Il caso clinico. Un paziente di mezza età giunge al pronto soccorso in preda ad agitazione, dispnoico con più di 20 atti al minuto, con un dolore al petto; qualche mese fa ha eseguito un intervento alla prostata. Vengono effettuate e indagini di base, gli enzimi miocardiospecifici, una emogas, una radiologia del torace, un ecg. Insomma, il collega del pronto soccorso si muove per come può , rispettando le linee guida, per come prescrive la buona pratica. Ma nulla di particolare: le due troponine si muovono di poco, non esistono movimenti enzimatici, il torace sembra negativo, l'ecg documenta tachicardia con frequenza di 110 b/m, un blocco di branca destra, ma il paziente respira affannosamente, ha fame d'aria e l'emogas descrive ipossiemia ed alcalosi respiratoria. Ci chiamano a consulenza. Richiediamo a questo punto un ecocardio, una tac polmonare col contrasto, l'assetto coagulativo: la diagnosi è un'embolia polmonare di uno dei rami interlobari ed il D-Dimero è di molto risalito.
L'embolia polmonare (EP) è l'occlusione acuta del tronco o di un ramo
dell'arteria polmonare, che determina un ostacolo allo svuotamento del
ventricolo destro e un'interruzione del flusso ematico nel distretto polmonare a
valle dell'occlusione. Il grado di compromissione emodinamica e respiratoria
dipende dalla dimensione dell'embolo, che può interessare la biforcazione
dell'arteria polmonare (embolo a sella) o un suo ramo.
L'incidenza dell'EP è dello 0.5-1 per mille, con un rapido incremento dopo i 60 anni di
età . La mortalità per EP è >15% nei primi 3 mesi dalla diagnosi.
All'origine di un'EP sta, nella quasi totalità dei casi, la mobilizzazione di un trombo venoso dalla sua sede di formazione periferica, usualmente le vene degli arti inferiori: il trombo percorre il circolo venoso refluo, l'atrio ed il ventricolo destro ed embolizza la circolazione arteriosa polmonare. Circa la metà dei pazienti con trombosi venosa profonda (TVP) pelvica o prossimale delle gambe subiscono un'EP, che rimane assai spesso asintomatica. Emboli a partenza dalle vene del polpaccio sono più raramente causa di EP, ma rappresentano la sorgente più probabile di emboli paradossi, che possono raggiungere la circolazione arteriosa sistemica attraverso un forame ovale pervio o un difetto del setto interatriale. L'origine di un trombo dagli arti superiori è possibile a causa dell'utilizzo crescente di cateteri venosi a permanenza per alimentazione parenterale o chemioterapia, nonché di elettrocateteri di pacemaker e defibrillatori cardiaci.
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Gli stati di ipercoagulabilità che possono causare un'EP, i fattori di rischio e le condizioni cliniche associate che possono favorirla sono gli stessi coinvolti nel determinismo della TVP. Una predisposizione congenita deve essere considerata nei rari casi in cui l'EP colpisce soggetti <40 anni, con storia di ricorrenti TVP o con anamnesi familiare positiva. I difetti genetici più frequentemente in causa sono la resistenza alla proteina C attivata, la mutazione factor II 20210A, l'iperomocisteinemia e le carenze di Antitrombina III, proteina C e proteina S. In una minoranza di casi (<5%) l'embolo non deriva da un trombo, ma è di natura gassosa (posizionamento o rimozione di un catetere centrale), neoplastica, grassosa (trauma o frattura), amniotica o settica.
A seconda del fattore coinvolto si parla di:
-embolia gassosa, quando l'embolo sia causato da una bolla di gas (ad.es.:
azoto): per es, nei sub che dopo un'immersione risalgano velocemente in quota
dai fondali marini senza rispettare i tempi di decompressione, l'improvvisa
variazione di pressione può portare alla formazione di bolle d'azoto nel circolo
sanguigno.
-embolia lipidica (chiamata anche liquida, adiposa o grassosa o sindrome
lipido-embolica), quando l'embolo è costituito da un ammasso di grasso: effetto collaterale
di eventi
traumatici alle ossa del bacino e agli arti inferiori.
-embolia da liquido amniotico, nelle donne durante la gravidanza può accadere che
del liquido amniotico venga spinto nel circolo sanguigno materno.
- embolia settica da grumi di germi solitamente frammisti a materiale di
derivazione ematica o tissutale.
- embolia tumorale.
Un aumento della resistenza arteriosa polmonare è l'effetto dell'ostruzione del
vaso da parte dell'embolo e, in parte, della liberazione di serotonina dalle
piastrine del trombo. Sul versante respiratorio si verifica una diminuzione
degli scambi gassosi, con ipossiemia nelle forme più gravi derivante da: a.
dissociazione tra ventilazione e perfusione polmonare, con estensione dello
spazio morto respiratorio all'area interessata dall'EP; b. shunt di circolo a
livello polmonare, per apertura di anastomosi artero-venose; c. ridotta
compliance polmonare, dovuta a perdita di surfactante e ad edema alveolare. Il
subitaneo innalzamento del postcarico per l'ostruzione vascolare polmonare può
produrre dilatazione del ventricolo destro e rigurgito tricuspidale. La
dilatazione del ventricolo destro, cui può accompagnarsi aumento dei livelli
circolanti di BNP, determina una deviazione del SIV verso sinistra, limitando il
riempimento diastolico del ventricolo sinistro. Questo evento, insieme con il
ridotto precarico ventricolare sinistro secondario all'insufficienza
ventricolare destra può causare diminuzione della gittata sistolica, della
pressione arteriosa sistemica e della perfusione coronarica.
La dispnea è il sintomo più frequente dell'EP. Un dolore toracico
tipico è presente in caso di ischemia miocardica, specie in soggetti con
precedente cardiopatia. Altri sintomi comuni sono la tosse, la sincope e
l'emottisi. L'esame clinico mostra quasi senza eccezione tachicardia, e a volte
distensione delle vene del collo, accentuazione della componente polmonare del II tono e cianosi. E' utile classificare l'EP in diversi quadri clinici, per
attuare la migliore strategia terapeutica e determinare la prognosi.
Un'EP massiva interessa almeno la metà del circolo arterioso polmonare, è spesso
bilaterale e induce facilmente cianosi, ipotensione arteriosa, sincope e shock
cardiogeno.
I pazienti con EP da moderata a sub-massiva, che interessa all'incirca 1/3 del
circolo polmonare, mostrano una PA normale, che maschera l'instabilità
emodinamica del ventricolo destro (ipocinesia, insufficienza tricuspidale).
Nell'EP lieve un trombo di modeste dimensioni si disloca nella periferia del
parenchima polmonare e può interessare il foglietto pleurico con comparsa di
dolore pleuritico e tosse. Un infarto polmonare può prodursi in questa sede in
capo a 3-7 giorni, associandosi a febbre, leucocitosi, emottisi ed un quadro
radiologico tipico. La pressione arteriosa è normale e la funzione del
ventricolo destro conservata.
Per giungere alla diagnosi di EP è di grande importanza maturarne il sospetto,
sulla base del profilo di rischio, dell'anamnesi e della recente storia clinica.
Peculiare dell'EP è la rapida insorgenza dei sintomi, inaspettata rispetto alle
preesistenti condizioni cliniche del paziente. Occorre poi integrare questi dati
con l'esame fisico e con gli esiti delle indagini di laboratorio e strumentali.
Il test semi-quantitativo a punti di Wells, rappresentato da 7 domande da porre al paziente (vedi Tabella), ha un valore diagnostico di esclusione dell'EP quando rivela un punteggio =4.
-segni clinici e sintomi di TVP=3.0
-diagnosi alternativa di EP = 3.0
-frequenza cardiaca>100 b/m= 1,5
-paziente allettato per intervento chirurgico nelle ultime 4 settimane =1.5
-precedenti TVP/EP =1.5
-emottisi 1.0
-cancro sottoposto a terapia a terapia negli ultimi 6 mesi 1.0
Il dosaggio del D-dimero nel plasma è molto sensibile ma poco specifico, perché
esso può aumentare nel decorso post-chrurgico come pure in caso di IMA, sepsi,
cancro e patologie sistemiche in generale. Elevatissimo è il suo potere
predittivo negativo (>99%): virtualmente, nessun paziente con EP in atto risulta
negativo al dosaggio del D-dimero. Elevati valori ematici di biomarker cardiaci,
quali troponina e BNP correlano con il grado di compromissione funzionale del
ventricolo destro e rappresentano un indice predittivo di eventi e di morte
cardiaca. La troponina si libera in presenza di microinfarti; il BNP è secreto
dai cardiomiociti in risposta all'aumentato stress di parete.
La misura dell'ipossiemia non appare discriminante per la diagnosi di EP poiché
non meno del 20% dei pazienti mostra una PaO2 normale. Inoltre, per quanto la
maggior parte dei pazienti con EP siano ipocapnici a causa
dell'iperventilazione, la differenza in O2 alveolo-arteriosa è normale nel
15-20% dei casi.
Pazienti con EP possono mostrare un ECG del tutto normale, ovvero con
manifestazioni di interessamento ventricolare destro (blocco di branca
incompleto o completo), un aspetto S1Q3T3 (onda S in D1, onda Q e T invertita in
D3), sopraslivellamento di ST in V1-V2 e T negative da V1 a V4 (ECG 50).
Inoltre, l'ECG serve ad escludere un infarto miocardico acuto.
La radiografia del torace presenta anormalità in non più del 25% dei casi; il
reperto più comune è la cardiomegalia. In taluni casi l'esame identifica aspetti
patognomonici, quali l'oligoemia zonale, indice di un'EP massiva e centrale, una
densità periferica a forma di cuneo, indice di infarto polmonare, o una
distensione dell'arteria polmonare discendente destra.
L'ecocardiografia transtoracica (ETT) è una tecnica aspecifica, poiché l'esame
risulta nella norma in circa la metà dei pazienti con EP. Del resto, l'enorme
diffusione e rapidità d'esecuzione dell'ETT, insieme con l'elevata sensibilità
nell'apprezzare la dilatazione e la disfunzione del ventricolo destro, la
rendono preziosa per la stratificazione del rischio in pazienti con EP già
diagnosticata. Segni di EP deducibili con l'ETT sono la rara visualizzazione
diretta del trombo, il movimento anormale del setto interventricolare, il
rigurgito tricuspidale, la dilatazione dell'arteria polmonare, il mancato
collasso inspiratorio della vena cava inferiore. Infine, l'ETT può escludere
altre patologie, quali infarto miocardico acuto, dissezione aortica o
pericardite.
La TC del torace con contrasto e.v. è divenuta il test di imaging elettivo nella
maggior parte dei pazienti con fondato sospetto di EP (potere predittivo
negativo >99%. Apparecchi di ultima generazione sono destinati a
soppiantare l'angiografia polmonare come gold standard per la diagnosi dell'EP,
consentendo l'acquisizione in pochi secondi dell'intero torace con una
risoluzione inferiore a 1 mm. D'altra parte, la TC fornisce informazioni
dettagliate sulle dimensioni e la funzione del ventricolo destro.
La scintigrafia polmonare rappresenta oggi un'indagine di seconda scelta in caso
di sospetta EP, mentre è riservata a pazienti in gravidanza, oppure con
insufficienza renale o allergia al contrasto.
La risonanza magnetica (RM) angiografica utilizza un mezzo di contrasto non
nefrotossico e pressoché esente da reazioni allergiche. Sensibilità e
specificità diagnostiche sono paragonabili a quelle della TC di prima
generazione, consentendo l'identificazione di EP segmentarie. La RM è in grado
di valutare anche la funzione del ventricolo destro.
L'angiografia polmonare è idonea a riconoscere emboli di 1-2 mm quali difetti di
riempimento vasale intraluminale. Segni secondari di EP sono la netta
interruzione di un vaso, l'oligoemia segmentale o una totale mancanza di circolo
ed una fase arteriosa prolungata. L'angiografia è riservata ai pazienti con TC
non diagnostica o che devono essere sottoposti ad embolectomia transcatetere o
trombolisi mirata.
Nella pratica clinica, è auspicabile un approccio diagnostico integrato. Esso prevede a. l'anamnesi indirizzata
al profilo di rischio tromboembolico, l'esame fisico e il calcolo dell'indice di
Wells; b. un ECG ed una radiografia del torace; c. il dosaggio del D-dimero che,
se negativo, esclude l'EP in soggetti con indice di Wells =4; d. la TC o la
scintigrafia polmonare, nonché l'ecografia venosa degli arti.
In sintesi, l'EP può essere esclusa in pazienti con bassa probabilità clinica e
D-dimero negativo, così come in quelli a rischio elevato, ma con TC negativa.
Purtroppo, per quanto il test del D-dimero per l'esclusione dell'EP e quello
della TC per la sua visualizzazione abbiano nettamente perfezionato la
sensibilità diagnostica, l'EP rimane ancora ardua da diagnosticare e quadri di
EP sub-massiva o moderata rimangono non riconosciuti in non meno del 50% dei
pazienti.
Una rapida stratificazione della gravità dell'EP è fondamentale per il corretto
inquadramento clinico del paziente e per la scelta della terapia più
appropriata. A questo scopo può essere utilizzato l'indice a punti di Ginevra
che si basa su parametri anamnestici, clinici e strumentali facilmente
ottenibili (Tabella III).
Il trattamento dei pazienti con EP può essere farmacologico, interventistico o
chirurgico. La scelta tra queste tre strategie dipende sia dalla loro
disponibilità sia, soprattutto, dal grado di compromissione clinica e funzionale
determinato dall'EP. Supporti terapeutici immediati sono la somministrazione di
02 e la sedazione del dolore toracico con antinfiammatori non-steroidei. In
soggetti a basso rischio, con pressione sistemica normale e senza evidenza di
disfunzione ventricolare destra, il trattamento è mirato alla prevenzione di
ricorrenti EP e/o TVP e si basa sulla sola anticoagulazione. Caposaldo di tale
trattamento è l'eparina non frazionata (ENF), la cui somministrazione previene
l'ulteriore formazione di trombi e consente alla fibrinolisi endogena di
dissolvere il trombo già formato. Una valida alternativa all'ENF è oggi
rappresentata dalle eparine a basso peso molecolare, frammenti di eparina con
migliore biodisponibilità e più lunga emivita dell'ENF e che, a differenza di
questa, non richiedono un monitoraggio della terapia con determinazione del PTT.
Insieme all'eparina occorre iniziare la somministrazione di un anticoagulante
orale (AO), warfarin o acenocumarolo, il cui pieno effetto si manifesta in
genere dopo 5 giorni. L'eparina garantisce l'effetto anticoagulante finché l'AO
non abbia prodotto valori di INR superiori a 2 per almeno 2 giorni consecutivi.
In seguito, la dose di AO va scelta con l'obiettivo di mantenere l'INR tra 2 e
3.
In caso di emorragia in atto, di controindicazione all'uso degli anticoagulanti
ovvero di EP ricorrente nonostante l'AO. è possibile ricorrere al posizionamento
di un filtro nella vena cava inferiore.
Pazienti con EP massiva e shock cardiogeno o portatori di vasta trombosi
ileo-femorale, sono candidati alla trombolisi, al fine di ridurre la mortalità e
prevenire la ricorrenza di EP. Ciò avviene attraverso la dissoluzione sia del
trombo occludente l'arteria polmonare, con rapido miglioramento dello scompenso
cardiaco destro, sia dei trombi emboligeni presenti nella periferia del sistema
venoso.
Quando un'EP massiva determina una grave compromissione delle funzioni
cardiorespiratorie, imponendo la ventilazione assistita e il supporto
cardiocircolatorio, oppure quando la trombolisi non abbia avuto successo o sia
controindicata, è appropriata l'embolectomia, con rimozione meccanica del
materiale trombotico dall'arteria polmonare. Questa tecnica è stata eseguita per
molti anni solo chirurgicamente, a torace aperto, in arresto di circolo o a
cuore battente, costituendo un intervento efficace, ma gravato da una
significativa mortalità . Attualmente, è invece possibile l'embolectomia per via
percutanea in sala di emodinamica. La procedura non necessita di anestesia
generale, richiede solo un accesso venoso, in genere a livello femorale e si
esegue con speciali cateteri che frammentano e aspirano il trombo occlusivo.
In considerazione della difficoltà di diagnosticare l'EP e di contenere il danno
clinico che essa produce, è fondamentale attuare un'efficace prevenzione del
tromboembolismo venoso. Occorre diffondere l'opinione che virtualmente tutti i
soggetti ospedalizzati sono a rischio di EP e, se del caso, debbono ricevere
misure preventive appropriate. Per i pazienti a rischio più elevato la terapia
anticoagulante (eparine a basso peso molecolare o AO) ed i presidi meccanici
(calze elastiche o compressione pneumatica intermittente) che incrementano il
flusso venoso e stimolano la fibrinolisi endogena, rappresentano una profilassi
con un rapporto costo/beneficio assai vantaggioso.