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Aterosclerosi

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Aterosclerosi

Aterosclerosi significa letteralmente indurimento delle arterie ed in generale corrisponde ad un ispessimento della parte delle arterie e ad una loro perdita di elasticità. Più della metà del totale dei decessi nei Paesi sviluppati è dovuta alle conseguenze di questo processo patologico, che includono l'infarto del miocardio, ictus, aneurisma, arteropatie periferiche, ischemia renale etc.

Questa patologia è tipica dei Paesi progrediti perché è strettamente legata alle abitudini alimentari e la sua incidenza aumenta con l'età. Di conseguenza, diventa di minore importanza nei Paesi a dieta scarsa o povera di grassi o dove la vita media della popolazione è ancora molto breve.

In Europa ed in Nord America l'incidenza e la mortalità dovuta alle patologie cardiovascolari sono aumentate fortemente dopo la seconda guerra mondiale in parallelo con un miglioramento delle condizioni alimentari e con un allungamento della vita media. Tuttavia, più recentemente questo trend negativo sta invertendosi in parallelo alla modificazione delle condizioni di vita. Per esempio, è aumentata la pressione sociale per l'eliminazione del fumo, per ridurre il colesterolo con diete appropriate, per controllare farmacologicamente l'ipertensione o la trombosi etc. Inoltre, si hanno più strumenti per intervenire sulle patologie cardiovascolari. In particolare, si sono fatti grossi progressi nella cura dell'infarto acuto attraverso la sostituzione dei tratti vascolari malati con bypass di vasi sani o di materiale emocompatibile, oppure rimuovendo il trombo occlusivo con terapia fibrinolitica o meccanica, quale l'angioplastica o introducendo dispositivi di allargamento del lume come gli stent.

L'aterosclerosi colpisce soprattutto le grosse arterie elastiche come l'aorta, le carotidi e le arterie muscolari mentre è assente nei capillari, nelle vene o nei linfatici. Comincia molto presto nell'arco della vita. Le osservazioni fatte su bambini tra i 10 ed i 14 anni morti per cause accidentali mostrano che nella maggior parte dei casi i vasi erano già compromessi, mostrando i primi infiltrati di grasso nella parete. Il fenomeno dell'aterosclerosi prosegue poi nella vita adulta e nella maggior parte dei casi diventa una malattia diffusa tra i 40 e i 60 anni. Le donne sono in generale protette fino alla menopausa, dopo però ne sono soggette quanto gli uomini e spesso la patologia ha effetti più gravi su di esse perché si manifesta in maniera più rapida e non c'è tempo sufficiente a sviluppare un circolo collaterale in grado di supplire i difetti di perfusione. L'aterosclerosi e le malattie cardiovascolari hanno una distribuzione geografica molto definita. L'incidenza è molto bassa nei Paesi orientali come per esempio il Giappone, ma anche il Sud America e l'Africa. Famoso è il caso di alcune tribù di eschimesi dove le malattie cardiovascolari sono praticamente assenti. La predisposizione ereditaria è importante ma le abitudini alimentari e di vita pesano molto nella diversa distribuzione della malattia. Per esempio, la dieta degli eschimesi, ma in parte anche quella dei giapponesi, è molto povera di grassi saturi e si basa soprattutto su pesce che è ricco di grassi insaturi apparentemente protettivi. A riprova di questo, gli studi fatti su emigrati giapponesi in Nord America mostrano che, mutando lo stile di vita e l'alimentazione, l'incidenza di patologie vascolari è equivalente a quella delle popolazioni locali. Anche considerando l'Europa, vi sono grosse differenze tra i popoli nordici e i popoli mediterranei. Anche in questo caso il forte uso di grassi animali nel primo caso e di carboidrati ed oli vegetali nel secondo è, molto probabilmente, alla base di queste differenze. Il consumo di vino ha un effetto protettivo ma solo in quantità limitate.

Fattori di rischio

Dall'introduzione generale si deduce che vi siano fattori di rischio di tipo diverso associati sia alla predisposizione ereditaria che alle abitudini di vita che incidono fortemente sull'instaurarsi dell'aterosclerosi. Esistono fattori di rischio che non possono essere cambiati ed altri invece che si possono controllare. Ad esempio l'età e il sesso sono fattori di rischio che non si possono mutare. La formazione delle placche aterosclerotiche è un processo lento che prende diversi anni: la loro presenza sarà quindi inevitabilmente più estesa negli individui più anziani. Come accennato sopra, le donne presentano una incidenza inferiore di malattie cardiovascolari prima della menopausa. Si ritiene che gli estrogeni siano responsabili di questa protezione ma l'uso di estrogeni in menopausa non ha sempre mostrato attività protettiva.

Tra i fattori di rischio non modificabili c'è anche la predisposizione ereditaria. In molti casi l'ereditarietà è poligenica e legata alla interazione tra diversi fattori di rischio (ad esempio iperlipidemie e ipertensione) noti o ignoti. In molte condizioni questi parametri sono modificati solo marginalmente e singolarmente avrebbero scarso peso, tuttavia la loro combinazione può essere sinergica. Nello stesso tempo anche tra individui con simile predisposizione ereditaria possono esserci forti disparità di manifestazioni cliniche della patologia e, viceversa, individui con nessuna accertata predisposizione o fattori di rischio apparenti possono manifestare segni importanti di malattia. I fattori di rischio controllabili più importanti sono l'ipertensione, il diabete, l'iperlipidemia e il fumo. Il diabete è frequentemente associato a ipercolesterolemia e ad un aumento marcato di rischio di aterosclerosi. A parità di altri fattori di rischio i diabetici hanno rischio doppio di fare infarto cardiaco rispetto a individui normali e circa 100 volte di più di fare cancrena alle estremità periferiche legata ad alterata perfusione. Anche l'incidenza di ischemia cerebrale è fortemente aumentata. L'ipertensione è un fattore di rischio importante e, in certe condizioni, anche più della iperlipidemia.

La pressione alta può aumentare il rischio di infarto cardiaco fino a 5 volte. Sia per ipertensione che per diabete esistono trattamenti farmacologici efficaci al loro controllo che hanno contribuito alla riduzione drastica della incidenza di patologie cardiovascolari.


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Il fumo è un fattore di rischio conclamato sia per gli uomini che per le donne. Fumare più di due pacchetti di sigarette al giorno per diversi anni può aumentare anche del 200% la incidenza di patologie cardiovascolari. Questo aspetto diventa ancora più marcato se associato ad altri fattori come per esempio la menopausa o l'obesità.

Il meccanismo di azione non è ancora completamente chiarito ma è molto probabilmente legato alla formazione di radicali liberi e ad altri composti ossidanti che contribuiscono al danno della parete. Livelli elevati di omocisteina sono stati associati ad alto rischio di aterosclerosi. Questo è ben provato nei pazienti con "omocisteinuria" e cioè con livelli molto elevati di omocisteina ematica e urinaria per problemi di tipo metabolico. Tuttavia, anche in individui apparentemente normali, livelli sopra la norma di omocisteina possono costituire un fattore di rischio. L'omocisteina può causare danno endoteliale e modificare l'attività vasodilatatrice ed antitrombotica dell'ossido nitrico.

L'iperlipidemia

Questa condizione merita un discorso a parte per la sua importanza. Il colesterolo serico, sia endogeno che derivato dalla dieta, viene trasportato nel sangue dalle lipoproteine.

I chilomicroni trasportano essenzialmente i lipidi di origine alimentare mentre le VLDL (very low density lipoproteine) le LDL (low density lipoprotein) e le HDL (high density lipoproteins) trasportano soprattutto i lipidi endogeni. Le VLDL, dove la componente proteica è costituita dalla Apo E e dalla B100, vengono sintetizzate nel fegato e trasportano i trigliceridi al tessuto adiposo e muscoloso. Dopo la rimozione dei trigliceridi una porzione delle VLDL viene trasformata in LDL che mantengono solo la B100 come lipoproteina. Nell'uomo la maggior parte del colesterolo è trasportato dalle LDL ed un suo aumento è associato a rischio di aterosclerosi.

Le LDL vengono legate ed internalizzate dalle cellule attraverso un recettore specifico che lega la B100. I livelli di LDL circolanti sono determinati dalla capacità delle cellule epatiche di internalizzarle. Infatti, alterazioni di espressione o di funzione del recettore delle LDL ritrovate in una serie di patologie ereditarie portano a livelli molto elevati di colesterolo e ad una altissima incidenza di problemi cardiovascolari. II numero di recettori per le LDL è controllato da meccanismi intracellulari. Livelli bassi di colesterolo aumentano la trascrizione del gene che codifica il recettore.

L'enzima HMGCoA beta-idrossi-3-metilglutaril coenzima A reduttasi regola la sintesi di colesterolo. La sua inibizione causa la diminuzione di colesterolo intracellulare ed ha come conseguenza un aumento di sintesi dei recettori per le LDL sulla membrana cellulare.

Questo a sua volta aumenta il legame e la internalizzazione delle LDL circolanti riducendone gli effetti deleteri sui vasi. Le statine, farmaci molto usati nella cura dell'aterosclerosi, agiscono in parte inibendo la HMGCoA reduttasi e quindi riducendo i livelli plasmatici di LDL. Il chiarimento di questi meccanismi ha permesso di sviluppare topi geneticamente modificati dove i geni codificanti per il recettore delle LDL o per la Apo E sono stati inattivati.

Questo, associato ad una dieta iperlipidica, porta a livelli circolanti di colesterolo elevatissimi e alla comparsa nell'aorta ed altri distretti di placche aterosclerotiche diffuse che assomigliano a quelle osservate nell'uomo.
Questi modelli animali hanno permesso di identificare proteine importanti nella patogenesi dell'aterosclerosi. Per esempio, incrociando i topi ipercolesterolemici con topi che mancano dell'enzima di sintesi dell'ossido nitrico si può accelerare la malattia mentre se l'incrocio è con topi che mancano di proteine di adesione delle piastrine o dei monociti la patologia è ritardata. Si è così potuto identificare nuovi target terapeutici per l'elaborazione di farmaci più mirati contro l'aterosclerosi.

Patogenesi, Fasi iniziali

I primi segni di aterosclerosi si manifestano come accumuli di grasso sotto le cellule endoteliali delle grosse arterie chiamate strie grasse (ofatty streaks). Queste lesioni compaiono anche in età molto giovanile. Sono formate, da un punto di vista istologico, da macrofagi carichi di grasso ed infiltrati nel sottoendotelio. Una delle cause scatenanti più importanti di questo fenomeno è la ossidazione della componente lipidica delle LDL (definite come OxLDL). L'ossidazione può essere minima (minimally oxydized LDL, mmLDL) e non tale da inibire il riconoscimento da parte del recettore delle LDL. Al contrario, se la ossidazione è molto estesa, la apolipoproteina viene frammentata e i suoi residui di lisina sono modificati in maniera covalente con i prodotti reattivi dei lipidi ossidati.

Queste particelle ossidate delle LDL non vengono più riconosciute dal recettore delle LDL ma piuttosto da altri recettori, detti neutralizzanti o "scavenger" presenti sui macrofagi e cellule muscolari lisce della media. Non è chiaro dove e quando le LDL si ossidano. Nel plasma le LDL sono protette da ossidazione ma nel momento in cui, per un minimo aumento di permeabilità endoteliale, si infiltrano e si legano alle proteine della matrice, vengono modificate ed ossidate per azione delle cellule endoteliali e dei macrofagi.

Le mmLDL e le OxLDL possono quindi esercitare una serie di attività proinfiammatorie e protrombotiche che portano prima all'instaurarsi del danno e poi alla sua estensione. In particolare, componenti delle OxLDL aumentano la espressione di molecole di adesione per i monociti sulla superficie endoteliale (quali ICAM1, Intercellular Adhesion Molecule 1 e VCAM, Vascular Adhesion Molecule) e la produzione di chemochine (come ad esempio l'MCP1, Monocyte Chemotactic Proteinl). Questo porta a risposte comparabili a quelle delle condizioni di infiammazione cronica come l'adesione e l'infiltrazione dei monociti nelle zone di accumulo lipidico. In pazienti ipercolesterolemici il recettore per l'MCP1 e la produzione di questa chemochina è, in molti casi, aumentata.
Normalmente non ci sono infiltrati di polimorfonucleati nelle placche nonostante alcune delle molecole di adesione sulla superficie endoteliale siano reattive anche per essi. Le ragioni della loro esclusione non sono completamente chiare.

Come spesso succede in patologia il meccanismo che causa la malattia è inizialmente difensivo. L'infiltrazione dei monociti ha il ruolo di eliminare le OxLDL prima che i loro prodotti possano danneggiare la parete vascolare. Tuttavia, quando l'accumulo dei macrofagi non è controllato può contribuire all'ulteriore progressione del danno. I macrofagi localizzati nella parete possono indurre il reclutamento delle muscolari lisce della media. Questo avviene attraverso la produzione di fattori di crescita e chemotattici per queste cellule quali il PDGF (Platelet Derived Growth Factor), TGF B (Transforming Growth Factor B) e il FGF (Fibroblast Growth Factor). Mettendo insieme tutte queste informazioni se ne conclude che la inibizione della infiltrazione dei monociti nella parete vascolare può essere una strategia per inibire la progressione della placca. Infatti i topi che portano una mutazione nel gene che codifica per l'MCSF (MacrophageColony Stimulating Factor) e mancano quasi completamente di macrofagi sono particolarmente resistenti all'aterosclerosi anche a livelli elevatissimi di colesterolo circolante. Parimenti, i topi che mancano di MCP1 o del suo recettore sviluppano placche aterosclerotiche meno estese.

Fasi più avanzate, accumulo di cellule schiumose

I monociti infiltrati diventano macrofagi e fagocitano le OxLDL caricandosi di lipidi e trasformandosi in cellule chiamate schiumose (foam cells). Questo processo è mediato essenzialmente dal recettore neutralizzante o scavenger e dal recettore CD36. Dopo la fagocitosi, il colesterolo contenuto nei lipidi può essere esterificato e accumulato sotto forma di inclusi lipidici che conferiscono alle cellule il tipico aspetto schiumoso. I macrofagi, però, hanno anche dei meccanismi che mediano la fuoriuscita del colesterolo, passaggio importante per evitare un suo accumulo eccessivo. Uno dei meccanismi più importanti è attraverso le HDL (High Density Lipoproteins). Il colesterolo esce delle cellule attraverso trasportatori di membrana, viene poi legato dalle HDL e riportato in circolo.

Come accennato sopra, i macrofagi contribuiscono alla migrazione delle cellule muscolari lisce nell'intima e negli strati sottoendoteliali. Questo fenomeno caratterizza le fasi più avanzate della placca aterosclerotica. Le cellule muscolari lisce possono proliferare, ma anche legare ed internalizzare le OxLDL attraverso il loro scavenger receptor ed, in questa maniera, acquistare anch'esse le caratteristiche di cellule schiumose. Inoltre, queste cellule producono proteine della matrice e contribuiscono alla formazione del tessuto fibroso che caratterizza le fasi successive della placca. In questa fase, nella placca si osserva anche la presenza di linfociti T attivati. La presenza dei linfociti non è essenziale all'instaurarsi delle placche ma può influire sulla loro progressione. I linfociti Thl producono gammainterferone che ha effetti contrastanti sulla aterogenesi. Questi includono la capacità di ridurre la espressione del recettore scavenger sui monociti e di inibire la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Tuttavia, il gammainterferone induce nei macrofagi la produzione di citochine infiammatorie.

Di recente si è visto che anche il ligando del CD40 ed il suo recettore possono indurre risposte proinfiammatorie e contribuire alla progressione della placca. Per esempio, la loro interazione può indurre la espresse di citochine infiammatorie, recettori di adesione sulle cellule endoteliali ed i macrofagi.
Tutte queste osservazioni indicano che la risposta immune può partecipare e/o inibire l'evoluzione della placca. I macrofagi possono presentare i frammenti delle OxLDL ai linfociti T, questi a loro volta possono attvare i linfociti B a produrre anticorpi diretti contro le OxLDL o proteine modificate durante il processo di formazione di placca.
Questi anticorpi possono essere anche misurati in circolo e costituiscono dei possibili marcatori di progressione della lesione. Vi sono evidenze che alcuni autoanticorpi diretti contro le OxLDL possono inibire il loro legame al recettore scavenger ed inibirne la internalizzazione. Questo suggerisce che in futuro si potrà forse intervenire anche per via immunologica nel prevenire la formazione delle placche arteriosclerotiche.

La rottura della placca

Se l'aterosclerosi è un processo lento la rottura della placca è invece un evento rapido e, nella maggior parte dei casi, impredicibile. La rottura della placca è l'evento più pericoloso nella evoluzione dell'aterosclerosi. Infatti se la placca si rompe induce molto rapidamente l'attivazione delle piastrine e della coagulazione e, di conseguenza, la formazione di un trombo che può occludere il lume vascolare e causare ischemia e necrosi dei tessuti perfusi come nel caso di infarto cardiaco e cerebrale. Ma perché la placca si rompe? L'evoluzione della placca comprende la formazione di un core lipidico formato da cellule schiumose che vanno in buona parte incontro ad apoptosi e dall'accumulo diretto di lipidi. Il core lipidico è delimitato da una capsula fibrosa più o meno spessa.
La capsula è formata da proteine della matrice come fibronettina e collagene secrete ed organizzate dalle cellule muscolari lisce e fibroblasti. Lo spessore della capsula è fondamentale nel determinare la sua fragilità. Al contrario, le dimensioni della placca non sono prognostiche della sua rottura. Frequentemente placche molto grosse ed estese possono presentare una capsula molto spessa e sono quindi abbastanza stabili.

Per contro, placche piccole e poco occlusive possono avere capsule sottili e prone alla rottura in seguito a vasocostrizione o ad altri eventi meccanici. Le dimensioni del core lipidico e lo spessore della capsula sono determinati dall'accumulo di cellule schiumose apoptotiche, dalla liberazione di lipidi e dalla produzione di enzimi litici da parte dei macrofagi. Inoltre, si è visto che il progredire della placca è favorito dalla formazione di nuovi vasi per angiogenesi. La neovascolarizzazione della placca sembra essere importante nell'instaurarsi di microemorragie e nell'aumentare la sua fragilità. La possibilità di modulare lo spessore della capsula aumentando la deposizione di materiale fibroso può essere un goal terapeutico importante.

Si pensa che in realtà quasi tutte le placche durante la loro evoluzione vadano incontro a successive microemorragie che portano ad attivazione della coagulazione ed eventualmente alla deposizione di fibrina. Infatti, è frequente ritrovare depositi di fibrina o dei suoi derivati nelle placche aterosclerotiche nell'uomo. Frequentemente queste microfratture delle placche restano silenti. La rottura acuta di placca è invece estremamente pericolosa.

Questo evento causa trombosi perché le cellule muscolari lisce ed i macrofagi esprimono tromboplastina sulla loro membrana che attiva la coagulazione e la formazione di trombina. Inoltre, il materiale fibroso ed i lipidi esposti inducono l'adesione ed attivazione delle piastrine. Questi eventi possono essere rapidissimi e portare alla completa occlusione del vaso in pochi minuti. Le conseguenze possono essere molto gravi, se non c'è un circolo collaterale adeguato, e portare ad ischemia e necrosi del tessuto perfuso come per esempio nell'infarto cardiaco. Se invece il progredire della placca aterosclerotica causa una restrizione del lume vascolare relativamente lento, questo permette lo svilupparsi di circoli collaterali che limitano l'entità dell'ischemia.
 

Aterosclerosi come risposta infiammatoria cronica

Come si può dedurre dalle osservazioni riportate sopra, la formazione e soprattutto la evoluzione della aterosclerosi hanno moltissime caratteristiche simili ai processi infiammatori cronici. Le cellule che partecipano al processo quali i monociti/macrofagi e i linfociti T sono tipiche delle lesioni infiammatorie croniche: la migrazione dalla media e la proliferazione delle cellule muscolari lisce, la deposizione di materiale fibroso e di fibrina seguono vie di attivazione simili a quelle indotte nei fenomeni di riparazione. Il danno ripetuto alla parete, legato alla deposizione ed ossidazione lipidica, porta ad una serie di risposte inizialmente di difesa, quali la infiltrazione dei monociti macrofagi, che possono però diventare patologiche nel momento in cui si cronicizzano. Anche la rottura della placca e la formazione del trombo che ne consegue sono di per sé un meccanismo di difesa. Infatti, l'organismo reagisce al danno vascolare innescando fenomeni emostatici come farebbe in caso di ferita. Purtroppo l'evento avviene nel posto sbagliato e così può avere conseguenze deleterie. La considerazione che l'aterosclerosi è una patologia infiammatoria introduce il concetto che marcatori circolanti di infiammazione potrebbero essere predittivi della presenza di placche aterosclerotiche in evoluzione. Alcuni dati sembrano confermare questa ipotesi. Per esempio, livelli elevati di citochine infiammatorie quali il TNF (Tumor Necrosis Factor) o IL6 (interleuchina6), o proteine di adesione endoteliali quali il VCAM, ICAM1 in forma solubile e circolante sono stati associati ad un rischio più elevato di eventi cardiovascolari. Ancora più stretta è l'associazione tra patologie cardiovascolari e la proteina C reattiva e la pentrassina 3 che sono tipiche proteine della fase acuta della infiammazione. Inoltre, questi parametri sono misurabili nel plasma e potrebbero costituire un importante strumento di monitoraggio della evoluzione della patologia.


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