I molteplici meccanismi descritti, seppure diversamente alterati nelle varie cardiopatie esitanti in scompenso, portano alla fine a un quadro relativamente uniforme, seppure quantitativamente variabile. è interessante notare come i sintomi dello scompenso, che dunque nasce nel cuore, siano in realtà più extracardiaci che cardiaci.
Vari tipi di dispnea costituiscono la manifestazione abitualmente dominante del
quadro clinico dello scompenso.
La dispnea è un disturbo caratterizzato, a un tempo, dalla sensazione del malato
di difficoltà a respirare, accompagnata dall'evidenza obiettiva di respiro
superficiale e affrettato. In un primo tempo la dispnea compare per sforzi
intensi; in seguito l'attività fisica sufficiente a produrla diviene via via
minore, sino a quando il sintomo compare anche a riposo.
a) La dispnea da sforzo è la forma minore, che va valutata secondo il tipo di
attività fisica in grado di indurla, A volte il sintomo è mal avvertito dal
paziente che ha progressivamente e automaticamente ridotto la propria attività
fisica. La sua comparsa e il suo aggravamento sono a volte
abbastanza rapidi. Per valutare l'entità dello sforzo che induce dispnea, il
modo più semplice e affidabile, e che permette di valutare eventuali variazioni
nel tempo, è chiedere al paziente quanti gradini è in grado di salire prima che
insorga il sintomo.
b) La dispnea parossistica o asma cardiaca, compare abitualmente di notte, a
riposo e costringe il malato a sedersi o ad alzarsi con "fame d'aria". Nel suo
meccanismo, la cronologia notturna è favorita dal maggiore ritorno venoso di
sangue cavale inferiore al cuore e dal riassorbimento di edemi periferici a
causa della cessazione dell'attività fisica.
c) L'ortopnea è la dispnea che costringe il malato a un decubito obbligato tra
60 e 90°. L'alleviamento del disturbo è dovuto alla riduzione del ritorno venoso
al torace, con conseguente diminuzione della congestione polmonare e aumento
della capacità vitale che si realizza quando il malato si siede; inoltre in
questa posizione è più efficace l'azione dei muscoli ausiliari della
respirazione.
d) L'edema polmonare acuto è una manifestazione importante
dell'insufficienza cardiaca: è un edema alveolare, cioè una trasudazione di
liquido dai capillari polmonari entro l'alveolo; infatti l'edema interstiziale
si realizza in una fase più precoce dell'insufficienza ventricolare sinistra.
Costituiscono un'altra frequente manifestazione dell'insufficienza cardiaca. Il
più precoce è la nic-turia: 2/3 e oltre del volume urinario delle 24 ore sono
escreti nelle ore notturne, a differenza di quanto si osserva nella persona
normale (2/3 di giorno). Durante la giornata, infatti, l'attività muscolare
allontana ancora di più dal rene il già ridotto flusso, mentre nelle ore di
riposo la gittata cardiaca è meno insufficiente, l'ischemia renale relativa si
riduce e aumenta la formazione di urina. Alla nicturia si associa più avanti
l'oliguria, la riduzione cioè in assoluto del volume urinario.
Sono la conseguenza della stasi portale, della stasi mesenterica e dell'ischemia
splancnica. Non sono di comparsa molto precoce, salvo l'epatalgia da sforzo, il
dolore da attività fisica legato alla distensione della capsula glissoniana del
fegato: esso è particolarmente frequente nei bambini e negli adolescenti.
Anoressia, difficoltà digestiva, inappetenza, nausea e vomito sono assai meno
evidenti.
Si osservano più spesso nei pazienti anziani, sotto forma di vertigini,
confusione, sonnolenza o, al contrario, insonnia; rara l'inversione nictoemerale
del ciclo sonno-veglia. Disturbi emozionali possono comparire in malati
severamente limitati nella loro attività fisica, nonostante una terapia ben
condotta.
Cachessia (dimagrimento e anemia), aumento o perdita di peso, facile
stancabilità, storia di sudorazioni, soprattutto notturne, sono riferiti con
variabile frequenza e sono il risultato della cattiva perfusione cutanea e
muscolare.
I meccanismi fisiopatologici alla base della ritenzione idrica si manifestano in vario modo.
A livello polmonare i segni di ritenzione idrica accompagnano il sintomo
dispnea. Per gradi minori di congestione polmonare compaiono crepitii
inspiratori bibasali, tale reperto può persistere nel tempo anche se tende a
modificarsi. Con l'aggravarsi del quadro i crepitii inspiratori salgono a
interessare progressivamente tutti i campi polmonari e diventano
progressivamente più grossolani fino a divenire rantoli. Questa presentazione si
osserva in corso di edema polmonare acuto ed è quindi necessariamente molto
limitata nel tempo.
A livello periferico le più frequenti manifestazioni della ritenzione idrica
sono rappresentate dagli edemi declivi, dal turgore giugulare e
dall'epatomegalia. Gli edemi, vale a dire la raccolta di liquido interstiziale
in eccesso, sono nel cardiopatico in scompenso tipicamente gravitari: sono
presenti agli arti inferiori nella persona che sta soprattutto in posizione
eretta; sono confinati al sacro nei malati che giacciono a letto. Il turgore
giugulare è espressione di elevata pressione venosa centrale che distende la
parete del vaso. Tale reperto, che va ricercato con il paziente seduto a 45°, è
considerato segno di scompenso cardiaco molto sensibile e specifico. Può essere
presente reflusso epatogiugulare: comprimendo il fegato il turgore venoso
giugulare diviene più evidente perché la compressione epatica favorisce lo
scarico della cava inferiore, ma ostacola lo svuotamento della cava superiore.
L'epatomegalia è un altro segno, classico e frequente, dello scompenso
soprattutto destro. Il fegato è di consistenza aumentato, teso, dolente alla
pressione, regolare; in questa fase è provocabile un reflusso epatogiugulare.
In fase avanzata di "cirrosi cardiaca" il fegato è duro, indolente, si
accompagna ad ascite e a gonfiore addominale e a cachessia cardiaca. Idrotorace, ascite e idropericardio possono comparire nei pazienti con scompenso
cardiaco avanzato. Questi segni sono oggi di più rara osservazione, perché la
diffusa terapia diuretica ne ostacola la comparsa.
L'ingrandimento dell'aia cardiaca è pressoché costante. All'ascoltazione, in ordine di frequenza, i seguenti segni sono abituali nello scompenso: tachicardia con frequenza per lo più superiore a 90 battiti al minuto; scomparsa delle variazioni della frequenza cardiaca con gli atti del respiro; ritmo di galoppo protodiastolico. I primi due segni sono legati all'iperattivita simpatica, il terzo alla dilatazione ventricolare con brusca riduzione della velocità di riempimento per piccole quantità di sangue e a ridotta distensione ventricolare. Il galoppo è spesso palpabile e la sua evidenza contrasta con l'abituale riduzione di intensità del primo tono. Di minore importanza il contegno dei soffi: possono comparire infatti soffi da insufficienza mitralica o tricuspidale in presenza di dilatazione ventricolare; possono scomparire soffi da lesioni valvolari pre-esistenti per la ridotta gittata sistolica. Il polso è spesso piccolo, frequente, molto più raramente alternante. La pressione arteriosa mostra caratteristicamente riduzione dei valori sistolici per la depressa gittata cardiaca e aumento dei valori diastolici per l'incremento delle resistenze periferiche, con pressione differenziale ridotta.
è stata proposta molto recentemente da L.W. Stevenson una classificazione dei
pazienti con scompenso cardiaco analoga a quella formulata nel 1976 da
Forrester per i pazienti con infarto miocardico acuto. Tale classificazione
prevede la distinzione di 4 profili clinico-emodinamici basati sulla semplice
identificazione clinica della presenza o meno di sintomi e segni di congestione
e di adeguata perfusione periferica:
1) profilo A: assenza di congestione - adeguata perfusione;
2) profilo B: congestione - adeguata perfusione;
3) profilo C: congestione - inadeguata perfusione;
4) profilo D: assenza di congestione - inadeguata perfusione
Il profilo A identifica i pazienti clinicamente meno critici e con migliore
sopravvivenza, il profilo C quelli con scompenso cardiaco più severo e prognosi
peggiore, i profili B e D quelli con caratteristiche intermedie. Questa
classificazione si propone oggi come uno strumento semplice e affidabile per
identificare diversi livelli di gravità, per predire la prognosi per guidare la
terapia e per selezionare in modo appropriato classi di pazienti
omogenee per studi clinici.