Un paziente si presenta al pronto soccorso per una perdita di coscienza, generalmente in buone condizioni generali, compatibilmente con le sue condizioni di base e con esame neurologico nei limiti: non segni di lato, buona motricità, manovra di Mingazzini negativa per gli arti superiori ed inferiori, orientato, lucido, pressione nella norma, polso ritmico, normofrequente, eupnoico ecc. Che fare? A quali patologie pensare? Intanto partiamo sempre da una buona anamnesi.
Occorre che i presenti ci raccontino i fatti con attenzione e con dovizie di particolari, senza incutere in loro timori. Dedichiamo all'anamnesi del paziente la giusta attenzione ed il giusto tempo: il paziente aveva clonie agli arti, si è morsicato la lingua? Era sudato, cianotico? Era a digiuno da tempo o aveva pranzato? E' diabetico? Si era alzato dal letto per urinare? Soffre di artimie? E' cardiopatico? Ha avuto degli ictus in passato? Ha una ateromasia dei tronchi sovra-aortici, una stenosi della carotide? Era nervoso? Aveva litigato con qualcuno e si è sentito male? E' stato dritto e fermo all'impiedi? Era in un ambiente caldo, es. in discoteca? Aveva calato designer drug, per es. ectsasy? E' in gravidanza? Quindi procediamo con criterio e vediamo quali indagini prescrivere...
Le indagini di primo livello includono innanzitutto una dettagliata anamnesi. Questa deve mirare a rivelare la presenza di cardiopatie note, familiarità per cardiopatie o morte improvvisa, precedenti episodi sincopali, malattie neurologiche, malattie metaboliche. Va inoltre ricercata l'assunzione di qualsiasi tipo di farmaco verificandone il potenziale contributo all'episodio sincopale. Andranno successivamente analizzate, con attenzione, le caratteristiche dell'episodio di perdita di coscienza. Per prima cosa bisognerà raccogliere informazioni sulle circostanze in cui è avvenuto l'episodio: la situazione ambientale (luoghi caldi e affollati, situazione stressante), la posizione (seduta, ortostatismo, supina), l'attività svolta in quel momento (mangiare, sforzo fisico, riposo, movimenti del collo, urinare, defecare, tosse, sbadigliare).
Successivamente andranno analizzate con attenzione le caratteristiche di esordio (presenza di cardiopalmo, offuscamento della vista, nausea, sudorazione, convulsioni) e gli elementi oggettivi rilevabili durante l'episodio, generalmente descritti da persone che erano presenti in quel momento (colore della cute, dilatazione delle pupille, convulsioni, incontinenza sfinterica, morso della lingua, polso e pressione arteriosa). Infine anche l'analisi dei momenti successivi al recupero della coscienza possono essere utili per determinare l'origine della perdita di coscienza, verificando la velocità con cui il soggetto recupera una condizione di benessere e l'eventuale persistenza di sintomi quali dolori muscolari, nausea, vomito, disorientamento, cefalea.
Sulla base di queste informazioni sarà possibile con buona precisione stabilire
se la perdita di coscienza è da considerarsi di tipo neurologico (non sincopale)
o sincopale.
Nell'interrogare il paziente va considerata la possibile presenza, in
particolare nei soggetti anziani, di una amnesia retrograda, che a volte fa
negare la presenza di sintomi prodromici. Anche per questo motivo le
informazioni ottenibili da testimoni dell'episodio possono rivelarsi spesso
molto utili.
All'interno del primo livello diagnostico va condotto anche un esame obiettivo
accurato, volto principalmente all'esclusione di patologie cardiache o
neurologiche e alla valutazione della pressione arteriosa, che andrà misurata
in posizione supina e in ortostatismo.
Una riduzione della pressione arteriosa
sistolica maggiore o uguale a 20 mmHg, o una riduzione della pressione sistolica
al di sotto dei 90 mmHg, nel passaggio dal clino all'ortostatismo, definisce la
presenza di una ipotensione ortostatica, in presenza o meno di sintomi.
Sempre all'interno della valutazione iniziale andrà eseguito infine un
elettrocardiogramma, con lo scopo principale di contribuire a escludere la
presenza di cardiopatie e al tempo stesso di rivelare la presenza di eventuali
aritmie, sindromi da pre-eccitazione, o le sindromi del QT lungo e di
Brugada.
In questa fase può rivelarsi particolarmente utile, soprattutto in soggetti con più di 40 anni, l'esecuzione di un massaggio del seno carotideo. Questa semplice manovra, che andrebbe eseguita sia in clino sia in ortostatismo, consiste nel massaggiare il margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo, all'altezza della cartilagine cricoidea, per circa 5-10 secondi. Può fornire immediatamente la diagnosi finale, svelando la presenza di una ipersensibilità del seno carotideo.
Per stabilire la presenza di questa patologia è necessario che il
massaggio causi sintomi in presenza di una pausa di durata maggiore di 3 secondi
e/o una caduta della pressione arteriosa sistolica maggiore o uguale di 50 mmHg.
Va eseguita sempre in ambiente protetto, per evitare che un paziente vada
in arresto cardiaco! In caso si evidenzi una asistolia prolungata, per
valutare se la riduzione di pressione è dovuta esclusivamente alla diminuzione
della frequenza cardiaca oppure è legata alla presenza di una componente
vasodepressiva, il test andrà ripetuto dopo la somministrazione di atropina.
Prima di eseguire il massaggio deve essere esclusa la presenza di eventuali
soffi carotidei che possano rivelare la presenza di arteriopatie di questi vasi.
Complicanze neurologiche accadono con una frequenza di 1/5000 casi.
Va sottolineato che il riscontro di una ipersensibilità del seno carotideo è una
condizione necessaria, ma non sufficiente, per porre una diagnosi di sincope
legata a disfunzione del seno carotideo. Infatti se in quest'ultimo caso i
pazienti sono sintomatici per bradicardia, vertigini, lipotimie o sincope,
molti soggetti con ipersensibilità del seno carotideo sono del tutto
asintomatici e non richiedono alcun trattamento.
Al termine di questa prima fase si può giungere a una diagnosi definitiva in più
del 50-55% dei casi.
Se al termine della prima fase diagnostica non si è giunti a conclusioni certe
in merito all'origine dell'episodio, il paziente andrà indirizzato a indagini
strumentali più specifiche. La scelta degli esami da eseguire non deve essere
prettamente protocollare, ma andrà personalizzata su ogni soggetto in base alle
informazioni emerse precedentemente.
Se si sospetta un'origine neurologica o vascolare della perdita di coscienza, il
paziente andrà quindi indirizzato a esami specifici, che comprenderanno
l'elettroencefalogramma e l'ecografia Doppler dei vasi sovra-aortici. In casi
selezionati potranno successivamente essere necessarie indagini più approfondite
come la tomografia assiale computerizzata o la risonanza magnetica cerebrale.
Le
indagini neurologiche portano peraltro a una diagnosi solo in una bassa
percentuale di casi, variabile tra 1' 1 e il 4%.
Nel caso si sospetti un'origine cardiaca della sincope, o quando al termine
della prima fase diagnostica non vi siano elementi utili al fine di ottenere una
diagnosi sospetta, andranno innanzitutto eseguiti gli esami che consentono di
escludere o confermare la presenza di una cardiopatia. In questo caso il primo
esame da eseguire è un ecocardiogramma, pur considerando che in assenza di
elementi diagnostici all'esame obiettivo e all'elettrocardiogramma la
probabilità di ottenere elementi decisivi è molto ridotta.
Altro esame teso a rivelare la presenza di una patologia cardiologica è il test
da sforzo.
Questo esame è particolarmente indicato nel caso in cui l'episodio
sincopale spontaneo si verifichi durante esercizio fisico o immediatamente dopo
la sua conclusione. Anche se la presenza di ischemia miocardica inducibile è
difficilmente presente in pazienti con sincope, il test può risultare utile per
svelare la comparsa o la scomparsa, di aritmie ipo- o ipercinetiche durante
sforzo fisico e fornisce utili informazioni sulle modificazioni della pressione
arteriosa durante e dopo esercizio.
Se si sospetta che la causa della sincope sia un'aritmia, una registrazione ECG
Holter di 24 ore può fornire, a volte, utili informazioni. La sensibilità
diagnostica è peraltro bassa, circa il 2%. Naturalmente solo occasionalmente è
possibile disporre di una registrazione ottenuta durante un episodio spontaneo
di sincope. Più frequentemente i pazienti risultano asintomatici durante le
registrazioni in circa il 79% dei casi, e nelle poche occasioni in cui vengono
riferiti sintomi (19%) solo in una minoranza si rivelano associati ad aritmie
(4%). I registratori di eventi dispongono di una maggiore autonomia rispetto
all'Holter convenzionale, fornendo registrazioni per un periodo massimo che in
generale raggiunge i sette giorni. Le modalità di funzionamento di questi
strumenti sono solitamente di due tipi: manuale e automatica.
Con la prima
funzione il paziente può, semplicemente premendo un tasto, far memorizzare
dallo strumento un tratto di elettrocardiogramma di durata variabile (circa 30
secondi), nel momento in cui percepisce una sintomatologia presincopale. La
funzione automatica prevede invece che sia il registratore stesso a riconoscere
la comparsa di eventi aritmici, quali pause o tachicardie sopraventricolari o
ventricolari, e a memorizzarli al suo interno. Quindi anche se il paziente perde
coscienza lo strumento continua comunque l'analisi dell'elettrocardiogramma. Per
poter sperare di ottenere informazioni utili è tuttavia necessario che il
paziente presenti frequenti episodi sintomatici. Alcuni dispositivi consentono
anche la trasmissione transtelefonica delle registrazioni memorizzate dal
paziente all'ospedale per via transtelefonica, permettendone una rapida analisi
da parte del cardiologo referente.
L'elettrocardiografia ad alta amplificazione consente di rivelare la presenza di
potenziali tardivi, situati nella porzione terminale del complesso QRS,
altrimenti non visibili all'elettrocardiogramma standard. La macchina elabora i
segnali convenzionali con un primo processo di amplificazione e filtraggio che
rende visibile potenziali elettrici dell'ampiezza di pochi microvolt,
successivamente, mediante un processo di analisi sovrapposta di numerosi
battiti (circa 300), viene considerato un complesso QRS "medio" ricostruito
sulla base dei segnali che si ripetono regolarmente.
La presenza di potenziali
tardivi riflette la presenza di una zona di miocardio dove la propagazione
dell'onda di depolarizzazione procede in modo rallentato, solitamente a causa di
processi patologici primitivi o secondari a carico del miocardio stesso, che
costituisce un possibile substrato per l'innesco di aritmie ventricolari
potenzialmente pericolose. Questa indagine ha dimostrato risultati
particolarmente significativi nel predire episodi di tachicardia ventricolare in
pazienti con infarto miocardico, ma si è dimostrato utile anche nella diagnosi
di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro.
Come si è detto la sincope più frequente è quella neuromediata. La disponibilità
di un test diagnostico per questa forma di perdita di coscienza rappresenta un
punto fondamentale nel suo iter diagnostico. Negli anni '80 è stata messa a
punto una metodica in grado di riprodurre la sintomatologia sincopale in
soggetti con episodi di tipo vasovagale, permettendone quindi una diagnosi
specifica. Questo esame, il Tilt Test, si esegue ponendo il paziente su di un
tavolo inclinabile, dotato di una pedana per appoggiare i piedi, e inclinandolo
con la testa in posizione elevata. Con il passare degli anni sono stati
proposti differenti protocolli per questo esame. Inizialmente il tavolo veniva
inclinato tra i 40° e i 60° per periodi di 20-60 minuti, ottenendo una
sensibilità variabile tra il 38
e il 74% e una specificità molto elevata, superiore al 90%. Successivamente, nel
tentativo di rendere più rapida l'esecuzione del test e di aumentarne la
sensibilità, sono state associate delle stimolazioni farmacologiche,
inizialmente con l'utilizzo dell'isoproterenolo, che veniva somministrato dopo
un periodo più breve di inclinazione, compreso tra i 10 e i 15 minuti. Con
questo metodo si è ottenuto un discreto aumento della sensibilità del test, a
scapito però della specificità che si è ridotta di un 10-20%.
Più recentemente l'isoproterenolo è stato sostituito con l'utilizzo dei nitrati,
farmaci che hanno dimostrato di incrementare significativamente la sensibilità
del test, pur mantenendo ridotta l'incidenza di falsi positivi. Attualmente un
protocollo standard per l'esecuzione del test prevede: un periodo di riposo in
posizione supina di circa 5 minuti, e un primo periodo a 60° per 20 minuti. A
questo punto, nei pazienti che non hanno sviluppato risposte positive viene
somministrata nitroglicerina sublinguale (0,300-0,400 mg) e il paziente
prosegue il test per altri 15 minuti, sempre con il lettino in posizione
inclinata. L'esame viene considerato positivo quando si sviluppa una
sintomatologia sincopale accompagnata da una significativa riduzione di
pressione arteriosa e/o della frequenza cardiaca. Le risposte positive al Tilt
vengono classificate in tre gruppi principali: mista, cardioinibitoria,
vasodepressiva (tab. 20.3).
Va sottolineato che per considerare positivo con certezza il test, è necessaria
l'induzione di una vera sincope. Questo per escludere eventuali risposte
falsamente positive, generalmente caratterizzate da una riduzione, anche
significativa, della pressione arteriosa, ma accompagnate da una vaga
sintomatologia presincopale.
Differenti meccanismi sono stati proposti per spiegare come il Tilt Test evochi
una sintomatologia sincopale. Uno dei meccanismi più accreditati, la "teoria
ventricolare", considera la sincope indotta dal test come la conseguenza di una
cascata di eventi che coinvolge differenti strutture recettoriali, vie nervose e
centri superiori. L'ortostatismo passivo induce innanzitutto uno spostamento del
sangue dal torace al sistema venoso sottodiaframmatico, a cui si aggiunge la
filtrazione di fluido aproteico negli spazi interstiziali. Questa
ridistribuzione del volume ematico porta a una riduzione delle pressioni di
riempimento cardiache, che causa a sua volta una riduzione della gettata
cardiaca e quindi della pressione arteriosa. A questo punto viene attivato il
sistema barocettoriale, che percepisce la riduzione della pressione e innesca in
via riflessa un aumento del tono simpatico. Questo incremento di attività porta
principalmente a due fenomeni: uno periferico, caratterizzato da una
vasocostrizione splancnica, muscolocutanea e renale; l'altro centrale, con un
aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica. Ci si trova
quindi a questo punto con un cuore relativamente poco riempito di sangue, che si
contrae vigorosamente a una frequenza elevata. In queste condizioni vengono a essere stimolati dei meccanocettori situati
nella parete miocardica ventricolare, che trasmettono segnali ai nuclei del
ponte, innescando una reazione vagale riflessa che induce bradicardia e
vasodilatazione periferica. A questa reazione si associa una riduzione
dell'attività simpatica che contribuisce prevalentemente alla riduzione delle
resistenze periferiche e quindi alla riduzione della pressione arteriosa.
Al termine della fase diagnostica precedente solo una piccola percentuale di
sincopi viene ancora considerata di origine indeterminata. Generalmente viene
quantomeno posto un consistente sospetto diagnostico. Nel caso si ritenga
necessario determinare con assoluta certezza l'origine degli episodi di perdita
di coscienza, quindi principalmente quando si pensi che gli episodi possano
essere attribuibili a patologie che mettono in pericolo la vita del paziente, si
procede con indagini diagnostiche invasive.
Alcuni episodi sincopali possono essere dovuti ad aritmie ipercinetiche da
rientro atrioventri-colare, a elevata frequenza. In questi casi, per giungere a
una diagnosi, può essere eseguito uno studio elettrofisiologico transesofageo.
Con questa metodica si eseguono stimolazioni cardiache programmate attraverso un
sondino dotato di elettrodi, che viene introdotto in esofago, sfruttandone la
contiguità con la parete dell'atrio sinistro. Con questa stessa metodica possono
anche essere diagnosticate aritmie ipocinetiche, esplorando, pur con alcuni
limiti, la funzione del nodo senoatriale, e rivelando quindi l'eventuale
presenza di una patologia di tale struttura.
Per una completa valutazione elettrofisiologica può rendersi necessaria
l'esecuzione di uno studio elettrofisiologico invasivo, mediante l'introduzione
all'interno del cuore di una serie di elettrodi per eseguire stimolazioni e
registrazioni intracavitarie. Vi è indicazione a eseguire questo tipo di
indagine in pazienti con malattia cardiaca in cui si sospetti che la sincope sia
dovuta a una aritmia. Il test permette di rivelare la malattia del nodo del
seno, la presenza di vie accessorie di conduzione atrioventricolare, una
conduzione anormale a livello del nodo atrioventricolare, la suscettibilità a
sviluppare aritmie ventricolari pericolose, quali la tachicardia e la
fibrillazione ventricolare. Nella valutazione dei pazienti con sincope, il test
elettrofisiologico invasivo lascia comunque una cospicua quota di pazienti senza
una diagnosi. Mediamente solo in un terzo dei soggetti sottoposti al test si
ottiene una definizione certa delle cause che l'hanno provocata. I rimanenti,
con test negativo, possono comunque essere considerati a basso rischio
aritmico.
Il cateterismo cardiaco con l'esecuzione di una angiografia coronarica è
indicato in pazienti con sincope in cui si sospetti che gli episodi di perdita
di coscienza siano in qualche modo correlabili a ischemia miocardica. L'esame
permette di evidenziare in modo definitivo patologie coronariche congenite o
acquisite.
Va ricordato che l'ischemia miocardica può indurre una sincope attraverso
differenti meccanismi. Innanzitutto attraverso l'induzione di aritmie ipo- o
ipercinetiche, dall'asistolia al blocco atrioventricolare, fino alla
fibrillazione ventricolare. Ma anche mediante una diretta riduzione della
contrattilità miocardica e quindi della portata cardiaca.
Negli ultimi anni un grande aiuto nella ricerca delle cause di sincope è venuto
dalla messa a punto di sofisticati registratori di eventi impiantabili. Questi
sistemi sono costituiti da uno strumento di dimensioni molto contenute (8 cc,
circa 17 g), con una vita prevista di circa 14 mesi, che viene impiantato
sottocute nel torace del paziente. Sulla sua superficie sono localizzati due
elettrodi che registrano a ciclo continuo e chiuso 42 minuti di ECG. Quindi in
qualsiasi momento lo strumento ha nella sua memoria la registrazione degli
ultimi 42 minuti trascorsi. L'attivazione può poi avvenire in due modi:
manualmente o automaticamente. Con la prima modalità è il paziente stesso che,
attraverso un piccolo telecomando, azionato al termine dell'episodio di perdita
di coscienza, fa immagazzinare al registratore in modo permanente, all'interno
della memoria solida dello strumento, la striscia elettrocardiografica dei 42
minuti precedenti. In mancanza di questo intervento del paziente il dispositivo
memorizza comunque in modo automatico eventi che identifica e classifica come bradicardia, asistolia o tachicardia. Gli eventi memorizzati vengono quindi
successivamente trasmessi in telemetria a un sistema computerizzato che ne
permette la visualizzazione e la stampa.
La lunga durata di registrazione di questo apparecchio lo rende particolarmente
utile in pazienti con sincope di origine sconosciuta ed episodi particolarmente
rari. I primi studi condotti con l'utilizzo di questo strumento indicano che
grazie a questo registratore è possibile ottenere una diagnosi in una
percentuale di soggetti variabile tra il 60 e l'88%, dopo un follow-up di 5-10
mesi.
Il trattamento dei pazienti con sincope deve porsi principalmente due finalità:
la prevenzione delle recidive, puntando quindi a migliorare la qualità di vita
del soggetto, e la diminuzione della mortalità.
Il raggiungimento di entrambi questi obiettivi è strettamente vincolato alla
diagnosi raggiunta. Nel caso delle patologie neurologiche e cardiologiche le
terapie per le differenti malattie che possono causare episodi di perdita di
coscienza sono ben definite. Al contrario resta ancora estremamente dibattuto
il trattamento delle sincopi neuromediate, e in particolare di quelle vasovagali.
Per intervenire in questo tipo di sincope è necessario innanzitutto considerare
che il rischio di mortalità in questi pazienti è pressoché sovrapponibile a
quello della popolazione generale. Quindi l'intervento medico deve essere
articolato e personalizzato sul paziente, esclusivamente al fine di ridurre il
numero degli episodi sincopali, che in alcuni soggetti possono presentarsi anche
più volte al giorno.
Spesso semplici misure possono aiutare in modo decisivo il paziente. Questo
andrà prima di tutto rassicurato, facendogli comprendere l'assenza di patologie
pericolose per la sua vita. Andrà istruito perché eviti di sottoporsi a stimoli,
che vanno ricercati e identificati insieme a lui, che possono indurre le
sincopi. Particolare importanza riveste poi la capacità del paziente di
percepire sintomi premonitori, che gli permetteranno di mettere subito in atto
manovre per bloccare gli episodi. Tra queste manovre la più semplice è quella di
mettersi in clinostatismo, ma particolarmente efficaci si sono anche rilevate
le manovre tese a sviluppare uno sforzo isometrico con le braccia. La tensione
muscolare prolungata permette in molti casi di indurre un incremento
dell'attività simpatica, adeguato a riportare su livelli sufficienti la
frequenza cardiaca e la pressione arteriosa.
Altri semplici consigli di ordine igienico sono quelli di aumentare
l'introduzione di liquidi e sali nella dieta, e di eseguire un esercizio fisico
moderato. L'assunzione di adeguate quantità di acqua si è dimostrata
particolarmente efficace nel prevenire episodi vasovagali, nel trattamento della
sincope postesercizio fisico, e nel migliorare la tolleranza all'ortostatismo.
Anche il Tilt Training si è dimostrato utile nell'aumentare la tolleranza
ortostatica e nel ridurre le ricorrenze sincopali. Consiste nel prescrivere al
paziente periodi di ortostatismo di durata progressivamente crescente.
Particolarmente importante è verificare che non siano in atto trattamenti
farmacologici che possono contribuire o essere addirittura la causa primaria
della sincope. Tra questi, quelli più frequentemente chiamati in causa sono i
farmaci vasodilatatori, generalmente assunti per il trattamento
dell'ipertensione arteriosa.
Il trattamento farmacologico della sincope neuromediata è quantomai controverso.
Differenti molecole sono state proposte: i betabloccanti, la disopiramide, la
scopolamina, la clonidina, la teofillina, il cortisone, l'etilefrina e la
midodrina. Per testare la loro efficacia sono stati condotti numerosi studi, ma
nessuno di questi, con disegno di tipo randomizzato e controllato verso placebo,
è riuscito a dimostrare con certezza l'efficacia del trattamento. Negli ultimi
anni è stato proposto il trattamento con farmaci inibitori del re-uptake della
serotonina. In particolare la paroxetina ha fornito risultati preliminari
soddisfacenti, ma ulteriori studi di conferma sono a questo punto necessari.
In pazienti con sincopi neuromediate particolarmente frequenti e che causano
anche traumi rilevanti è stato proposto l'impianto di pacemaker. Anche questa
materia è stata particolarmente dibattuta. Molti studi condotti inizialmente in questo campo avevano fornito
risultati promettenti, ma nessuno di questi era ovviamente condotto in modo
randomizzato e controllato. D'altra parte l'effetto placebo dell'impianto di un
pacemaker è evidentemente molto forte e il contributo di questa componente
andava certamente considerato. Finalmente, nel 2003 è apparso uno studio che ha
coinvolto 100 pazienti ai quali è stato impiantato un pacemaker. Lo stimolatore
è stato però attivato solo in circa la metà di loro. Il risultato è stato che
nei pazienti con pacemaker funzionante le recidive si sono verificate in un 33%
dei casi, mentre nel gruppo con pacemaker inattivo le recidive hanno raggiunto
il 42%. Una differenza tra i due gruppi non particolarmente a favore del
trattamento con stimolatore.
In base a questi risultati sembra esservi attualmente un consenso nel
considerare che l'impianto di uno stimolatore in pazienti con sincope
vasovagale vada riservato a pazienti con episodi frequenti e Tilt Test positivo
con risposta cardioinibitoria. Il tipo di stimolatore che ha fornito risultati migliori è quello bicamerale,
con risposta in frequenza di tipo drop rate. Questa modalità di funzionamento
induce una stimolazione sequenziale atrio-ventricolo, a una frequenza
relativamente elevata (80-100 bpm), per un intervallo limitato di tempo, quando
la frequenza spontanea del paziente scende sotto un livello di soglia (45-50 bpm).
Il mantenimento di una fisiologica sequenza di contrazione e la stimolazione ad
alta frequenza tendono quindi a compensare, oltre che la riduzione della
frequenza sinusale, anche la caduta della pressione arteriosa.
Al contrario, nella sincope da ipersensibilità del seno carotideo l'indicazione
alla stimolazione elettrica riveste un ruolo fondamentale, mentre la terapia
farmacologica è ormai del tutto abbandonata. La stimolazione bicamerale si è
dimostrata efficace nel ridurre di oltre il 50% l'incidenza di episodi
sincopali. Anche in questo caso l'impianto andrebbe peraltro riservato a
soggetti con risposta di tipo cardioinibitorio o misto al massaggio del seno
carotideo.
PROGNOSI
La prognosi degli episodi di perdita di coscienza è, evidentemente, strettamente
dipendente dalle cause che l'hanno provocata.
Il rischio di mortalità è maggiore nei soggetti con cardiopatia organica, mentre
nei pazienti con episodi neuromediati la prognosi in termini di sopravvivenza è
assolutamente buona. In questi ultimi va peraltro considerato l'effetto
disabilitante causato dal verificarsi di episodi ripetuti e la potenziale
pericolosità legata agli episodi di perdita di coscienza in situazioni
particolari, quali la guida di veicoli o lo svolgimento di lavori in situazioni
che richiedano sempre una perfetta attenzione del soggetto.
Neil'affrontare il problema dell'idoneità alla guida vanno in particolare
considerati alcuni aspetti, tra i quali la frequenza degli episodi sincopali,
l'occorrenza di episodi in posizione seduta o alla guida di veicoli, la guida
privata o commerciale dei veicoli. Nel caso di singoli episodi di sincope
neuromediata non sono generalmente necessarie restrizioni alla guida. Nel caso
in cui la sincope sia di natura neuromediata e le recidive fossero frequenti,
sarà consigliabile sospendere per alcuni mesi la guida, e comunque fino a quando
i sintomi non sono controllati. Nelle sincopi in presenza di una cardiopatia o
di aritmie la sospensione avrà una durata maggiore, fino a ottenere una completa
remissione della sintomatologia e il soggetto andrà comunque seguito con
frequenti controlli periodici.
Un altro problema che spesso si pone al medico che valuta un paziente con
sincope è la necessità di ospedalizzazione. In genere vi è necessità di
ricoverare un paziente quando si pensa che siano presenti patologie che mettono
in pericolo la vita del paziente o se la sincope ha causato traumi
significativi. Più in particolare necessitano di ricovero i pazienti con sincope
che presentino una cardiopatia certa o sospetta, aritmie potenzialmente
pericolose o un'ischemia cerebrale.
vedi > sincope