cfr anche Infarto o angina
Con questo termine si indica un processo di necrosi circoscritta del miocardio,
causata dall'ischemia, conseguenza dell'occlusione acuta di una coronaria
principale o di uno dei suoi rami da parte di un trombo prevalentemente
piastrinico.
L'infarto del miocardio riconosce come causa la formazione di un trombo coronarico, un evento reso possibile dal contributo di tre ordini di fattori (triade di Virchow):
a) una lesione endoteliale (in genere aterosclerosi),
b) un aumento della funzione emostatica (aumento della funzione piastrinica e coagulativa)
c) un rallentamento distrettuale del circolo.
Il persistere delle iniziali condizioni trombogeniche porta alla stabilizzazione, accrescimento e consolidamento (impermeabilità) del trombo, rendendo più grave l'ischemia, meno verosimile la riperfusione spontanea e più difficili gli interventi tesi alla trombolisi e alla rimozione del trombo (angioplastica). Una più rilevante partecipazione di eventi dinamici, quali lo spasmo arterioso e l'infiammazione della parete vasale, si può ipotizzare in assenza di lesioni aterosclerotiche. Vi sono tuttavia casi nei quali l'indagine autoptica mostra l'assenza di fenomeni trombotici, pur in presenza di lesioni aterosclerotiche (infarto senza trombosi) o la presenza di un trombo che, per le sue caratteristiche, appare non recente e, quindi, non direttamente legato all'evento acuto. E' stata presa in considerazione anche l'emorragia intraintimale a livello di una placca. Si discute se il solo spasmo arterioso sia sufficiente a produrre una necrosi ischemica: l'evento è certamente possibile, anche se non frequente. Si deve aggiungere che, sia pure raramente, un infarto miocardico può verificarsi con circolo coronarico del tutto indenne, a seguito di gravi ipotensioni, tachicardie prolungate, intossicazioni da CO, o altre cause extracardiache di ischemia.
Il danno ischemico è fondamentalmente di tipo necrotico, anche se altre vie di
danno possono essere attivate, ed evidenziarsi nelle cellule delle zone
periferiche dell'area di necrosi e, successivamente, o dopo un'eventuale riperfusione o in seguito all'organizzazione dell'area necrotica come
cicatrice. Il danno e la sua estensione variano a seconda del tempo trascorso
dall'instaurarsi dell'ischemia. Per questo la prognosi clinica è fortemente
condizionata dal tempo di ricovero, ossia dal tempo trascorso dall'instaurarsi
della sintomatologia clinica al ricovero in ospedale e all'effettuazione della
terapia (trombolisi o angioplastica). Sempre in relazione al tempo trascorso si
possono distinguere tre principali tipi di danno tissutale e cellulare.
1. Danno ischemico o immediato: necrosi ed apoptosi
Dall'inizio dell'ischemia si evidenzia progressivamente la disorganizzazione
necrotica con la degradazione dei vari componenti subcellulari. In particolare:
rigonfiamento (aumento di acqua e ioni) prima mitocondriale e poi di tutti gli
altri compartimenti subcellulari; questo è soprattutto l'effetto della caduta
drastica del carico energetico cellulare per mancanza di O2.
Nel frattempo, si instaura un'alterata omeostasi del Ca++ a causa
dell'inibizione delle due pompe del Ca+ + e anche dei trasportatori Na+/Ca++,
con il risultato di un progressivo e persistente aumento del Ca++ citosolico.
Questo evento si rivela catastrofico per differenti motivi:
a) attiva il metabolismo perossidativo producendo radicali liberi che
danneggiano gravemente le membrane;
b) attiva in maniera progressiva e non controllata i sarcomeri producendo una
contrazione abnorme (ipercontrazione o supercontrazione) che contribuisce
sostanzialmente alla disorganizzazione vettoriale dei sarcomeri e poi di tutta la cellula;
c) attiva vari sistemi proteasici (proteasomi e calpaine) che degradano
strutture e molecole proteiche del citoplasma;
d) inibisce rapidamente la sintesi mitocondriale di ATP.
Le prime tre attività sono energia dipendenti per cui vengono mitigate e inibite
dall'assenza di ATP. Ma è facile immaginare che con la riperfusione (vedi sotto)
ritorna la disponibilità di ATP e, quindi, esse possono riprendere e allargare
il danno.
Istologicamente nel complesso queste alterazioni sono tipiche di una necrosi
coagulativa.
Alla periferia rispetto all'area principale e in microfocolai periferici, si
osservano più spesso i miociti in fasi intermedie e meno progredite della
disorganizzazione (sarcomeri ipercontratti alternati ad altri iperdistesi,
mitocondri rigonfi, citosol diluito dall'aumento di acqua e ioni) e, più
tardivamente anche miociti in apoptosi, verosimilmente attivata dal danno da
radicali e al citoscheletro.
2. Danno postischemico o da riperfusione: necrosi, apoptosi, riparazione
Paradossalmente, se nelle fasi precoci dell'ischemia viene ripristinato il
flusso (spontaneamente per parziale disorganizzazione del trombo e/o dilatazione
del lume coronarico, oppure con un intervento di angioplastica o di trombolisi),
l'area di necrosi che fino ad allora si era stabilita può aumentare a causa
della morte delle cellule che non ancora hanno riparato le membrane e che con
la rinnovata disponibilità di 02 vanno incontro alla disorganizzazione
dipendente dalle abnormi funzioni Ca++ e ATPdipendenti.
Aumentano anche i miocardiociti in apoptosi soprattutto per quelle cellule in
cui il danno subletale supera le capacità di riparazione e di mantenimento dei
meccanismi genici propri del singolo individuo.
3. Danno legato alla cicatrizzazione e al rimodellamento del miocardio
L'evoluzione anatomica dell'area di infarto, nei casi di sopravvivenza, è di
regola verso la fibrosi cicatriziale. Tuttavia, vi sono evidenze che, a seconda
degli individui e delle condizioni patologiche, una parte del miocardio
danneggiato potrebbe essere riparata da cellule staminali reclutate da nicchie
del miocardio (es. punta del cuore) o da regioni extracardiache (es. sangue,
vasi, epicardio e midollo), differenziandosi in miocardiociti nel microambiente
del tessuto di granulazione infartuale. La loro integrazione nel sistema
contrattile miocardico verrebbe dimostrata dal recupero della frazione di
eiezione e della vettorialità della contrazione.
Tentativi di utilizzare cellule staminali ex vivo hanno dato risultati
deludenti, soprattutto per la dubbia integrazione e per il pericolo che esse
possano dar luogo a foci generatori di aritmie.
La presenza di cicatrice e la mancata restitutio ad integrum del miocardio
comportano un rimodellamento per rispondere alla nuova (deficitaria) situazione
emodinamica.
Il rimodellamento riguarda sia il tessuto (miocardio e stroma) vicino e quello
lontano, sia i singoli miocardiociti. In particolare, questi ultimi spesso
vanno incontro ad ipertrofia compensatoria per sopperire alle deficienze locali
di contrattilità.
Negli infarti transmurali estesi la sostituzione del tessuto contrattile con
tessuto fibroso anelastico può determinare un progressivo cedimento della parete
con formazione di aneurismi del ventricolo sinistro, ad alto rischio di
rottura intrapericardica e conseguente tamponamento.
L'infarto del miocardio colpisce in genere il ventricolo sinistro, più spesso il territorio della coronaria sinistra (la discendente anteriore per gli infarti anteriori estesi e anterosettali, la circonflessa sinistra per gli anterolaterali). Se è interessata la coronaria destra, le localizzazioni sono quelle posteriore, posterolaterale o posteroinferiore.
L'infarto
del ventricolo destro è raro, molto raro quello degli atri.
La necrosi può interessare il miocardio a tutto spessore (infarto transmurale)
o solo gli strati subepicardici o sottoendocardici; quando raggiunge
l'epicardio si complica più spesso con una reazione infiammatoria fibrinosa del
pericardio; quando raggiunge l'endocardio, con una trombosi parietale.
L'interessamento anche più diffuso di fini diramazioni (malattia dei piccoli
vasi) può essere causa di microinfarti, talora asintomatici o con sintomatologia
moderata, che col tempo sono causa di miocardiosclerosi, più o meno diffusa.
Le alterazioni elettrocardiografiche, che possono mancare nelle prime 12 ore, si
articolano in almeno tre quadri distinti che si succedono nel tempo. Nella fase
acuta (prime ore o giorni) si osserva uno slivellamento verso l'alto del tratto ST, con scomparsa dell'onda T (onda coronarica di Pardee, corrente di lesione). Successivamente (fase subacuta) il tratto ST si abbassa, con
decorso curvilineo concavo in basso e compare un'onda T negativa, acuminata,
simmetrica, con contemporanea comparsa di una deflessione
iniziale negativa del tratto QRS, che talora abbraccia tutto il complesso (q
cavitaria), espressione della cosiddetta finestra elettrica, per cui l'elettrodo
esplorante vede la negatività della fase di attivazione del miocardio
ventricolare.
Infine, a partire da alcune settimane dall'esordio e per anni, talora per tutta
la vita, si osserva il quadro tipico dell'infarto stabilizzato dalla fibrosi,
caratterizzato dalla persistenza della q negativa e di una T negativa
coronarica.
Completano il quadro i marcatori sierici di necrosi miocardica. Si tratta di
alcune proteine che vengono rilasciate in circolo in quantità dosabili ed i cui
livelli sierici si correlano bene con l'estensione del processo necrotico (si
tenga presente che è sufficiente la necrosi di 2 grammi di tessuto miocardico
per produrre un aumento significativo del loro livello). In ordine di tempo e in
parallelo con l'estensione dell'area di infarto, aumenta per prima
la troponina T (parte del complesso di regolazione dell'interazione actinamiosina), poi (entro 12-24 ore) aumenta l'isoenzima cardiaco della creatinchinasi (MB-CK); segue l'aumento dell'aspartato aminotrasferasi (entro
24-48 ore) e degli isoenzimi della latticodeidrogenasi (LDH1 e LDH2). Questi
ultimi, per avere una più lunga emivita, rappresentano, unitamente al dosaggio
della troponina T e della mioglobina, un utile sussidio diagnostico a partire
dalle fasi precoci e fino ad una settimana circa dall'esordio.
Depressione del tratto ST orizzontale (C) o verso il basso (B) > 0,5mm
(certo 2mm) in almeno due derivazioni contigue.
La morfologia con sottoslivellamento in salita di norma non e' suggestiva di
ischemia
Dai miocardiociti necrotici si liberano anche molecole segnale di danno (allarmine)
che, oltre ad innescare la risposta infiammatoria riparativa, possono essere
utilizzate come marcatori, come per la HMGB1, una proteina ad alta mobilità,
liberata dai nuclei necrotici.
Alle alterazioni parenchimali si associano alterazioni stromali rappresentate
da edema e infiltrazione emorragica, quest'ultima talora di entità tale da
giustificare il termine di infarto rosso; più tardivamente sono presenti
fenomeni francamente infiammatori con infiltrazione parvicellulare e
macrofagica. L'associazione di fenomeni infiammatori si correla all'attivazione
di macrofagi, di altri leucociti e, probabilmente, anche delle stesse cellule
tissutali da parte di segnali (allarmine o DAMP) rilasciati dai miocardiociti
in necrosi.
L'attivazione della risposta infiammatoria si manifesta con una tipica reazione
di fase acuta che comprende la liberazione in circolo di citochine
infiammatorie (IL1, IL6, TNFa) e l'aumento nel siero delle proteine di fase
acuta (tra cui la proteina amiloide sierica, SAA e la proteina C reattiva, PCR e
altre pentraxine), e successivo aumento della VES o velocità di sedimentazione
eritrocitaria, leucocitosi, febbre, iperglicemia.
Questi fenomeni, pressoché costanti tra la 24a e la 72a ora dall'inizio della
sintomatologia, sono transitori e scompaiono nel giro di pochi giorni. Questi
sono aspetti di amplificazione sistemica dell'infiammazione distrettuale
innescata dalla necrosi nel miocardio vitale adiacente all'area di infarto.
E da questa risposta che vengono richiamati e attivati i leucociti che, prima
localmente e poi sistemicamente, stabiliranno lo stato infiammatorio del
miocardio.
Le complicanze più importanti dell'infarto del miocardio sono rappresentate,
soprattutto nelle prime ore, dall'edema polmonare acuto (insufficienza acuta del
ventricolo sinistro), dallo shock cardiogeno, in genere refrattario al
trattamento, dalla morte improvvisa cardiaca.
Mentre l'edema polmonare acuto e lo shock cardiogeno si verificano in genere
quando l'area necrotica corrisponde ad almeno il 20-40% della massa del
ventricolo sinistro, la morte improvvisa può verificarsi anche a seguito di
infarti di piccole dimensioni, per meccanismi patogenetici che coinvolgono
soprattutto la genesi di aritmie maligne.
Tra le complicanze più tardive, l'insufficienza cardiocircolatoria cronica e
l'aneurisma del ventricolo sinistro.