La coagulazione è l'attivazione sequenziale a cascata di una serie di proteasi
plasmatiche che porta alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina,
catalizzata dalla trombina. La fibrina, polimerizzando sotto l'azione del
fattore XIII (una tipica transglutaminasi), forma un reticolo e, insieme con le
piastrine aggregate e i globuli rossi intrappolati, costituisce il tappo
emostatico o coagulo.
I vari aspetti di questa sequenza comprendono:
a) I fattori coinvolti, soprattutto le proteine coagulative, la loro natura,
origine e localizzazione.
b) I meccanismi che attivano la cascata coagulativa.
c) La sequenza degli eventi biochimici.
d) La regolazione e il controllo della sequenza.
e) Le relazioni con gli altri sistemi dell'emostasi, come le piastrine, la
parete dei vasi e il sistema fibrinolitico.
Sono proteine che circolano nel sangue o sono legate a cellule (piastrine, endotelio, cellule di tessuti) in forma inattiva. Quando vengono attivate molte di esse mostrano un'azione proteasica, potendo riconoscere e opportunamente idrolizzare altri fattori inattivi nella sequenza coagulativa. Questi fattori vengono a loro volta attivati, fino alla trasformazione della protrombina in trombina. Quest'ultima trasforma il fibrinogeno in monomeri di fibrina che, infine, vengono polimerizzati e stabilizzati dal fattore XIII attivato, una transglutaminasi che arricchisce la fibrina monomerica di zuccheri, facilitandone la polimerizzazione. La sintesi delle proteine della coagulazione avviene nel fegato, mentre le cellule endoteliali sintetizzano il fattore di von Willebrand. La sintesi epatica della protrombina e dei fattori VII, IX e X è dipendente dalla presenza di vitamina K in una delle sue due forme K, o K2. La vitamina K, si ritrova nei cibi, la vitamina K2 viene sintetizzata dai batteri intestinali (colon), ambedue vengono assorbite soprattutto a livello dell'ileo terminale. Essendo ambedue liposolubili, è necessaria la presenza dei sali biliari. La vitamina K costituisce il coenzima essenziale per una carbossilasi del reticolo endoplasmatico della cellula epatica; questo enzima completa la sintesi dei fattori VII, IX, X e della protrombina, aggiungendo i gruppi y-carbossilici all'acido glutammico di questi polipeptidi. Questo evento post-traduzionale è importante perché tali gruppi sono necessari per l'aggancio dei fattori alla membrana piastrinica con la mediazione del Ca++. I geni per le proteine della coagulazione sono localizzati nei cromosomi autosomici, eccetto quelli per il fattore Vili e il fattore IX vicini al telomero del braccio lungo del cromosoma X.
La coagulazione viene controllata mediante due principali meccanismi: a) il sistema fibrinolitico per l'inattivazione e/o la demolizione proteolitica della fibrina e dei prodotti delle diverse attività enzimatiche; b) il secondo è il sistema di inattivazione delle proteasi attive mediante inibitori a diversa specificità. Il principale effettore del primo meccanismo è il sistema fibrinolitico, nel secondo meccanismo agiscono le antiproteasi, come l'antitrombina III, la proteina C, la proteina S e altre molecole chiamate serpine, acronimo dall'inglese serio protesse inhibitors. Il sistema fibrinolitico, a sua volta, viene controllato strettamente da fini meccanismi di attivazione e inibizione retrograda.
La fibrinolisi è un processo proteasico che permette il controllo della progressione dell'amplificazione della coagulazione e l'eliminazione del coagulo. Tale controllo deve avvenire nel tempo, in maniera da permettere che il danno vasale venga riparato. Si comprende quindi come la sua azione debba essere ben calibrata e controllata da rigorosi meccanismi retrogradi. Il sistema fibrinolitico comprende: a) il plasminogeno, il sub-strato da cui origina la plasmina o fibrinolisina; b) gli attivatori del plasminogeno; c) gli inibitori degli attivatori del plasminogeno; d) gli specifici inibitori della plasmina. Questi ultimi appartengono alla famiglia delle serpine. Il plasminogeno viene prodotto dal fegato e si ritrova nel sangue in forma inattiva. In seguito ad opportuna attivazione proteolitica dà origine alla plasmina o fibrinolisina.
Gli attivatori del plasminogeno sono presenti nel plasma, nelle cellule endoteliali e in altri tessuti dell'organismo; derivano in genere dai lisosomi dei tessuti danneggiati e in necrosi e vengono definiti attivatori naturali del plasminogeno. Sono molecole ad attività enzimatica il cui sito attivo contiene una serina, perciò sono anch'essi delle serinproteasi come le proteine della coagulazione. Sono capaci di attivare direttamente il plasminogeno trasformandolo in plasmina; quest'ultima rappresenta l'enzima più efficiente per la demolizione della fibrina, sia monomerica che polimerizzata, in frammenti detti fibrinopeptidi. Tra gli attivatori naturali del plasminogeno da ricordare l'urochinasi, presente nel sangue e anche nelle urine e nei vari filtrati del nefrone, dove presiede all'importante funzione di mantenere pervio il lume dei tubuli renali, liberandolo dall'eventuale fibrina. Esistono anche attivatori esogeni del plasminogeno, tutti di origine batterica o farmacologica. Alcuni ceppi di stafilococchi e streptococchi emolitici producono rispettivamente stafilochinasi e streptochinasi; essi non sono serinproteasi; agiscono indirettamente mediante la preventiva formazione di un complesso attivatore+plasminogeno. Questo complesso invece possiede Vattività serin-proteasica capace di attivare altre molecole di plasminogeno. Quest'ultimo, prima che possa essere attivato, dev'essere adsorbito sulla superficie dei polimeri di fibrina da un attivatore naturale plasmatico o comunque legato sulle cellule endoteliali del luogo della lesione; anche la calli-creina generata nell'attivazione del F.XII può attivare il plasminogeno, se questo è adeso ai polimeri di fibrina. Gli attivatori del plasminogeno sono normalmente controllati da specifici inibitori, detti PAI-1 e PAI-2 (plasminogen activator inhibitor) che, legandosi agli attivatori del plasminogeno, limitano a monte la disponibilità di plasmina. Infine, l'attività della plasmina viene controllata direttamente da una serie di molecole inibitrici della famiglia delle serpine, presenti normalmente nel sangue in forma attiva. Tra queste risultano efficaci, grazie alla loro affinità per la plasmina, soprattutto l'a2-antiplasmina e, in misura minore, a2-ma-croglobulina e ì'antitrombina III. Da ricordare che l'AT-lll riconosce molti altri substrati, potendo controllare altri fattori attivi, come la trombina e i fattori Xlla, Xla e Xa.
I fattori della coagulazione agiscono in sequenza nell'ambito di due sistemi: il sistema intrinseco e il sistema estrinseco. I componenti del
primo sono tutti presenti nel sangue. Il sistema intrinseco inizia con
l'attivazione del fattore XII di Hagemann, la prima serin-proteasi che fa
progredire la sequenza. Al sistema estrinseco partecipano componenti di
derivazione esterna al sangue, provenienti dal tessuto danneggiato (fattore
tissutale e componenti delle membrane) e la sua funzione è legata
all'attivazione del fattore VII (che avviene con la formazione del complesso
F.VII + Fattore tissutale).
Dall'attivazione del fattore X in poi, la sequenza è comune ai due sistemi fino
alla trasformazione del fibrinogeno in fibrina. I due sistemi, inoltre,
presentano differenti vie di attivazione che rendono questa parte iniziale della
sequenza molto complessa e ricca di alternative. In particolare, esistono almeno
tre vie di attivazione del sistema intrinseco e due per quello estrinseco.
a) Il fattore XII viene attivato dall'adsorbimento (contatto) con il
chininogeno ad alto peso molecolare (Fattore di Fitzgerald) e con le superfici subendoteliali cariche negativamente (collagene e altre molecole della
matrice) ed eventualmente con tossine batteriche II fattore Xlla attiva il F.XI,
iniziando con la sequenza del sistema intrinseco. Il F.XII attivato è coinvolto
anche in altre vie biochimiche.
b) L'esposizione delle strutture sottoendoteliali e la liberazione di ADP, in
seguito al danno tissutale, attivano le piastrine che possono attivare il F.XII,
oppure direttamente il F.XI. Da qui procede la sequenza del sistema intrinseco.
c) I detriti cellulari circolanti, contenenti fattore tissutale, provenienti
dal tessuto danneggiato possono attivare direttamente il fattore IX. A questo
proposito, va ricordato che la massima efficienza, sia nell'attivazione che
nello svolgimento del resto della cascata coagulativa, viene acquisita quando i
fattori vengono ordinatamente legati ad una membrana da ponti Ca++ grazie ai
gruppi y-carbossiglutamici dei fattori dipendenti dalla vitamina K (fattori
VII, IX, X, e protrombina).
Le due vie per l'attivazione del sistema estrinseco sono ambedue confluenti nella
formazione del complesso [fattore VII+fattore tissutale]. La prima è
rappresentata dall'azione sinergica del contatto tra le superfici
subendoteliali cariche negativamente e il fattore di Fitzgerald (chininogeno ad
alto peso molecolare); essi attivano la precallicreina in callicreina, la quale
a sua volta attiva il fattore XII e, quindi, il fattore VII, evidenziandone
l'attività serin-proteasica per il fattore X. Tuttavia, la principale via di
attivazione del fattore VII è rappresentata dalla diretta formazione del
complesso con il fattore tissutale sulle membrane e organuli derivati dal
tessuto danneggiato.
Il sistema intrinseco è costituito dal fattore XII o fattore di Hagemann e dal
chininogeno ad alto peso molecolare o fattore di Fitzgerald al quale sono legati
il fattore XI e la precallicreina. Il fattore Xla attiva il fattore IX che, a
sua volta, interagisce con il fattore VIII:C. Ambedue con l'intervento del Ca++
vengono legati alle piastrine e qui attivano il fattore X.
Il fattore Xa si lega sulle piastrine al fattore V, formando un complesso
stabile e attivo. Il F. V adsorbito dal plasma o secreto dai granuli a delle
piastrine viene attivato a parte da una specifica proteasi piastrinica. Il
fattore Xa presente in questo complesso è capace di attivare la protrombina
adsorbita alle piastrine per mezzo del Ca++ e dei gruppi
gamma-carbossil-glutamici e poi dividerla in due porzioni. Di queste, una rimane
attaccata alle piastrine stabilmente per mezzo del Ca++, l'altra va in circolo
come trombina, dove esplica le sue complesse funzioni. La trombina: a) induce
ulteriore ed efficace aggregazione delle piastrine non ancora coinvolte; b)
attiva ulteriormente il F.VIIhC e il fattore V aderenti alle piastrine; c)
trasforma, soprattutto, il fibrinogeno in monomeri di fibrina; d) infine, attiva
il fattore XIII responsabile della polimerizzazione stabile dei monomeri di
fibrina.
In conclusione, il sistema intrinseco svolge la sua azione sulla superficie
delle piastrine aggregate e cioè dove è necessaria la formazione di fibrina e l'amplificazione
della risposta piastrinica per la formazione del coagulo.
Nel sistema estrinseco il fattore X può essere attivato dal fattore VII attivo
sulle membrane cellulari e su quelle degli organuli del tessuto danneggiato;
questo fattore, a sua volta, viene attivato mediante formazione di un complesso
equimolare dal fattore tissutale (o tissue factor), una proteina di tipo
citochinico prodotta da quasi tutte le cellule dei tessuti che circondano i
vasi, eccetto endotelio e leucociti. Il fattore XII attivo sembra capace di
attivare il fattore VII direttamente sulle membrane cellulari.
La coagulazione è circoscritta nel punto di lesione del tessuto ed essa
tenderebbe ad amplificarsi e a propagarsi fino a coagulare tutto il sangue, se
non fossero presenti fattori inibenti che contrastano l'azione di quelli
attivanti e amplificanti. La regolazione viene attuata da tre differenti
sistemi: la famiglia di antipro-teasi dette serpine (o inibitori delle
serin-proteasi), dal sistema fibrinolitico e dal sistema antifibrinolitico.
Tuttavia, la proteina F.VIII può essere presente in concentrazioni normali, ma
risulta inattiva per mutazioni in siti cruciali per la funzione.
Per esempio, sostituzioni aminoacidiche dei residui Arg372 e Argl689 risultano
importanti nella perdita della capacità di attivare la trombina; la
sostituzione della Tyrl709 con Cysl709 o della Tyrl680 con Phel680 impedisce la
formazione del complesso F.VIII:C+vWF che, a sua volta, provoca la rapida
demolizione del F.VIII in circolo.
Viene trasmessa dal cromosoma X come carattere recessivo; nella
femmina eterozigote, non si manifesta la malattia, ma essa viene trasmessa al
50% della prole. Di questa, i maschi, nei quali vi è il solo allele patologico,
manifestano la malattia con vari gradi di severità a seconda della penetranza
del gene, e trasmettono il gene mutato a tutte le figlie femmine, ma a nessuno
dei maschi. La diversa espressione dei due alleli X nelle femmine permette che
il F. VIII sia mantenuto ad un livello vicino al 50% di quello normale e,
quindi, che la malattia non sia clinicamente manifesta. I rarissimi casi di
emofilia femminile clinicamente manifesta sono stati quasi tutti attribuiti ad
alterata lionizzazione del cromosoma X. Sono anche stati descritti casi di
emofilia A sporadici, non familiari. Questi evidenziano la possibilità di
mutazioni sporadiche nelle cellule germinali dei genitori.
La terapia dell'emofilia A è stata per anni attuata con concentrati di plasma di
pazienti sani. Purtroppo questa via ha drammaticamente evidenziato la
possibilità di trasmettere, attraverso questi derivati plasmatici, vari tipi di
virus come HIV, virus B e C dell'epatite. Tecniche di biologia molecolare hanno
permesso la produzione delle proteine ricombinanti umane necessarie a questi
pazienti, senza le complicazioni e i pericoli dei concentrati plasmatici.
è una malattia emorragica nella quale manca l'attività del fattore IX, legata,
come l'emofilia A, al cromosoma X, come carattere recessivo. Presenta le
stesse caratteristiche cliniche e genetiche dell'emofilia A. dalla quale è
indistinguibile, se non si dispone di un adeguato e accurato studio del blocco
coagulativo e delle attività dei fattori. Sono state descritte numerose varianti
mutazionali simili nei meccanismi a quelli visti per il fattore VIII.
In ambedue i casi di emofilia l'alterazione della sequenza coagulativa si
manifesta per la mancata attivazione del fattore X e quindi con il blocco del
sistema intrinseco. Il sistema estrinseco si presenta normalmente attivato. La
diagnosi differenziale tra le due emofilie si esegue generalmente con la
misurazione dell'attività dei due fattori o con esami di biologia molecolare,
oggi entrati nella routine.
Sono malattie autosomiche dominanti di rarissima osservazione per le quali si
rimanda ai testi di Patologia genetica.
Sono malattie che nella maggior parte dei casi riguardano la cellula epatica e
le sue capacità sintetiche; altre volte, la produzione è normale, ma i fattori
vengono inattivati in circolo da specifici anticorpi o da iperfunzione dei
sistemi di controllo o, infine, da farmaci, tossici e molecole inattivanti,
presenti nel sangue.
La mancanza di vitamina K può essere dovuta a carenze alimentari (vitamina K,)
o a deficiente produzione da parte della flora batterica intestinale (vitamina
K2), come si verifica nel corso di terapie antibiotiche prolungate e improprie o
di altre malattie intestinali in cui viene alterato l'equilibrio della flora
batterica intestinale probiotica.
La carenza di vit. K rende inattiva la carbossilasi epatica. Questo enzima
aggiunge gruppi y-carbossilici all'acido glutamico dei fattori coagulativi
nascenti, rendendoli funzionali. In particolare, la mancanza di tali gruppi non
permette alla trombina, ai fattori VII, IX e X di potersi legare, per mezzo di
ioni Ca+ + , alle membrane piastriniche e a quelle cellulari liberate dai
tessuti danneggiati.
In queste condizioni, pertanto, in circolo si ritroveranno proteine coagulative
non funzionali e alterate nella struttura. La sindrome emorragica
che si manifesta può essere molto grave, ma viene rapidamente (anche solo
qualche ora) risolta mediante somministrazione di vit. K. Oltre a questi fattori
della coagulazione, si ritroveranno anche forme inattive della proteina C e
della proteina S (vedi avanti).
La cellula epatica sintetizza quasi tutte le proteine della coagulazione,
inclusi i fattori non dipendenti dalla vit. K, e molte molecole di controllo con
la sola eccezione del fattore di von Willebrand, dell'attivatore del
plasminogeno e poche altre. Da questo si comprende che un danno anatomico o
funzionale agli epatociti, che coinvolge la sintesi proteica, può rapidamente
portare a una grave sindrome emorragica per deficienza dei fattori qui
sintetizzati. Tale sindrome viene ulteriormente aggravata dalla Proteolisi
Intravascolare Disseminata (o Coagulazione Intravascolare Disseminata), ehe più
facilmente si scatena per la mancata sintesi degli inibitori sia della
coagulazione che della plasmina antitrombina III, proteina C, proteina S,
ecc.).
Nelle terapie anticoagulanti, in caso di trombo-embolismo normalmente si
utilizzano soprattutto due elassi di farmaci: i composti cumarinici (o warfarina) e
l'eparina. Ambedue possono dar luogo a eccessiva azione
anticoagulante e conseguenti manifestazioni emorragiche.
ai I composti cumarinici hanno azione antagonista alla vit. K, della quale sono
analoghi chimici e con la quale competono a livello della carbossilasi,
inattivandola.
Perciò si avranno fattori della coagulazione (protrombina, F.VII, IX, X) e
proteina C con diminuiti o assenti gruppi carbossilici, incapaci di legarsi
alle membrane e di esplicare efficientemente la loro azione.
b) l'eparina è un mucopolisaccaride carico negativamente, presente nei granuli
di basofili e mastcellule, che si lega da una parte all'antitrombina-III
circolante e dall'altra alla membrana delle cellule endo-teliali, attivando
così questa molecola. L'AT-III attivata inattiva la trombina e
altri fattori (fattori Xlla, Xla, IXa, Xa e plasmina). Sinergico a questa azione
è l'effetto trombocitopenico, probabilmente dovuto alla formazione di anticorpi
an-tieparina e, quindi, all'adsorbimento del complesso eparina-anticorpo sulla
membrana piastrinica. Sembra che tale evento sia capace di stimolare l'aggregazione
in vivo, causando tromboembolismo e rapida caduta del numero delle piastrine
circolanti.
Le proteine della coagulazione presentano numerosi antigeni complessi
specie-specifici. L'innescarsi di meccanismi autoimmuni, o in seguito a
trasfusioni multiple, o trattamento coagulante con concentrati ematici di
fattori, può indurre la formazione di autoanticorpi (IgG e/o IgM)
neutralizzanti verso uno o più fattori. L'inattivazione che ne consegue è
responsabile di manifestazioni emorragiche. Un esempio è dato dall'emofilia A
con inibitore, in cui l'inibitore è costituito da uno specifico anticorpo
contro il fattore VIII.
Probabilmente il controllo dell'emostasi, e soprattutto della coagulazione,
rappresenta il tallone di Achille dell'omeostasi nella specie umana. Il controllo della coagulazione si avvale di due
principali sistemi: il primo di inattivazione e demolizione proteolitica delle
diverse attività enzimatiche e della fibrina; il secondo di un sistema di antiproteasi che regola negativamente questa attivi:, proteolitica. Pertanto, le
alterazioni del controllo della coagulazione comprendono le malattie del sistema
fibrinolitico con manifestazioni cliniche variegate (ce prevalenza di sintomi
emorragici) e le deficienze delle antiproteasi con manifestazioni di trombosi
prevalentemente venosa. Sono state descritte numerose malattie genetiche
riguardanti il controllo della coagulazione.
Il principale inibitore della plasmina è l'alfa2-antiplasmina; anche l'alfa2-macroglobulina
e, in misura minore, l'AT-III inibiscono la plasmina. La loro deficienza
genetica o acquisita, permette un'azione eccessiva d: questa proteasi; ne
conseguono eccessiva fibrinolisi e manifestazioni emorragiche da consumo dei
fattori, specialmente del fibrinogeno. Tutte queste malattie, non sempre
clinicamente ben distinguibili, vengono semplicemente indicate con il termine
generale di smammi iperfibrinolitiche.
E' stata descritta una sindrome emorragica familiare dovuta a deficienza genetica
di avantiplasmina.
La plasmina originata dal plasminogeno rimane attaccata alla fibrina, in
maniera da degradarla progressivamente in vari frammenti (Fig. 61.17). In
particolare, la plasmina scinde i legami covalenti tra i monomeri che formano il
polimero di fibrina, liberando fibrinopeptidi di circa 90-50 kDa. Questi
frammenti, una volta immessi in circolo, esercitano attività chemiotattica per
macrofagi, neutrofili e altri leucociti, per cui ad essi viene riconosciuto un
ruolo importante nella riparazione, nella patogenesi dei danni tissutali e
nell'azione difensiva della risposta infiammatoria. La plasmina attiva anche
altri sistemi proteasici come il complemento e il sistema del chininogeno, per
cui è importante il suo ruolo nella progressione della risposta flogistica.
SERPINE: CONTROLLO DELLE SERIN-PROTEASI DELLA COAGULAZIONE
L'attivazione e l'amplificazione sono associate alla proprietà serin-proteasica
dei vari fattori i quali da substrati diventano essi stessi enzimi. Poiché il
sito attivo di questi enzimi contiene una molecola di serina, fattori attivati
vengono anche designati con il termine comune di serinproteasi. La famiglia
delle serinproteas comprende anche altre molecole non strettamente appartenenti
alla cascata coagulativa. Va notato, infine, che il fibrinogeno, il fattore V,
il fattore Vili, il fattore XIII e il chininogeno ad alto peso molecolare non
sono serinproteasi. è necessario controllare l'attività di quest enzimi mediante
le serpine che hanno azione inibitrice e regolatrice sull'attività
serinproteasica (Fig. 61.18) La più importante è YAntitrombina III (AT-III),
capace di agire sulla maggior parte dei fattori attivati e specialmente sulla
trombina. Questo conferisce all'AT-lll un ruolo centrale non solo nella
regolazione della coagulazione ma anche, quando la sua azione sia deficiente o
assente, nella genesi dei fenomeni trombotici. Nella sua azione sulla trombina,
l'AT-lll da sola risulta poco efficiente e lenta; mentre legata all'eparina
eventualmente presente nel sangue, è in grado di inattivare rapidamente il
sito attivo della trombina (Fig. 61.16). Per quest'ultima proprietà l'eparina,
un mucopolisaccaride contenuto in grande quantità nei granuli delle mastcel-lule
o granulociti basofili, assume un importante ruolo di cofattore inibitore della
coagulazione. La proteina C (diversa dalla proteina C reattiva
dell'infiammazione è presente nel sangue o adesa alle cellule endoteliali, viene
prodotta dal fegato ed è anch'essa dipendente dalla vit. K per i gruppi
y-carbossilglutamici necessar alla sua adesione alle membrane. Inattiva
specificamente il fattore VIII e il fattore V che si libera nella zona della
lesione.
In conclusione, sembra chiaro che in questo fine gioco di attività antagoniste o
sinergistiche dei vari fattori tra loro risiede l'intrinseca capacità di
regolazione e di modulazione della cascata coagulativa.
La mancanza di uno di questi fattori può dare luogo a situazioni trombofiliche,
oppure alla prevalenza del sistema fibrinolitico su quello coagulativo, causa di
gravi manifestazioni emorragiche (vedi avanti Sindromi iperfibrinolitiche).