Mammiferi e uccelli sono omeotermi, capaci cioè di mantenere la temperatura entro livelli costanti -38°C).
Altri animali (pesci, anfibi, rettili) sono poichilotermi, avendo la temperatura corporea simile a quella dell'ambiente.
La temperatura corporea dell'uomo è di circa 37°C+1. Variazioni fisiologiche della temperatura si hanno nel corso di attività o in condizioni con aumentato metabolismo, come uno sforzo fisico prolungato o durante la digestione; nella donna in età fertile la temperatura può variare a seconda della fase del ciclo mestruale: aumenta di circa 0,6 °C verso il 1-13° giorno, in coincidenza del verificarsi dell'ovulazione e per tutta la fase luteinica; poi decresce fino alla comparsa del flusso mestruale.
Variazioni fisiologiche si osservano durante la giornata, con differenze di 0.5-0,8 °C tra le ore diurne e quelle notturne, raggiungendo il massimo tra le ore 15 e le 18.
Sulla base delle osservazioni fisiologiche e di convenzioni internazionali si è stabilito di considerare normale, alla misurazione orale la temperatura di 36,8+0,4°C con il minimo alle 6 del mattino e il massimo alle 16-18 del pomeriggio.
Pertanto le temperature massime ancora da considerare normali sono 37,2°C al mattino e 37,7°C al pomeriggio. Questi valori rappresentano il 99% dei valori osservati nei soggetti sani. Si considera febbre o ipertermia una temperatura al di sopra di questi valori.
La temperatura oltre che oralmente, può essere misurata a livello timpanico
(leggermente inferiore a quella orale) oppure nel retto, con valori superiori di
circa 0,4°C, ma generalmente ritenuti più affidabili rispetto a quelli orali.
L'attività basale dei neuroni ipotalamici termoregolatori (vedi testo) determina
il normale punto di regolazione o set point di temperatura, ossia i 37°C circa a
cui viene mantenuta la temperatura dagli effettori neuroendocrini a valle.
Le alterazioni di questo sef point derivano quindi dalla modulazione di questa
attività basale. Nella febbre viene alterato il set point con stimoli che
convergono sui recettori EP3 della PGE2; nel l'ipertermia sono alterati a valle
soprattutto i meccanismi di termodispersione, che risultano insufficienti
rispetto alle sollecitazioni che provengono dai centri termoregolatori,
peraltro normalmente funzionanti.
Il meccanismo di termoregolazione dei mammiferi comprende:
a) i sensori di temperatura, periferici e centrali;
b) un centro neuronale di
elaborazione dei dati, la cui attività determina il set point o valore a cui
sono regolate le funzioni per determinare il valore di temperatura finale; ci
una serie di effettori e di reazioni, centrali e periferici, per aumentare o
diminuire la temperatura.
Le principali alterazioni della termoregolazione avvengono nelle ipertermie e
nella febbre.
I sensori di temperatura rilevano informazioni provenienti dalla periferia
(terminazioni nervose per il caldo e per il freddo afferenti) e dal sangue
circolante avvertite direttamente dai neuroni dell'ipotalamo, i cosiddetti
neuroni W (per Warm).
L'elaborazione di queste informazioni avviene nell'ipotalamo. I nuclei preottici termoregolatori nell'ipotalamo anteriore ricevono queste due
afferenze dai sensori.
I neuroni che costituiscono questi nuclei termoregolatori, oltre ai neuroni W, comprendono altri tipi di cellule, per lo più efferenti, che inviano segnali nervosi e metabolici per mantenere i valori normali suddetti. Importanti sono i neuroni W per la termodispersione con efferenze ai centri vasomotori e alla neuroipofisi, e i neuroni c per la termoproduzione con efferenze al basso ipotalamo per gli ormoni regolatori dell'adenoipofisi. Altri neuroni, come quelli I (insensibili alla temperatura), hanno funzioni prevalentemente di integrazione.
Il normale metabolismo basale a riposo produce più calore di quanto sia necessario, pertanto, la prevalente attività dell'ipotalamo in questa condizione è finalizzata a disperdere calore, se la temperatura esterna non è di molto inferiore a quella normale di 37 °C.
Quando l'ambiente esterno è freddo, la prevalente attività dell'ipotalamo verrà finalizzata a conservare prima e poi a produrre calore nei tessuti periferici (neotermogenesi). Queste tre principali azioni effettrici si avvalgono dell "aumento del circolo (vasodilatazione) superficiale, della sudorazione/perspirazione per la termodispersione, dello shift del circolo sanguigno dalla superficie verso i visceri e i tessuti profondi per la termoconservazione e, infine, dell'aumento del metabolismo basale a neotermogenesi.
Ognuna di queste azioni ha un ruolo importante nelle ipertermie e nella febbre, con alcune importanti differenze patogenetiche.
La febbre va distinta dalle ipertermie. Ambedue sono caratterizzate da un aumento della temperatura corporea, ma differiscono nella patogenesi; la febbre implica un'alterazione del centro termoregolatore con una regolazione verso l'alto, mentre nell'ipertermia, questo centro appare normale, risultando insufficienti le condizioni per l'esecuzione delle azioni di termoregolazione e, soprattutto, essendo impedita la dispersione del calore comunque prodotto in quella condizione (es. lavoro fisico). Una tipica ipertermia si evidenzia nel colpo di calore favorito da condizioni ambientali (caldo e umidità) che rendono difficile la termodispersione, facendo aumentare la temperatura corporea anche solo attraverso il metabolismo basale (colpo di calore a riposo); questo si verifica per esempio in anziani e soggetti debilitati durante le ondate di grande caldo-umido di alcune stagioni estive.
Il rilevamento dell'innalzamento della temperatura corporea, in coincidenza dell'ovulazione (tale innalzamento non si osserva nei cicli anovulatori), è alla base di un metodo di controllo del concepimento, detto metodo Ogino-Knaus: l'improvviso aumento della temperatura basale di 0,6°C (1,0°F), sempre comunque al di sopra di 37°C, che si verifica tra il 12° e il 14° giorno del ciclo, indicherebbe l'inizio del periodo post-ovulatorio.
Queste osservazioni permettono di controllare la procreazione, suggerendo l'astensione dai rapporti
sessuali con eiaculazione per almeno 72 ore dal rialzo termico accuratamente
rilevato con una misura quotidiana in condizioni comparabili (es. a riposo alle
18). Purtroppo, l'attendibilità e la precisione del fenomeno si sono dimostrate
limitate dalle numerose interferenze di altra natura (endocrine, attività
fisica, metabolica, periodo stagionale, e varie altre condizioni
fisiopatologiche), per cui appare limitata la sua applicazione come metodo
anticoncezionale.
La situazione può essere aggravata dall'eventuale esercizio fisico (colpo di
calore da esercizio, come negli sportivi, nei lavoratori degli altiforni, ecc.)
o da farmaci (anfetamine, cocaina, LSD, ecc.) e da condizioni fisiopatologiche
intercorrenti (ipertiroidismo, feocromocitoma) che, aggiungendo altro calore a
quello prodotto dal normale metabolismo basale, portano rapidamente la
temperatura corporea a valori anche letali (oltre 42 °C).
La febbre è uno dei segni sistemici più caratteristici della flogosi ed è dovuta
agli adattamenti del circolo (diminuita termodispersione) e alla nuova
espressione genica (aumento della neotermogenesi) causati da un risettaggio del
centro termoregolatore ipotalamico, indotto da citochine pirogene (IL-1, TNF-a,
IL-6, PGE2 e altre prostaglandine).
L'aumento della temperatura corporea di 2-3°C o più per un periodo la cui durata
appare di poco inferiore a quella della risposta flogistica, è ottenuto con due
contributi: il primo, più precoce, di termoconservazione legato alla
vasocostrizione superficiale con vasodilatazione a favore di organi interni, il
secondo, più tardivo e prolungato, di neotermogenesi da parte di vari tessuti
dell'organismo il cui metabolismo viene attivamente innalzato.
Questi aggiustamenti sono diretti dal centro termoregolatore ipotalamico
stimolato dai pirogeni endogeni liberati nel corso di una risposta
infiammatoria. E noto infatti che questi mediatori pirogeni possono superare la
barriera ematoencefalica a livello dell'organum vasculosum ipotalamico e
stimolare i neuroni termoregolatori situati nelle vicinanze. La loro
attivazione inizia una cascata che porta alla produzione di
prostaglandine (soprattutto PGE2), all'attivazione del sottostante nucleo
sopraottico e paraventricolare per il rilascio dei peptidi attivanti l'ipofisi e
per segnali ai centri vasomotori.
Dall'ipofisi parte una serie di segnali coordinati ai tessuti e organi
periferici: dalla neuroipofisi si hanno, insieme con l'azione dei centri
vasomotori, i principali segnali per la ridistribuzione del circolo dalla
superficie corporea ai tessuti interni; dall'adenoipofisi originano i segnali
endocrini per la neotermogenesi e i relativi adattamenti metabolici; qui ha un
ruolo centrale l'asse TSH/T3-T4 nella febbre. Infatti, i recettori per gli
ormoni tiroidei, presenti ubiquitariamente nei tessuti nelle due isoforme a e fi,
generano vari tipi di segnali in ragione del loro posizionamento sulla membrana
plasmatica (legati con coda lipidica) e/o nel citosol-nucleo.
Nel primo caso danno segnali metabolici immediati attraverso l'attivazione di
alcune chinasi e del metabolismo glicidico e lipidico ad esse collegato, con
aumento del consumo di 02 e della produzione di ATP e stimolazione della
lipolisi. Nel secondo caso i recettori in forma omodimerica o eterodimerica
costituiscono fattori di trascrizione che attivano geni dipendenti da sequenze
TRE (Elementi Responsivi agli ormoni Tiroidei) la cui espressione, variamente
combinata, spiega gli effetti di neotermogenesi a lungo termine degli ormoni
tiroidei. In particolare, vengono attivati:
a) i geni delle ATP-asi ioniche (pompa Na+/K+ e pompe Ca++), che consumano
grandi quantità di ATP producendo calore; l'ADP che si genera stimola la
fosforilazione ossidativa e il consumo di 02;
b) le termogenine I e II del tessuto adiposo (specialmente grasso bruno):
queste sono proteine disaccoppianti, situate sulla membrana mitocondriale
interna, che dissipano il potenziale protonico sottoforma di calore; l'ADP in
eccesso rimasto inutilizzato, perché non trasformato in ATP, stimola
ulteriormente il consumo di 02;
c) infine, gli enzimi del metabolismo energetico e lipolitico necessari alla
produzione degli intermedi energetici e dell'ATP necessario alle ATP-asi
aumentate in queste condizioni.
Tutte queste proteine e relative vie metaboliche, la cui induzione appare
proporzionale allo stimolo ormonale e ai pirogeni endogeni ed esogeni,
contribuiscono in varia misura alla neotermogenesi, necessaria a mantenere alta
la temperatura per lunghi periodi (4-8 giorni
0 più) tipica della febbre.
è noto che la febbre è strettamente associata alla presenza dell'agente dannoso
e/o al danno da esso prodotto. Nel corso di anni di ricerca sulla patogenesi
della febbre sono state isolate sostanze di derivazione batterica, come le
endotossine, capaci di evocare la risposta febbrile. Le endotossine, tuttavia,
non agiscono direttamente sul centro termoregolatore, per cui era implicita
l'esistenza di sostanze che, pur dipendenti dall'azione delle endotossine,
interagissero con i neuroni ipotalamici.
Il lipopolisaccaride endotossico dei batteri Gram-, le tossine batteriche degli
stafilococchi aurei A e B e altre sostanze di derivazione sia batterica che
cellulare che presentavano la capacità di evocare indirettamente la febbre
sono stati chiamati pirogeni esogeni. Questi agiscono prevalentemente attraverso
i recettori della famiglia toll-like attivando NF-kB e la produzione di
prostaglandine.
Agiscono in maniera sostanzialmente simile ai pirogeni esogeni, alcune molecole
intracellulari (pirogeni esogeni di origine endogenal) liberate nel corso della
necrosi cellulare, come le HMGB1 della cromatina, l'ATP/ADP e i frammenti di
membrana con alto contenuto di fosfatidil-serina (faccia citosolica della
membrana plasmatica). Queste interagiscono con recettori vicini (RAGE, P2X7,
recettori per la fosfatidil-serina) che, come i toll-like, attivano NF-kB e i
geni delle citochine pirogeniche (vedi Capitolo sull'infiammazione).
Lo studio dell'azione dell'endotossina è diventato il paradigma sperimentale per
chiarire la patogenesi della febbre. Si è visto così che queste e altre tossine
batteriche inducevano nelle cellule infiammatorie e nell'endotelio la produzione
delle citochine pirogeniche tra cui IL-1, TNF-a, IFN-y e IL-6 e anche di alcune prostaglandine (PGE2), tutte con azione pirogena. Queste molecole,
prodotte da cellule dell'organismo, in grado di interagire direttamente a
livello dei centri termoregolatori ipotalamici, sono state chiamate pirogeni
endogeni.
è discusso se i piccoli peptidi citochinici periferici plasmatici siano in grado
di oltrepassare la barriera ematoencefalica e, quindi, di agire direttamente sui
neuroni ipotalamici. Da una parte viene negato, dall'altra si fa notare come al
livello dell'organum
vasculosum della lamina terminalis dell'ipotalamo, l'endotelio appaia piuttosto
di tipo fenestrato e, quindi, non avrebbe quella condottata impermeabilità
caratteristica degli altri distretti cerebrali. Vi sono, comunque, altre due
possibilità che non si escludono a vicenda e che potrebbero dare un inferiore
contributo, o costituire un'alternativa, al processo di genesi della febbre:
L Le citochine pirogene possono agire con la mediazione della PGE2
prodotta dalle cellule endoteliali dei vasi ipotalamici e liberata sul versante
cerebrale. è stato dimostrato che la PGE2 è la sostanza più attiva e selettiva
che, iniettata direttamente nel ventricolo cerebrale, è capace di risettare a
una temperatura più alta i neuroni del centro termoregolatore. La PGE2 può
contare su almeno 4 tipi di recettori specifici identificati come EP, ma solo
l'EP-3 è coinvolto nella patogenesi della febbre. Questo recettore è abbondante
nelle cellule gliali, che, stimolate da PGE2, liberano grandi quantità di cAMP e
altri nucleotidi ciclici. Questi nel cervello si comportano da
neurotrasmettitori capaci di influenzare l'attività di firing) dei neuroni
termoregolatori direttamente e/o facilitando la liberazione di trasmettitori
monoaminici.
Le citochine pirogeniche possono essere prodotte direttamente nel microambiente
ipotalamico, sia per una risposta intracerebrale al danno (es. necrosi
emorragica), sia per una risposta delle cellule endoteliali, iniziata sul
versante ematico e trasmessa al versante cerebrale.
La più approfondita conoscenza della biologia di queste citochine ha rivelato
che esse vengono indotte nel corso della risposta infiammatoria dovuta non solo
a batteri, virus e altri parassiti, ma anche al danno endogeno (necrosi
cellulare, infarto, ictus, danno autoimmune, ecc.) con liberazione di alcune
molecole intracellulari (es. HMGB1). Pertanto, risulta chiaro che la febbre non
origina necessariamente dall'azione dei pirogeni esogeni, ma può scaturire
direttamente dalle citochine che si producono nel corso di risposte del tutto o
parzialmente endogene.
Nelle sepsi e nello shock tossico la febbre, iniziata dai pirogeni esogeni
batterici, si mantiene soprattutto grazie ai pirogeni endogeni della tempesta
citochinica associata al danno necrotico cellulare dei vari distretti colpiti.
La grande disponibilità di pirogeni endogeni può alterare il centro
termoregolatore in maniera più evidente provocando rialzi termici al di sopra
di 41,5 °C che possono essere mantenuti a lungo, fino alla morte del paziente.
Questo tipo di febbre viene chiamata anche iper-piressia ed è associata spesso
alla rottura della barriera ematoencefalica, come si verifica nelle emorragie
del sistema nervoso centrale, che permette l'afflusso massivo ali "ipotalamo
delle citochine dal sangue.
La febbre non è mediata dai pirogeni endogeni e dalla PGE2 quando vi è una
primitiva alterazione dell'ipotalamo, in seguito a trauma, emorragia,
compressione da tumore, o altre condizioni patologiche dell'ipotalamo; questa
viene detta febbre ipotalamica. Tuttavia, questo avviene solo raramente, poiché
nelle stesse condizioni più frequentemente si osserva una perdita di funzione
ipotalamica che non è in grado di rispondere opportunamente con meccanismi di
termoconservazione o neotermogenesi dando luogo a ipotermie che si instaurano
rapidamente al decrescere della temperatura esterna.
La temperatura aumenta quando è aumentato il signalling dell'asse TSH/T3-T4.
Questo si verifica anche nell'ipertiroidismo primitivo (tireotossicosi) o
secondario (tumori ipofisari producenti TSH) in cui l'aumento della
temperatura è di regola presente.
Da ricordare infine l'ipertermia maligna. Per l'innalzamento della temperatura in questa condizione, prevale la
neotermogenesi fortemente sostenuta dall'attivazione di vari metabolismi e
funzioni Ca2+-dipendenti, tra cui la contrazione muscolare, vari metabolismi
perossidativi e catabolici e delle varie funzioni ATP-asiche, tutte reazioni
prevalentemente esotermiche. Infatti, l'ipertermia maligna viene scatenata da
vari stimoli che permettono l'apertura abnorme, per durata e momento, del
canale ionico per il Ca2+ (recettore per la ryanodina), accoppiato alla proteina
sensore di potenziale (recettore per la diidro-piridina), organizzati nelle
triadi [reticolo sarcoplasmatico + T-tubuli] della membrana sarcoplasmatica. Le
mutazioni con guadagno di funzione di questo canale si esprimono con una
maggiore sensibilità alle modificazioni del potenziale indotte da anestetici
generali e locali, da agonisti di recettori adrenergici e da altre molecole
capaci di modificare il potenziale, soprattutto a livello muscolare. Attraverso
questi meccanismi l'omeostasi del Ca2+ citosolico viene irrimediabilmente
danneggiata, attivando in maniera esasperata le funzioni da essa dipendenti e
grande consumo di ATP, che portano al quadro clinico della ipertermia maligna e
alla morte. L'uso precoce di Ca2+-antagonisti ha mitigato, anche se solo
modestamente, il quadro clinico drammatico dell'ipertermia maligna.
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