La P53 fu inizialmente identificata nel 1979 come una proteina di peso molecolare di circa 53 kDa che formava dei complessi proteici con l'antigene Large T nelle cellule trasformate dal virus SV40. Il gene che codifica P53 fu successivamente mappato sul braccio corto del cromosoma 17. All'inizio, il fatto che in molti casi P53 si accumulava nei tumori e che il gene P53 clonato da tumori induceva la trasformazione neoplastica di cellule in coltura suggerì erroneamente che P53 fosse un oncogene. Solo in un secondo momento fu dimostrato che la proteina che si accumulava nei tumori era inattiva e capace di bloccare con meccanismo di dominanza negativa la proteina endogena wild type. Infatti, numerosi studi hanno confermato che le mutazioni di P53 sono del tipo "loss offunction" e che quindi P53 ; da annoverare nella famiglia dei geni oncosoppressori.
La sindrome di Li-Fraumeni (OMIM: 1516231) è causata da mutazioni germinali che
inattivano P53. Essa è una rara malattia autosomico dominante che predispone allo
sviluppo di carcinomi della mammella, sarcomi, osteosarcomi, tumori del
cervello, carcinomi della corticale del surrene, tumore di Wilms, linfomi ed
altri tumori. Una sindrome molto simile, chiamata Li-Fraumeni 2 (OMIM: 609265),
è invece determinata da mutazioni della chinasi CHK2 che contribuisce all'attivazione di P53.
I tumori nei quali P53 è più frequentemente mutata sono i carcinomi ovarici e dell'esofago (circa 50% dei casi), del colon, pancreas e polmone (circa 40-50% dei casi), dell'utero e mammella (circa 25-30% dei casi), ed i sarcomi (circa 15-20% dei casi). Esistono cataloghi consultabili online delle mutazioni di P53 identificate in tumori. Come già anticipato, le mutazioni di P53 nei tumori sporadici spesso non seguono il modello dei due hit di Knudson; esse, piuttosto, si riscontrano in eterozigosi ed agiscono con il meccanismo della dominanza negativa. Esistono due geni altamente omologhi a P53, chiamati P63 e P73. P63 in particolare è il più ancestrale in termini di evoluzione. Seppure mutazioni di P63 e P73 non siano state riscontrate nei tumori, è probabile che anch'essi abbiamo un ruolo importante nella cancerogenesi interagendo con P53.
P53 è una fosfoproteina nucleare che funziona da fattore trascrizionale in
grado di legare sequenze specifiche del DNA. Una volta attivata da vari segnali
di stress cellulare (sia genotossici che non genotossici), la proteina P53
viene stabilizzata, si accumula, ed induce l'espressione di geni coinvolti in
varie risposte biologiche quali arresto della proliferazione, apoptosi e riparo
del DNA.
Dal punto di vista strutturale, P53 è costituita da 393 amminoacidi. La porzione
ammino-terminale contiene 2 domini di transattivazione della trascrizione
genica (TAD). Questa regione è seguita da un segmento ricco in proline (PP) che
è importante per la stabilità della proteina. La parte centrale di P53 contiene
il dominio di legame al DNA (DBD), seguito da una sequenza di localizzazione
nucleare. Infine, la porzione COOH-terminale contiene il dominio di
tetramerizzazione (TET).
La proteina P53 lega il DNA ed attiva la trascrizione sotto forma di
omotetramero.
La sequenza di DNA che lega P53 (P53RE = P53 responsive element) è costituita da
2 sequenze palindromiche distanziate da uno spacer lungo 0-21 nucleotidi. ed ha
quindi la seguente struttura: 5'-pu-pu-pu-C-A/T-T/A-G-py-py-py-spacer-pu-pu-pu-C-A/T-T/A-G-p\
-py-py-3'(pu = purina; py = pirimidina). Sui due filamenti del DNA, il P53RE,
quindi, risulta costituito da 4 siti molti simili (5'-pu-pu-pu-C-AfT-T/A-G-py-py-py-3'),
ciascuno in grado di legare un monomero di P53 nel contesto del tetramero.
Il fatto che P53 funzioni in forma tetramerica spiega l'effetto dominante
negativo che hanno le sue mutazioni associate ai tumori.
Infatti, mutazioni di tipo missense che interferiscono con l'attività del
singolo monomero P53 (ad esempio impedendone il legame al DNA) sono in grado di
bloccare il funzionamento dell'intero tetramero. In questo modo, la sola
mutazione in eterozigosi è sufficiente per determinare una perdita completa
della funzione di P53.
è possibile che i mutanti di P53 possano inibire non solo la funzione di P53
wild type, ma anche di proteine che interagiscono con P53 come ad esempio P63 e
P73.
L'attività di soppressione tumorale esercitata da P53 è principalmente dovuta
alla sua attività trascrizionale. P53 infatti è in grado di indurre l'espressione
di un gran numero di geni che codificano proteine coinvolte in molteplici risposte
biologiche (Tab. 24.3). Molti dei geni che rispondono a P53 contengono uno o più
P53RE nel loro promotore. E' anche possibile che P53 regoli l'espressione genica
in maniera indiretta, regolando l'attività di altri fattori trascrizionali
ovvero stimolando l'espressione di alcuni specifici microRNA.
Uno dei più importanti bersagli trascrizionali di P53 è l'inibitore delle CDK
chiamato p21CIPl. Inducendo p21CIPl, P53 è in grado di promuovere
l'arresto temporaneo (quiescenza) oppure permanente (senescenza) del ciclo
cellulare. Altri geni indotti da P53, invece, sono in grado di promuovere la
morte cellulare programmata (apoptosi). Esistono due meccanismi di apoptosi
chiamati pathway estrinseco e pathway intrinseco. Il primo è indotto da
citochine diffusibili, come FASL, che legano recettori di membrana, come
FAS,
inducendo una cascata di trai/ione del segnale che culmina con l'attivazione
dei principali mediatori dell'apoptosi, le proteasi caspasi. Il secondo, invece,
mediato dall'alterazione del potenziale di membrana mitocondriale, comporta il
rilascio da parte dei mitocondri di proteine pro-apoptotiche come il citocromo
C. Questo a sua volta, in complesso con la proteina APAF-1, attiva le caspasi.
Proteine come BAK e BAX promuovono l'apoptosi aumentando la permeabilità
mitocondriale; altre come BCL2 e BCLxL regolano negativamente le prime e quindi
agiscono come fattori di sopravvivenza. Altre ancora, infine, come NOXA e
PUMA, bloccando BCL2 e BCLxL, hanno effetti pro-apoptotici. P53 induce
l'espressione di geni coinvolti sia nel pathway estrinseco che in quello
intrinseco dell'apoptosi.
E' poco chiaro come P53 sia in grado di selezionare tra la risposta di tipo
apoptotico e quella citostatica. La possibilità più plausibile è che la scelta
dipenda soprattutto dall'entità del danno che la cellula ha subito, con
attivazione di geni a funzione pro-apoptotica se il danno è molto grave o di
geni con effetti citostatici se invece il danno è più lieve e quindi
riparabile. E' probabile che modificazioni post-traduzionali di P53
(fosforilazione, acetilazione, metilazione) (vedi dopo l'esempio di HIPK2) e
l'interazione di P53 con partner proteici differenti possano condizionare lo
spettro di geni indotti da P53 nel caso di danni di entità diversa. Ad esempio
la proteina MYC è capace di bloccare l'attività di P53 sul promotore di p21CIPl
ma non sui promotori di geni pro-apoptotici e questo spiegherebbe come
l'espressione di MYC sia in grado di indurre alti livelli di apoptosi.
In ogni caso, P53, promuovendo il riparo del danno al DNA in cellule
moderatamente danneggiate, oppure l'apoptosi in cellule che presentano danni
irreparabili, previene la fissazione di mutazioni nella cellula ed è quindi un
vero e proprio "guardiano" del genoma. La perdita di funzione di P53 conduce,
pertanto, ad instabilità genomica e progressione tumorale. P53 è anche in grado
di reprimere la trascrizione di specifici geni.
Un esempio di repressione indiretta della trascrizione operata da P53 è rappresentato dalla sua capacità di ridurre l'attività di E2F attraverso l'espressione di p21CIPl. p21CIPl, infatti, bloccando le CDK inibisce la fosforilazione di pllORB e quindi l'attività di E2F. Il meccanismo P53 > p21CIPl > CDK > pllORB > E2F rappresenta una delle possibili interazioni funzionali tra pi 10RB e P53. Infine, evidenze recenti suggeriscono che P53 possa avere funzioni indipendenti dall'attività di regolazione trascrizionale. Ad esempio, P53 induce morte cellulare anche legando direttamente ed inibendo BCL2.
La proteina P53 è soggetta a numerose modificazioni post-traduzionali che sono
importanti per la sua regolazione. Il livello più importante di regolazione è
quello che controlla l'emivita e l'accumulo di P53. Infatti, in cellule normali
che non hanno subito danni in grado di causare l'attivazione di P53, l'emivita
di P53 è molto breve (tra 6 e 20 minuti) e quindi i suoi livelli intracellulari
sono molto bassi. Questa regolazione dipende da un meccanismo di feedback
negativo nel quale sono coinvolte le proteine MDM (MDM2 e MDMX MDM4). P53 è
soggetta ad ubiquitinazione e quindi degradazione proteolitica da parte del
proteasoma. La principale E3 ligasi di
P53 è la proteina MDM2, che a sua volta è
un bersaglio trascrizionale di P53. MDM2. inoltre, svolge un'azione "anti-P53"
riducendo direttamente l'attività trascrizionale di P53 attraverso il
mascheramento del dominio di transattivazione. Pertanto, all'aumentare dei
livelli di P53 segue il rapido aumento dei livelli di MDM2 e quindi
l'inattivazione e la degradazione di P53.
Le mutazioni di P53 ne aboliscono l'attività trascrizionale e pertanto riducono
i livelli di MDM2. Questa è la ragione per la quale spesso nelle cellule
tumorali i livelli di P53 (non funzionante) paradossalmente aumentano.
A sua volta MDM2 è inibita da p14ARF, il che spiega l'effetto di soppressione
tumorale esercitato da pl4ARF. La trascrizione di p14ARF è
stimolata da E2F. Quindi, quando RB è inattivato da mutazioni oppure da
oncoproteine di virus a DNA, l'iperattività di E2F determina aumento di p14ARF
ed in ultima analisi di P53.
In ogni caso, P53, promuovendo il riparo del danno al DNA in cellule
moderatamente danneggiate, oppure l'apoptosi in cellule che presentano
danni irreparabili, previene la fissazione di mutazioni nella cellula ed è
quindi un vero e proprio "guardiano" del genoma. La perdita di funzione di P53
conduce, pertanto, ad instabilità genomica e progressione tumorale. P53 è anche
in grado di reprimere la trascrizione di specifici geni.