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Aspetti clinici della febbre

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Febbre e temperatura

Ipotermia: < 36°C
Normotermia: 36-37 °C
Febbre
Febbricola fino a 37
moderata fino 38.5
febbre elevata fino a 39,5
iperpiressia otre 39.5


La febbre viene descritta da una curva che evidenzia aspetti qualitativi e quantitativi del fenomeno. Analizzando i diversi parametri della curva, sono stati identificati vari tipi di febbre che spesso permettono un orientamento diagnostico sulla causa che si sottende alla sua genesi.

Infatti, la curva è profondamente influenzata dalla causa sottostante, in particolare dalla disponibilità dei pirogeni esogeni (proliferazione dei batteri e dei virus, rilascio, continuo o ciclico, di tossine e altri prodotti del narassita) e dalla produzione di quelli endogeni


Curva termica

La curva descrive l'andamento della temperatura corporea nelle varie fasi della malattia e del processo febbrile. In essa si distinguono tre fasi: innalzamento, fastigio e defervescenza. Queste generalmente si correlano bene con le variazioni della concentrazione delle citochine pirogeniche la cui produzione, a sua volta, dipende dalla presenza e dalla quantità dei pirogeni esogeni.

La fase del rialzo termico può essere lenta o rapida in ragione di come avviene il risettaggio dei centri termoregolatori da parte della PGE2 e delle citochine pirogeniche. Un innalzamento rapido di solito implica una neotermogenesi accessuale che si estrinseca caratteristicamente con i brividi, contrazioni muscolari generalizzate che durano spesso fino al raggiungimento del nuovo picco febbrile. 

Un contributo viene anche dato da aspetti comportamentali che portano alla termoconservazione mediante l'uso di vestiti e coperte che la facilitano con il loro potere isolante. Un esempio tipico di rialzo improvviso con brividi si osserva nella polmonite lobare da pneumococco. La linea del fastigio è molto variabile, ma si caratterizza per i valori raggiunti, per come vengono mantenuti e per la durata.

Anche queste caratteristiche sono essenzialmente legate al signalling dell'agente dannoso: pirogeni esogeni, pirogeni endogeni con produzione di PGE2 e, quindi, andando a ritroso, è possibile avere, talvolta, una precisa idea dell'agente patogeno.

A seconda dell'innalzamento termico, la febbre può essere bassa o febbricola (con innalzamento non superiore a 1 °C rispetto ai valori normali), media (1-2 °C al di sopra dei valori normali), alta (2-3 °C al di sopra) e altissima, detta anche iperpiressia, (al di sopra di 41,5 °C). Questi valori possono essere mantenuti in maniera continua o discontinua, con oscillazioni periodiche lungo la giornata o periodi maggiori. Infine, la durata della febbre è molto variabile in relazione all'evoluzione del processo dannoso sottostante.

Vi sono febbri che durano qualche ora (es. cistiti da Escherichia coli), altre 3-5 giorni (es. infezione da virus influenzale o polmonite pneumococcica) e altre che durano settimane o anche anni (quasi sempre con associati processi infiammatori cronici, anche non infettivi, come i tumori o processi che implicano una necrosi cellulare). La fase di defervescenza dipende essenzialmente da come avviene l'eliminazione e la scomparsa dei pirogeni esogeni e, quindi in sostanza, la guarigione. La scomparsa della febbre può avvenire rapidamente, per crisi, o lentamente, per lisi.

Un esempio del primo caso è dato sempre dalla polmonite pneumococcica nella quale, in fase di risoluzione, la febbre scompare nel giro di qualche ora, associata ad un'attiva termodispersione ottenuta mediante abbondante sudorazione. Nel secondo caso la febbre decade progressivamente nel giro di qualche giorno fino a scomparire, senza segni accessuali come l'abbondante sudorazione; esempi sono alcune influenze o l'endocardite batterica.

Nel caso della tempesta citochinica caratteristica di malattie infiammatorie endogene (shock settico, tumori, DIC, malattie autoimmuni, ecc.), la febbre alta continua si correla bene con l'andamento del danno generalizzato e dell'intensità del danno da necrosi.

 

Tipi clinici di febbre

Vengono esemplificate alcune curve termiche e associate alla loro patogenesi.
Febbre continua della polmonite pneumococcica è rappresentata da una febbre che insorge all'improvviso,  mostra una comparsa di brivido, può raggiungere valori molto alti (40-41°C) che vengono mantenuti per 4-5 giorni in maniera costante con piccole variazioni giornaliere, e scompare per crisi nel giro di qualche ora dopo abbondante sudorazione. Questa curva descrive molto bene la dinamica dell'infezione da parte dello pneumococco, la sua persistenza negli alveoli e la sua eliminazione da parte dei neutrofili e macrofagi.
Febbricola dell'adenomesenterite. è in genere una febbre di lunga durata con piccoli rialzi giornalieri inferiori a 1°C, di solito registrati nel pomeriggio, tra le 16 e le 18. Si associa a processi in cui è scarsa la carica batterica o a modesta virulentazione di batteri saprofiti normalmente non patogeni, come quelli intestinali. Altre tipiche febbricole, spesso intermittenti, si osservano in caso di focolai di infezioni a decorso lento, come le tonsilliti, granuloma dentario, colecistiti e sinusiti (infezioni focali).
Febbre remittente dell'endocardite batterica subacuta
è caratterizzata da variazioni giornaliere superiori a 1 °C, senza mai raggiungere la defervescenza, e può essere di lunga durata. Questa curva si correla bene con l'agente causale primario rappresentato dallo streptococco beta-emolitico, che può essere immesso in circolo dai recessi delle valvole cardiache in ragione dei cicli di proliferazione. Appare ovvio che il trattamento farmacologico, riesce a cambiare profondamente l'andamento di questa curva.

Febbre erratica della cistite. è rappresentata da un singolo picco febbrile medioalto che si registra nel corso della giornata, a volte con brivido al momento dell'insorgenza, e che scompare, apparentemente senza tracce. Le cistiti tendono a recidivare, come accade nelle forme associate a ipertrofia prostatica e a malformazioni uretrali, o nelle donne la cui uretra, più corta di quella maschile, non è sufficientemente protetta dal tappo mucoso che di regola la separa dall'ambiente della vagina esterna e del perineo. Per questo si è osservato che nella maggior parte dei casi l'agente responsabile di queste cistiti è l'E-scherichia coli, presente di regola nell'area perineale in maniera non patogena, mentre se occasionalmente colonizza l'ambiente uretra/vescica, è in grado di produrre queste febbri definite erratiche per la loro occasionalità.
Febbre ricorrente o periodica. Nelle curve delle febbri periodiche o ricorrenti si osservano caratteristicamente picchi febbrili, a volte anche di iperpiressia, che compaiono con una periodicità caratteristica del processo infettivo che la provoca. Il periodo tra un picco e l'altro, con valori normali di temperatura, è chiaramente determinato dalle cinetiche di disponibilità dei pirogeni esogeni da parte del parassita.
Le escursioni tra il periodo di temperatura normale e il valore febbrile massimo (picco) possono superare i quattro gradi, ma non necessariamente. Nella sepsi gonococcica e nella leishmaniosi viscerale si ha una febbre biquotidiana, con due picchi giornalieri. Nella malaria da Plasmodium vivax si ha la febbre ricorrente detta terzana, in cui il picco febbrile (a volte superiore a 41,5 °C) si verifica a giorni alterni, preannunciandosi con un intenso brivido e terminando per crisi con abbondante sudorazione. Questa ciclicità è associata al periodo di proliferazione del protozoo e alla sua accessuale immissione nel sangue. Nella malaria da Plasmodium malariae, si ha la quartana, una febbre periodica il cui picco compare ogni quarto giorno con le stesse modalità della terzana, ma con un ciclo più lungo. Nel caso di rickettsiosi si osserva la quintana. Anche la spirochetosi di Obermeier mostra una febbre ricorrente con un ciclo di circa 3 giorni. Infine, nell'ascesso epatico si può avere febbre intermittente con modalità che simulano quelle delle febbri malariche.
Febbre ondulante. In alcune condizioni patologiche, come il linfoma di Hodgkin, altri linfomi e altri tumori, la curva febbrile può presentare ampie variazioni giornaliere, con picchi che vengono raggiunti periodicamente, senza una precisa e prevedibile durata di ogni ciclo. Questa è verosimilmente legata alla immissione in circolo di detriti cellulari derivati dalla necrosi che, in ragione della quantità del tutto imprevedibile, innescano la liberazione di pirogeni endogeni. Da ricordare anche che quasi tutti i tumori producono citochine paracrine, mentre solo alcuni sono in grado di produrne in quantità endocrine tali da evidenziarsi nel plasma e da indurre direttamente la febbre. In conclusione, la febbre tumorale, quando è possibile escludere infezioni intercorrenti, è dovuta o alle citochine prodotte dal tumore e/o alla risposta flogistica evocata dai fenomeni di necrosi tumorale.

Altri tipi di febbre e influenze della terapia antibiotica sulla curva febbrile

I clinici hanno descritto numerose altre curve febbrili la cui analisi potrà meglio essere fatta nel corso degli insegnamenti di Semeiotica e Clinica. Va comunque ricordato che con la disponibilità degli antibiotici e di altri farmaci che agiscono direttamente sull'agente causale o sull'attività delle citochine, e anche con l'uso estensivo degli antipiretici (vedi sotto), le curve appena descritte possono essere profondamente modificate, non tanto nell'insorgenza, ma quanto nella durata, nei picchi raggiunti e anche nella ciclicità caratteristica. Ma tutto questo è bene approfondirlo con lo studio della Semeiotica e della Clinica.

Trattamento della febbre

E' di uso corrente utilizzare immediatamente farmaci antipiretici al primo accenno di innalzamento febbrile della temperatura. Questo non è del tutto razionale, soprattutto perché si perdono i benefici di preziose informazioni diagnostiche sul tipo di febbre e anche perché non si ottengono evidenti vantaggi terapeutici, specialmente di fronte a una febbre modesta (38-38,5 °C).

Inoltre, la febbre è stata considerata da alcuni una risposta difensiva per la forte accelerazione impressa a molte vie metaboliche che potrebbero risultare utili nella produzione degli effettori di difesa e neh'accorciare i tempi di riparazione, per cui inibire eccessivamente la febbre potrebbe risolversi in uno svantaggio. Ma tutto questo non è stato chiaramente dimostrato. Considerando che alla temperatura di 41,5 °C molte cellule iniziano la risposta da stress termico e molte proteine possono essere irreversibilmente danneggiate, appare comunque necessario trattare le iperpiressie e le febbri alte che tendono a prolungarsi nel tempo e, ovviamente, instaurare la te-rapia causale specifica (es. antibiotici).
I farmaci antipiretici comprendono gli inibitori della ciclossigenasi e i glucocorticoidi.

I primi interagiscono in varia maniera sia con la COX-1 che con la COX-2, inibendo la produzione di PGE, e annullando il risettaggio dei neuroni termoregolatori e, quindi, la febbre. Tra questi, quasi tutti i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) hanno azione antipiretica, inibendo con varia affinità le due forme di COX. L'aspirina o acido acetilsalicilico rimane tra quelli più utilizzati per la bassa tossicità, in definitiva ben tollerata e accettabile, evidenziata in oltre un secolo di utilizzazione. L'efficacia antipiretica appare collegata alla capacità di inibire la COX cerebrale e, quindi, a come il farmaco arriva oltre la barriera ematoencefalica.

Appare interessante il fatto che uno dei migliori antipiretici di questa classe si è rivelato l'acetaminofene (o paracetamolo) che, pur essendo un inibitore poco efficiente della COX periferica, giunto nel cervello, viene metabolizzato dalle funzioni ossidative miste e nella sua forma ossidata risulta molto attivo come inibitore di COX. E' interessante notare che l'uso cronico di FANS per altre patologie, sia ad alte dosi (artrite) che a basse dosi (prevenzione della trombosi, antiaggregazione piastrinica), non abbassa ulteriormente il set point del centro termoregolatore per cui la temperatura corporea non si abbassa, ma viene mantenuta ai valori normali.

I glucocorticoidi hanno una doppia azione antipiretica. Anzitutto inibiscono una fosfolipasi A2 che altrimenti libererebbe acido arachidonico dai fosfolipidi di membrana, rendendolo disponibile per la sintesi della PGE2 pirogena. Una seconda importante azione è determinata dall'attività antiinfiammatoria che si esplica con l'inibizione dell'espressione di numerosi geni proinfiammatori, tra i quali quelli delle citochine pirogene. Pertanto, l'azione antifebbrile degli antiinfiammatori steroidei risulta complessa per i numerosi siti di azione diretti o indiretti nell'ambito della sequenza di segnali che porta alla febbre.

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