la piu' usata in Italia. La metformina e' stata utilizzata da diverse decadi per la terapia del diabete di tipo 2, ma e' soprattutto negli ultimi anni che il suo uso si e' consolidato, fino al punto da diventare il farmaco di prima scelta nel trattamento di questa patologia, da considerare prima di altri farmaci. A tale proposito, e' da ricordare che a partire dal 2006, l'ADA (American Diabetes Association) e FEASD (European Association for the Study of Diabetes), attraverso un documento di consenso tra esperti, hanno proposto che la terapia con metformina, in assenza di controindicazioni, venga iniziata, in aggiunta all'intervento sullo stile di vita, sin dalla diagnosi di diabete di tipo 2. Anche altre linee guida, tra cui quelle italiane considerano l'uso della metformina molto precocemente nella storia naturale del diabete di tipo 2, prima di altri farmaci. La metformina, pertanto, viene considerata il farmaco generalmente di prima scelta per la terapia orale del diabete di tipo 2.

Meccanismo di azione

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Aritmie

Il meccanismo di azione della metformina e' complesso e a oggi non del tutto definito. e' noto che la metformina riduce la produzione epatica di glucosio, aumenta l'utilizzazione periferica di glucosio, a livello del muscolo scheletrico e del tessuto adiposo, ed e' in grado di esercitare un certo effetto antilipolitico con riduzione dei livelli di acidi grassi liberi (FFA). Inoltre, la metformina aumenta, negli animali da esperimento, l'utilizzazione intestinale di glucosio, con produzione di lattato attraverso la via della glicolisi anaerobia; il lattato puo' essere utilizzato quindi come substrato per la gluconeogenesi epatica, e questo rappresenta un meccanismo di protezione contro l'ipoglicemia. Grazie a questi effetti, la metformina corregge l'iperglicemia e provoca una graduale riduzione dei livelli circolanti di insulina, con un apparente miglioramento della sensibilita' insulinica. Sebbene questi effetti della metformina sul metabolismo intermedio siano noti da lungo tempo, i target molecolari del farmaco sono rimasti a lungo ignoti. E noto che la metformina attiva la proteina AMPK (AMP-activated Protein Kinase), una proteinchinasi coinvolta nella regolazione del metabolismo glicidico e lipidico e normalmente attivata dall'aumento del rapporto AMP/ATP all'interno della cellula e dalla chinasi LKB1 (liver kinase B1). In base a tale meccanismo, la metformina potrebbe attivare AMPK e ridurre cosi' l'attivita' della acetil-CoA-carbossilasi (ACC), producendo un aumento della β-ossidazione degli FFA, e potrebbe diminuire l'espressione di alcuni fattori trascrizionali coinvolti nella sintesi di trigliceridi, quali per esempio SREBPlc. Inoltre, l'attivazione della AMPK puo' rendersi responsabile di una inibizione dei fattore trascrizionale PGCl-a, che regola l'espressione e l'azione di alcuni importanti enzimi coinvolti nella produzione epatica di glucosio.

La conseguenza di tali effetti e' la riduzione della produzione epatica di glucosio e la riduzione degli FFA e dei trigliceridi circolanti, con aumento della sensibilita'. In linea con queste evidenze, la metformina non agisce modificando direttamente l'azione insulinica o le proteine coinvolte nella trasmissione del segnale dell'insulina, diversamente da quanto avviene invece nel caso dei tiazolidinedioni. Recentemente, e' stato suggerito che la metformina possa ridurre la produzione epatica di glucosio anche in maniera indipendente dall'attivazione della via di segnale di AMPK, regolando altre vie di segnale intracellulare.

Beneficio clinico

Come ricordato, in assenza di controindicazioni specifiche, la metformina puo' essere suggerita come terapia iniziale dell'iperglicemia nella maggior parte dei pazienti con diabete di tipo 2, sia in presenza che in assenza di sovrappeso o obesita'. Infatti, il BMI (Body Mass Index) non figura come fattore predittivo di maggiore risposta al farmaco, che ha quindi un'efficacia antiiperglicemizzante simile in pazienti sovrappeso/obesi e in pazienti non-obesi, come evidenziato dallo studio DARTS, condotto in pazienti scozzesi con diabete di tipo 2, che iniziavano il trattamento farmacologico con un ipoglicemizzante orale. e' evidente che l'utilizzo della metformina non dovrebbe mai componare una ridotta attenzione nei confronti delle strategie finalizzate alla correzione dello stile di vita. La metformina e' assorbita rapidamente a livello intestinale e raggiunge il picco di concentratone plasmatica in due ore circa: non si lega alle proteine pla-smatiche, non viene metabolizzata in maniera importante e viene eliminata a livello renale. e' da rilevare, tuttavia, che la metformina va incontro a importanti processi di captazione e di escrezione a livello epatocitario. Recentemente, e' stato suggerito che alcune varianti geniche di trasportatori di membrana presenti nell'epatocita, quali OCT1 e MATE1, implicati rispettivamente nella i captazione cellulare e nella escrezione della metformina a livello della cellula epatica, o anche varianti geniche che coinvolgono ATM, un gene associato alla sindrome atassia-telangiectasia, potrebbero condizionare la risposta terapeutica alla metformina, rappresentando un esempio interessante di farmacogenetica nel diabete di tipo 2. La dose di metformina da utilizzare dovrebbe essere quella che consente di ottenere il massimo effetto terapeutico (abitualmente 2000 mg/die in due o tre dosi giornaliere). La metformina e' disponibile in compresse da 500, 850 o 1000 mg e deve essere a preferibilmente assunta con i pasti. e' opportuno iniziare con dosaggi di 500 mg una volta al di' al pasto serale e, se il farmaco e' ben tollerato, procedere con una seconda dose di 500 mg alla prima colazione. Questo dosaggio puo' essere aumentato gradualmente (aggiungendo una compressa ogni 2-3 settimane), se necessario, in base alla tollerabilita' individuale e alla risposta terapeutica. E' dimostrato che i dosaggi superiori a 2500 mg/die non producono sostanziali vantaggi dal punto di vista della riduzione dell'iperglicemia e possono aumentare gli effetti indesiderati gastrointestinali. Sono disponibili in altri Paesi (non in Italia) preparazioni di metformina ad azione ritardata. La metformina puo' essere somministrata in associazione con praticamente tutti gli ipoglicemizzanti orali (sulfoniluree, glinidi, acarbosio, pioglilazone, inibitoli della DPP-4), con gli agonisti del recettore del GLP-1 e anche con la terapia insulinica. L'efficacia della metformina e' tanto maggiore quanto piu' precoce e' il suo impiego al momento della diagnosi di diabete).

L'effetto e' pari a quello delle sulfoniluree e riduce di circa il 20% la glicemia e di circa l'1,5% i livelli di HbA1c, con riduzioni maggiori quanto maggiore e' il valore della HbA1c di partenza, in linea con quanto avviene con pressoche' tutti i farmaci ipoglicemizzanti. Nella pratica clinica, il fallimento secondario alla monoterapia con metformina avviene probabilmente in maniera piu' rapida rispetto ai trial, a causa di fattori quali eta', durata del diabete e stato di deterioramento della funzione β-cellulare al momento di inizio della monoterapia. Pertanto, la terapia con la metformina, a conferma della validita' degli attuali algoritmi di terapia del diabete di tipo 2, andrebbe iniziata precocemente nella storia naturale della malattia. Questa scelta prolunga l'efficacia della metformina, preserva la funzione β-cellulare e previene le complicanze legate all'iperglicemia. Contrariamente a quanto osservato con l'insulina e con le solfoniluree, la metformina riduce il peso corporeo, anche se in misura relativamente modesta, o lo mantiene stabile, e non provoca ipoglicemia. Inoltre, la metformina potrebbe lievemente ridurre i livelli plasmatici di trigliceridi. Nello studio UKPDS (United Kingdom Prospettive Diabetes Study), i pazienti con diabete di tipo 2 con sovrappeso o obesita', in terapia con metformina, hanno mostrato un rischio minore di complicanze del diabete, in particolare di quelle macrovascolari, rispetto a pazienti trattati con sulfoniluree o con insulina. Un altro aspetto interessante, tuttora in via di definizione, e' il rapporto tra uso della metformina e rischio di neoplasie nel paziente diabetico di tipo 2. Alcuni studi retrospettivi suggeriscono, infatti, come l'uso della metformina si associ a una riduzione dell'incidenza di tumori maligni, in particolare di carcinoma della mammella. La metformina potrebbe esercitare un effetto antiproliferativo attraverso meccanismi in parte dipendenti e in parte indipendenti dall'attivazione di AMPK, che determinano l'inibizione dell'attivita' della proteinchinasi mTORC 1, che controlla la sintesi proteica e la proliferazione cellulare.

Profilo di rischio

La metformina presenta alcune interazioni con altri farmaci. In particolare, la cimetidina puo' ridurre la clearance renale della metformina per l'inibizione competitiva della secrezione tubulare renale di metformina. Tale interazione potrebbe aumentare il rischio di ipoglicemia in pazienti che assumono metformina in associazione a farmaci caratterizzati da un rischio di ipoglicemia, quali sulfoniluree e insulina. Gli effetti indesiderati della metformina sono soprattutto a livello dell'apparato gastrointestinale: sapore metallico in bocca, iporessia, nausea, vomito, dolori addominali, iperperistalsi e diarrea. Questi sintomi sono generalmente di lieve entita', sono spesso transitori e sempre reversibili dopo la sospensione del farmaco. In alcuni pazienti con effetti indesiderati gastrointestinali, puo' essere utile l'uso della metformina a dosaggi ridotti. La metformina riduce l'assorbimento intestinale della vitamina B12 in circa il 30% dei pazienti e riduce la concentrazione ematica di vitamina B12 dal 14 al 30% dei casi; tuttavia, solo raramente si puo' produrre una anemia megaloblastica. La supplementazione di calcio puo' neutralizzare questo effetto indesiderato della metformina. Vi sono alcune importanti controindicazioni all'uso della metformina. La metformina non dovrebbe essere somministrata in presenza di insufficienza renale (definita come creatinina > 1,4 mg/dl nelle donne e 1,5 mg/dl negli uomini). Nei soggetti anziani o in soggetti con ridotta massa muscolare va valutato il GFR (Glomerular Filtration Rate o Velocita' di Filtrazione Glomerulare Stimata) stimato poiche' la determinazione della creatinina puo' non essere accurata (valori < 60 mi/min/1,73 m2 sono equivalenti ai valori soglia stabiliti per la creatinina). Alcune recenti rivalutazioni della problematica hanno portato a suggerire che la metformina potrebbe essere usata, sebbene con molta cautela e monitorando frequentemente la funzione renale nel tempo, quando il GFR (Glomerular Filtration Rate o Velocita' di Filtrazione Glomerulare Stimata) stimato e' compreso tra 30 e 60 mi/min/1,73 m2, ferma restando la controindicazione assoluta quando il GFR stimato e' < 30 ml/min/1,73 m2.
 Proposta per l'uso della metformina in rapporto allo stato della funzione renale.
>60 ml/min1,73 m2 Non controindicata
< 60 e > 45 continuarne l'uso ma monitorare
< 45 e > 30 cautela estrema nell'impiego
<30 non somministrare

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