Affinché non si abbia l'estensione del coagulo nel sistema vascolare, è
necessario che il processo della coagulazione sia finemente controllato e circoscritto nel punto di lesione. I meccanismi di controllo della
coagulazione sono indispensabili per evitare che il sangue coaguli
spontaneamente e per impedire eccessi coagulativi sproporzionati rispetto alla
lesione vascolare (1 ml di sangue coagulato è potenzialmente capace di indurre
la coagulazione di tutto il sangue in 15 s.
Il flusso sanguigno è fondamentale nel controllo dell'emostasi, in quanto è
responsabile dell'allontanamento e della diluizione dei fattori della
coagulazione attivati, che vengono così rimossi dal circolo. La rimozione dei
fattori della coagulazione attivati avviene a vari livelli: fegato (uno degli
organi maggiormente implicati) e sistema dei fagociti mononucleati (o sistema monocitico/macrofagico), largamente diffuso nell'organismo.
L'inattivazione delle proteasi attive che via via si formano avviene mediante l'azione degli inibitori fisiologici, che sono in grado di inibire i vari fattori della coagulazione e anche i cofattori attivati. Questi inibitori plasmatici hanno, in genere, uno spettro d'azione molto ampio e, in alcuni casi, possono inibire gli enzimi sia del sistema della coagulazione sia del sistema fibrinolitico.
Gli inibitori fisiologici più importanti sono:
-l'antitrombina III (ATIII), un'aglobulina sintetizzata a livello epatico, che
si lega alla trombina inattivandola; questa reazione è velocizzata dall'eparina
(HP);
-il cofattore eparinico II (HCII), una glicoproteina che inibisce
selettivamente la trombina; anche questa reazione è velocizzata da HP;
-le proteine C e S: la trombina, in seguito alla sua interazione con la
trombomodulina presente sulle superfici endoteliali, cambia specificità di
substrato e, da potente enzima procoagulante, diventa una molecola ad attività
anticoagulante, in quanto è in grado di generare proteina C attivata, che
esercita le proprie proprietà anticoagulanti distruggendo proteoliticamente il
FV e il FVIII. L'azione della proteina C è potenziata dall'interazione con la
proteina S.
Entrambe queste glicoproteine sono vitamina K-dipendenti;
-l'inibitore della via del TF (tissue factorpathway inhibitor, TFPI), una
glicoproteina che inibisce la via estrinseca della coagulazione inibendo
l'attivazione diretta del FX a FXa da parte del complesso TF/FVII/Ca2+. Oltre a
questi sono importanti l'alfa-antitripsina, il Cl-
inattivatore e l'alfa2-macroglobulina.
Il principale effettore di questo tipo di meccanismo di controllo è
rappresentato dal sistema fibrinolitico.
L'ultima fase del processo emostatico è rappresentata dalla fase fibrinolitica. La formazione della fibrina si verifica nel corso di vari processi, come l'infiammazione, la riparazione delle ferite e, soprattutto, l'emostasi, e deve essere limitata nello spazio e nel tempo una volta che lo stimolo scatenante abbia terminato la sua azione. La fibrinolisi rappresenta il meccanismo fondamentale attraverso il quale il coagulo di fibrina si dissolve dopo aver svolto la propria funzione. Nel processo emostatico, una volta che il vaso danneggiato è stato riparato, il coagulo deve essere dissolto al fine di evitare ostacoli alla circolazione del sangue. Esistono vari meccanismi di controllo atti a limitare la cascata coagulativa, quali la deplezione dei fattori della coagulazione, la rimozione degli stessi fattori e gli inibitori plasmatici, ma il sistema fibrinolitico rappresenta il meccanismo fondamentale.
Si tratta di un sistema multienzimatico,
che presenta analogie con il sistema della coagulazione.
è infatti costituito da serinoproteasi; esse si trovano in forma di zimogeni,
che vengono trasformati in enzimi attivi mediante un taglio proteolitico.
La reazione centrale della fibrinolisi è rappresentata dalla conversione del
plasminogeno (proenzima plasmatico, inattivo) nell'enzima proteolitico attivo
plasmina. La plasmina così prodotta demolisce la fibrina, dando origine a
prodotti di degradazione solubili e quindi alla lisi del coagulo di fibrina.
I componenti del sistema fibrinolitico sono: gli attivatori del plasminogeno, il
plasminogeno, la plasmina e gli inibitori. Gli attivatori del plasminogeno sono molecole in grado di convertire il
plasminogeno a plasmina; in forma attiva sono serinoproteasi. Se ne conoscono
due tipi diversi: l'attivatore tissutale (tPA) e l'attivatore di tipo urochinasico o urochinasi (uPA).
Il plasminogeno è una glicoproteina sintetizzata nel fegato. Contiene numerosi
siti di legame per la lisina, che gli permettono di interagire con il fibrinogeno e la fibrina, per cui, quando si forma il coagulo, molto di questo
proenzima rimane all'interno dell'ammasso di fibrina. In condizioni normali,
solo circa il 60% del plasminogeno circolante è disponibile per essere
attivato. Il rimanente è legato, seppure reversibilmente, a una glicoproteina circolante, la cosidetta glicoproteina
ricca di istidina, che impedisce il legame alla fibrina.
Il plasminogeno viene convertito nell'enzima attivo, chiamato plasmina, dal tPA
e da uPA. La plasmina può degradare sia il fibrinogeno, sia la
fibrina solubile, sia la fibrina stabilizzata quale prodotto finale della
coagulazione, formando prodotti di degradazione caratteristici per ogni forma
di fibrina, che sono importanti nella diagnosi di varie condizioni patologiche.
Il sistema fibrinolitico viene inibito agendo sugli attivatori del plasminogeno
e della plasmina. Alcuni inibitori fisiologici della fibrinolisi sono gli
stessi che sono in grado di inibire alcuni componenti del sistema della
coagulazione.
Si distinguono tre differenti vie di attivazione della fibrinolisi. La via correlata all'attivatore del plasminogeno tissutale è la più importante e quella meglio conosciuta. Il tPA circolante plasmatico ha una bassa affinità per il suo substrato fisiologico, il plasminogeno, e quindi si ha scarsa attivazione di plasminogeno in fase liquida; il tPA, tuttavia, ha un legame specifico forte con la fibrina e forma un complesso bimolecolare tPA/fibrina, che ha un'alta affinità per il plasminogeno. Il plasminogeno si lega quindi preferenzialmente al complesso tPA/fibrina e viene attivato a plasmina sulla superficie del coagulo di fibrina. La via intrinseca dipende dall'azione del FXII e anche da una serie di proteasi che originano da SPAC. Il FXIIa, il FXIa e la callicreina possono attivare direttamente il plasminogeno a plasmina, che opera la fase finale della fibrinolisi. La via correlata all'azione dell'urochinasi deriva dall'attivazione della prourochinasi (pro-uPA) a opera della callicreina. La pro-uPA può essere convertita a uPA anche dalla plasmina all'interno del coagulo, dove la plasmina, legata alla fibrina, è protetta dalle antiplasmine e può esercitare la propria azione sulla pro-uPA.
La plasmina è in grado di tagliare ponti peptidici arginina-lisina di molte
proteine, compreso il fibrinogeno, la fibrina non stabilizzata e la fibrina
insolubile, stabilizzata dal FXIIIa. La sua azione su fibrinogeno e fibrina
porta alla formazione dei cosiddetti prodotti di degradazione del fibrinogeno e
della fibrina (fibrinogen/fibrin degradation product, FDP). Il
fibrinogeno, il monomero di fibrina e il polimero di fibrina instabile vengono
scissi dalla plasmina in modo esaustivo, fino alla formazione di singole regioni
globulari D ed E: gli FDP. Nel polimero di fibrina stabile, tenuto insieme da
legami covalenti, le interazioni termino-terminali tra regioni globulari D e
quelle laterolaterali tra regioni globulari E determinano raggruppamenti DD/E, i
quali non sono scindibili dalla plasmina e si ritrovano come FDP. Il loro
aumento nel siero è indice di fibrinolisi.
La cellula endoteliale presenta attività sia
antitrombotiche sia protrombotiche.
Le cellule endoteliali integre servono in primo luogo a inibire l'adesione
piastrinica e la coagulazione del sangue. Il danno e l'attivazione delle
cellule endoteliali stimola l'espressione di un fenotipo protrombotico, che
sbilancia l'assetto emostatico dell'endotelio a livello locale.
Le attività antitrombotiche comprendono l'inibizione dell'aggregazione piastrinica e della coagulazione sanguigna e la promozione della fibrinolisi. Inibizione dell'aggregazione piastrinica. La superficie dell'endotelio previene la deposizione e l'adesione spontanea delle piastrine. L'endotelio libera un particolare prodotto di elaborazione di AA, cioè la PGI2, che è un potente antagonista dell'aggregazione piastrinica e ha una forte attività di vasodilatazione. Inoltre, l'endotelio libera monossido d'azoto (NO), precedentemente chiamato fattore di rilasciamento d'origine endoteliale (endothelium-derived relaxing factor, EDRF), con attività di vasodilatazione e antagonista dell'aggregazione piastrinica.
Sulla superficie luminale della cellula endoteliale è presente l'enzima
ecto-ADPasi, il quale idrolizza l'ADP liberato dalle piastrine durante la
reazione di rilascio, impedendo a tale agonista di innescare le vie di
trasduzione del segnale necessarie per l'aggregazione piastrinica.
Sulla superficie endoteliale è espressa la trombomodulina, recettore della
trombina: quando la trombina si lega a tale recettore, essa modifica la sua
affinità di substrato (normalmente rappresentati da fibrinogeno, FXIII, FVIII,
FV) e attiva la proteina C, innescando la via dell'anticoagulazione controllata
da tale serinoproteasi. Inoltre, la superficie endoluminale dell'endotelio
esprime grandi quantità di un proteoglicano con catene laterali
glicosamino-glicaniche che hanno sequenze simili a quelle anticoagulanti
dell'eparina. Si tratta delle catene di eparansolfato, le quali, oltre a
catalizzare l'interazione tra ATIII e trombina, legano anche il TFPI,
rendendolo disponibile al controllo dell'attivazione della via estrinseca della
coagulazione.
Promozione della fibrinolisi
La forza di trascinamento della corrente sanguigna sull'endotelio stimola la
liberazione di tPA. Le cellule endoteliali producono anche uPA.
Le attività protrombotiche comprendono l'induzione dell'adesione e aggregazione
piastrinica, l'attivazione della coagulazione sanguigna e l'inibizione della
fibrinolisi.
Le cellule endoteliali costituiscono una delle principali fonti di produzione
(ma non l'unica) di PAF, fondamentale mediatore infiammatorio dalle molteplici
funzioni, il quale è anche un potente agonista dell'aggregazione piastrinica.
Inoltre, l'endotelio produce il vWF, il principale collante dell'adesione
piastrinica.
Endotossine batteriche o citochine (TNF, ILI) o il danno meccanico subito da
cellule endoteliali adiacenti inducono le cellule endoteliali a esporre il TF,
che innesca la via estrinseca della coagulazione, sulla superficie luminale
dell'endotelio. Inoltre, la superficie fosfolipidica dell'endotelio viene
utilizzata (al pari di quella delle piastrine e dei leucociti) per
l'assemblaggio del complesso tenasico della via intrinseca della coagulazione e
di quello protrombinasico della via comune.
Le cellule endoteliali liberano inibitori degli attivatori del plasminogeno (plasminogen
activator inhibitor, PAI), sia in seguito a danno meccanico della cellula
endoteliale, sia in seguito a un rallentamento del flusso sanguigno, come può
verificarsi soprattutto nel compartimento venoso.