Nella presa in carico di un anziano dovrebbero essere considerati
ai fini della scelta degli obiettivi e delle strategie terapeutiche:
le comorbilità e la conseguente politerapia
la valutazione dell'autonomia fisica e psicocognitiva che unitamente
definiscono il livello di fragilità e conseguentemente l'aspettativa di vita
le problematiche sociali e la rete che lo ha in carico.
L'approccio al paziente anziano, pertanto, dovrebbe basarsi su una
considerazione complessiva dello stato di salute, incentrato sulla persona e non
alla patologia. Questo tipo di approccio è sistematizzato nella cosiddetta
valutazione multidimensionale geriatrica (VMG) che il nostro gruppo ha
finalizzato alla malattia diabetica.
La VGM o comprehensive geriatrie assessment (CGA) è un processo di identificazione e integrazione di problematiche fisiche, funzionali (disabilità, comorbilità, stato cognitivo), e psicosociali (stato psicologico, ruolo sociale, condizioni economiche e dell'ambiente di riferimento) in un anziano fragile. Tali informazioni permettono di pianificarne l'assistenza sociosanitaria. La VMG per sua natura prevede un approccio interdisciplinare attraverso il quale sono identificati, descritti e "pesati" i molteplici problemi dell'anziano, le sue capacità funzionali residue e sviluppato un piano di diagnosi e trattamento nel quale i differenti interventi siano commisurati ai bisogni e ai problemi rilevati; la sua applicazione sistematica nello stesso individuo consente di verificare l'efficacia degli interventi terapeutico-assistenziali, di identificare precocemente le modificazioni dello stato di salute e di cogliere i primi segni di evoluzione verso la fragilità evidenziando problematiche cliniche misconosciute e, spesso, potenzialmente reversibili. Nell'anziano diabetico, tale metodica ha come fine l'identificazione delle diverse problematiche di cui questi è portatore, nonché quelle subcliniche che necessitano di essere evidenziate e circostanziate (per es. il decadimento cognitivo lieve-moderato, una forma depressiva non ancora strutturata, un iniziale deficit nutrizionale o muscolare predisponente alla caduta) giacché potrebbero vanificare l'intervento clinico esitando in una pseudo-refrattarietà o apparente "incompliance" del paziente nei confronti delle scelte diagnostico-terapeutiche. L'inquadramento delle necessità assistenziali permette di stabilire i target di cura su cui basare le necessarie strategie diagnostico-terapeutiche evitando interventi inutili o potenzialmente dannosi e definisce la capacità di autogestione della terapia antidiabetica compresa quella di riconoscere e gestire le ipoglicemie. Nell'inquadramento clinico di un soggetto anziano devono essere valutate e quantificate alcune variabili fondamentali e fra queste la fragilità, la comorbilità e la disabilità, termini usati, al di fuori della specialistica di pertinenza, spesso in modo improprio. Esse rappresentano tre aspetti clinici correlati ma non coincidenti né concettualmente né da un punto di vista epidemiologico, cui corrispondono risposte terapeutiche differenziate.
Per quanto la definizione non sia univoca, la fragilità implica concettualmente
una riduzione delle riserve biologiche (ridotta riserva omeostatica) e
funzionali con conseguente ridotta capacità di risposta agli stressors; gli
interventi sanitari saranno orientati al trattamento delle sottostanti
condizioni quali malnutrizione, sarcopenia, ecc. e alla prevenzione dagli
stressors che possano ulteriormente ridurre le capacità di risposta
dell'organismo (quali ad esempio l'ospedalizzazione). La fragilità comporta un
rischio elevato di rapido deterioramento della salute e dello stato funzionale e
un elevato consumo di risorse.
Sebbene esistano diversi metodi per definirla, secondo la Fried può essere
identificato un fenotipo fisico di fragilità laddove un individuo presenti
almeno tre dei seguenti criteri: spossatezza, esauribilità (il soggetto
riferisce che tutto quello che esegue costituisce fatica) almeno per 3 giorni la
settimana nel mese precedente la valutazione, scarsa attività fisica (valutabile
attraverso il questionario MLTA), riduzione della forza di prensione (hand-grip)
e diminuzione non intenzionale del peso corporeo di almeno il 5% (4 kg)
nell'ultimo anno (massa magra).
Clinicamente, la fragilità si estrinseca nella coesistenza di condizioni quali
perdita di appetito, calo ponderale, e in particolare di massa magra, debolezza
muscolare, rallentamento della marcia, inattività, turbe dell'equilibrio e
perdita di massa ossea. Tale concomitanza, più o meno completa, espone a un
elevato rischio di caduta e conseguenti traumi, perdita della completa autonomia
e dell'indipendenza.
Delle diverse dimensioni esplorabili per la definizione di fragilità, la
velocità di cammino appare essere il più significativo indice associato alla
sopravvivenza. L'individuo fragile è tipicamente, ma non necessariamente, un
soggetto di età avanzata o molto avanzata, cronicamente affetto da patologie
multiple, con stato di salute instabile, frequentemente disabile, in cui gli
effetti dell'invecchiamento e delle malattie sono spesso complicati da
problematiche di tipo socioeconomico e quindi di spiccata vulnerabilità a eventi
avversi e a variazioni repentine di un equilibrio precario.
Con il termine di comorbilità si fa riferimento alla condizione medica di
coesistenza nello stesso individuo di più patologie associate ma non correlate a
una patologia indice (ad esempio, il diabete) non aventi con essa un rapporto di
causalità. I due concetti fondamentali in questa definizione sono la
simultaneità nella presenza delle patologie e l'indipendenza delle stesse.
Questa definizione di comorbilità che ha come focus la cosiddetta patologia
indice, cioè l'aspetto clinico giudicato più rilevante, ha un indubbio valore
dal punto di vista epidemiologico e risulta sul piano clinico meno utile di
quella di multi morbilità nella quale il focus è sulla persona e le diverse
patologie presenti assumono concettualmente lo stesso peso.
E' naturale che il
concetto di comorbilità assuma un valore centrale nell'invecchiamento, in
particolare per l'aumentare nelle fasce di età più avanzate delle prevalenze
delle malattie cronico-degenerative, e rappresenta pertanto un indicatore dello
stato di salute che correla significativamente con la mortalità
(rappresentandone quindi un importante fattore predittivo) nelle decadi di età
più avanzate.
Tuttavia, a condizionare la complessità dello stato di salute non sono solo il
numero delle patologie che coesistono ma anche la loro gravità. Esistono degli
indici che quantificano la comorbilità sulla base del numero delle patologie
coesistenti e della gravità del danno biologico classificando le malattie in
rapporto alla presenza o meno di sintomi e se questi sono adeguatamente o meno
controllati dalla terapia farmacologica. Tra i più accettati è l'Indice di comorbilità di Charlson, uno strumento standardizzato che misura il rischio di
mortalità a 1 anno in rapporto a uno score, risultante del punteggio pesato (in
una scala con punteggio da 1 a 6) attribuito a ciascuna di 19
patologie più frequenti nell'anziano. Si ottengono dei sottogruppi (predittori
di sopravvivenza) il cui score da 0 (massima) a 3 (minima) è correlato alla
sopravvivenza. Gli indici di comorbilità valutano quindi sia gli effetti di
sommazione che gli effetti di interazione delle singole patologie. La disabilità
può essere invece definita come la condizione personale di chi, in seguito a una
o più menomazioni, manifesta una ridotta capacità d'interazione con l'ambiente,
risultando meno autonomo e indipendente nello svolgere le attività essenziali
quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita
sociale e le strategie a essa rivolte sono di ordine riabilitativo.
La disabilità è anche un fattore di rischio per ospedalizzazione,
istituzionalizzazione e mortalità.
L'indice ADL misura le differenti abilità del paziente nel prendersi cura di sé
e quindi quanto il paziente è funzionale o meno (grado di autosufficienza nelle
basilari attività quotidiane).
A ciascuno degli item va attribuito un punteggio dicotomico in cui: 0=dipendente
e 1=indipendente. La performance varia da 0 (completa dipendenza) a 6
(indipendenza in tutte le funzioni). Un risultato <3 indica una severa
dipendenza.
La scala delle IADL proposta da Lawton e Brody (1969) valuta la capacità di
compiere attività complesse che vengono normalmente svolte anche da soggetti
anziani, considerate necessarie per il mantenimento della propria indipendenza.
E' costituita da un elenco di otto funzioni complesse che richiedono competenza
nell'uso di strumenti (usare il telefono, usare i mezzi di trasporto, prendere
le medicine, gestire il denaro, ecc.). La scala è utilizzata nella forma
dicotomica originale, che prevede per ogni funzione due punteggi:
0=dipendente
1=indipendente.
L'assegnazione del punteggio si basa sul grado di indipendenza del paziente. Il
punteggio totale viene assegnato come somma delle attività indipendentemente
eseguite.
Dipendenza lieve: perdita di 1 attività
Dipendenza moderata: perdita di 2-3 attività
Dipendenza grave: perdita di 4 o più attività
Autonomia se il soggetto realizza un punteggio uguale o maggiore di
617.
La scala di Barthel o indice di Barthel ADL è una scala ordinale utilizzata per
misurare le prestazioni di un soggetto nelle attività della vita quotidiana
(activities of daily living, ADL). L'indice analizza dieci variabili che
descrivono le attività della vita quotidiana (ad esempio la capacità di
alimentarsi, vestirsi, gestire l'igiene personale, lavarsi e altre ancora) e la
mobilità (spostarsi dalla sedia al letto, deambulare in piano, salire e scendere
le scale). Ad ogni item viene assegnato un
punteggio di valore variabile (il punteggio assegnato per ogni funzione può
essere 15, 10, 5 o 0) a seconda dell'item stesso e del grado di funzionalità del
paziente: piena, ridotta o nessuna funzionalità. Un punteggio globale più
elevato è associato ad una maggiore probabilità di essere in grado di vivere a
casa con un grado di indipendenza dopo la dimissione dall'ospedale o da un
reparto di lungodegenza. La scala è sostanzialmente uno strumento di valutazione
della funzione fisica, ed è particolarmente nota in ambito riabilitativo.
Per esempio, vengono assegnati 10 punti se il soggetto si alimenta autonomamente
e 5 punti se richiede aiuto (per esempio tagliare il cibo). Per il controllo
della minzione e defecazione si considera indipendente il paziente che gestisce
autonomamente i propri bisogni; con aiuto se richiede l'aiuto (anche parziale)
di altri per utilizzare strumenti quali pappagallo o padella; dipendente se usa
il catetere o presenta episodi d'incontinenza, anche saltuari. Il punteggio
massimo è assegnato solo se il paziente esegue il compito in modo completamente
indipendente, senza la presenza di personale d'assistenza.
Il punteggio massimo è 100 e indica l'indipendenza in tutte le attività di base
della vita quotidiana.
L'indice di Barthel è ampiamente utilizzato per monitorare i cambiamenti
funzionali nei soggetti ricoverati in reparti di degenza e riabilitazione,
soprattutto per prevedere l'autonomia funzionale a seguito di un ictus e per gli
individui inseriti nelle residenze sanitarie assistenziali per valutarne i
progressi riabilitativi e il grado residuo di autonomia18,19.
Lo Short Physical Performance Battery (SPPB) è una breve batteria di test nata
per valutare la funzionalità degli arti inferiori costituita da 3 sezioni
diverse.
1a valutazione dell'equilibrio in 3 prove:
mantenimento della posizione a piedi uniti per 10"
mantenimento della posizione di semi-tandem per 10" (alluce di
lato al calcagno)
il mantenimento della posizione tandem per 10" (alluce dietro al
tallone).
Il punteggio varia da un minimo di 0 se il paziente non riesce a mantenere la
posizione a piedi uniti per almeno 10" a un massimo di 4 se riesce a compiere
tutte e 3 le prove. 2a valutazione del cammino per 4 metri:
il punteggio della sezione varia sulla base del tempo occorrente
per la prova da 0 se incapace, a 4 se riesce ad assolvere il compito in meno di
4".
3a valutazione della forza degli AAII utilizzando la capacità di alzarsi e
sedersi da una sedia per 5 volte consecutive, senza utilizzare gli arti
superiori (che per la prova devono essere incrociati davanti al petto):
il punteggio varia da 0 se incapace a 4 se la prova è svolta in meno di 11
".
Complessivamente il punteggio varia da 0 a 12. Se si ottiene un punteggio da 0 a
4 si è in una condizione di grave compromissione motoria; da 4 a 8 la
compromissione è di grado moderato. In queste due condizioni il rischio di
caduta e disabilità è piuttosto elevato. Da 8 a 12 Si è in buona condizione
motoria e il rischio rientra.
Numerosi studi dimostrano l'esistenza di un elevato rischio di demenza e declino
cognitivo nel diabetico. Le previsioni sulla prevalenza delle due malattie nei
prossimi decenni fanno prevedere un forte incremento per entrambe. Il diabete
mellito può influire negativamente sulla funzione cognitiva attraverso
molteplici meccanismi quali le alterazioni vascolari o i meccanismi
extravascolari come accumulo di prodotti finali avanzati della glicosilazione,
l'infiammazione e la formazione di grovigli neurofibrillari. L'insulina inoltre
regola la plasticità delle sinapsi nella corteccia e nell'ippocampo ed è un
regolatore delle funzioni sinaptiche e di neurotrasmettitori. Il diabetico
anziano è a rischio di declino cognitivo sia per diretto effetto tossico del
glucosio che esercita un insulto osmotico sui neuroni ed è causa di stress
ossidativo, ma anche per l'aumento della concentrazione dei prodotti avanzati
della glicazione ossidativa. Al danno contribuiscono inoltre l'aumentato
rilascio di citochine prò infiammatorie e la formazione di grovigli
neurofibrillari. Particolare importanza va data agli episodi di ipoglicemia: nei
pazienti con deterioramento cognitivo.
Per quanto attiene alla sfera psicocognitiva, una prima valutazione così come
contenuta in una VMG, necessaria a individuare anche disturbi subclinici da
indirizzare in seconda istanza a specialisti, prevede l'uso di una testistica
"classica" per identificare una demenza o un decadimento cognitivo lieve o forme
anche pre-cliniche di depressione. Entrambi questi stati emotivi possono
condizionare la maneggevolezza dell'approccio diagnostico-terapeutico alla
malattia diabetica.
Il MMSE è un test di facile e rapida somministrazione, attendibile nel
determinare il grado del deficit cognitivo e nel monitorarne la progressione in
condizioni di demenza. È composto da 30 item, in parte verbali, in parte di
performance, che esplorano orientamento spazio-temporale, memoria a breve
termine, memoria di fissazione, attenzione, calcolo mentale, linguaggio (nelle
componenti di comprensione, ripetizione, denominazione, lettura e scrittura),
prassia costruttiva. Range: 0-30, a cui vanno performati score di correzione in
rapporto all'età e alla scolarizzazione:
30-24: nessuna compromissione
24-20: sospetta compromissione
19-17: compromissione lieve
16-10: compromissione moderata
09-0: compromissione grave.
Il MMSE dovrebbe essere sempre utilizzato come strumento per suggerire, in caso
di punteggi bassi, il ricorso a ulteriori approfondimenti. Non consentendo una
valutazione completa delle funzioni cognitive, non è sufficientemente sensibile
alle fasi iniziali della demenza, ovvero tende a sottostimare tali casi.
Inoltre, non sono presenti item sufficienti per misurare adeguatamente le
capacità visuo-spaziali.
Un test più rapido e di facile attuazione per la valutazione della sfera
cognitiva è lo Short Portable Mental Status Questionnaire32 questo test è stato
ideato per rilevare la presenza e l'intensità delle perturbazioni cognitive di
origine organica in pazienti anziani. È composto da una lista di dieci domande
che indagano alcuni aspetti delle capacità cognitive:
7 item sono focalizzati sull'orientamento (spazio-temporale,
personale e circostante)
2 item valutano la memoria a lungo termine (numero di
telefono/indirizzo e cognome della madre)
1 item valuta la capacità di concentrazione (sottrazione seriale).
Il punteggio al test viene calcolato conteggiando 1 punto per ogni risposta
corretta in una scala ordinale da 0 (massimo deficit cognitivo) a 10 (assenza di
deficit cognitivo). La capacità di risposta alle domande varia con l'educazione,
per cui è necessario indicare il grado di scolarità del paziente. Il punteggio è
assegnato in forma dicotomica a ogni risposta:
0=sbagliata
1 scorretta.
Le risposte devono essere date senza utilizzare aiuti della memoria (calendario,
giornale, certificato di nascita o altro).
Per soggetti con scolarità intermedia sono stati proposti i seguenti cut-score:
0-2 punti = severo deterioramento cognitivo
3-4 punti = moderato deterioramento cognitivo
5-7 punti = lieve deterioramento cognitivo
8-10 punti = funzioni cognitive intatte.
Una migliore valutazione delle funzioni cognitive esecutivo e visuospaziali si
ottiene con la MoCA (Nasreddine et al., 2005). Oltre alle suddette funzioni,
la MoCA valuta le aree del linguaggio, memoria, attenzione, astrazione,
orientamento; Il test ha il vantaggio di essere breve, con buona validità
discriminativa e più alta sensibilità rispetto al MMSE sia per le forme di
demenza di Alzheimer (AD) che secondarie a Parkinson (PD) dove però la
validazione in quest'ultima è stata effettuata su una piccola popolazione;
inoltre il test ha bassa specificità e la correzione del punteggio per scolarità
è grossolano.
Numerosi studi hanno messo in risalto come la maggior parte dei pazienti
depressi non siano correttamente diagnosticati e trattati in modo appropriato.
Gli strumenti di screening per valutare la depressione (De) nei pazienti con comorbilità mediche prevedono diverse possibilità.
La De è molto diffusa nei diabetici, in particolare negli anziani; ne soffre
circa il 30% e di questi il 10% ha la forma maggiore (MDD). Analogamente, i
pazienti depressi hanno un rischio di sviluppare il diabete mellito tre volte
superiore rispetto ai non depressi. Inoltre, la De è associata con un
peggioramento dei valori di glicemia plasmatica e un maggior rischio di
complicanze diabetiche; d'altra parte il miglioramento della sintomatologia
depressiva si associa a un migliorato controllo glicemico. La coesistenza di
queste condizioni è associata ad aumento dei costi di assistenza sanitaria e a
esiti negativi per la salute del paziente diabetico come di quello depresso.
Infatti, numerose evidenze suggeriscono che questa associazione conduce alla
perdita di uno stile di vita salutistico, al peggioramento della qualità della
vita con riduzione della attività fisica, minore ricerca di assistenza medica e
aderenza ai sistemi di cura, aumento della suscettibilità alla malattia e
peggioramento del controllo metabolico. Nei più anziani, inoltre, si assiste a
minore mobilità e
peggioramento della disabilità funzionale, dello stato di fragilità, delle
cosiddette sindromi geriatriche e della mortalità-li Back Depression Inventory
(BDI-II), è uno strumento di autoriferimento per monitorare la gravità della
De in pazienti già diagnosticati e per rilevarne il rischio nella popolazione
normale; è, inoltre, un valido strumento per discriminare pazienti affetti da De
clinica rispetto ai pazienti psichiatrici non depressi. È strutturato in 21
gruppi di affermazioni da valutare su una scala a quattro punti, attraverso i
quali sono esplorate la sfera somatica, affettiva e motivazionale. Il PHQ- 9
(9-items Patient Health Questioinnaire) invece, è un breve questionario
autogestito che conferisce i punteggi a ciascuno dei nove criteri del DSM-IV per
la De e utilizzabile come strumento diagnostico per la forma maggiore e
minore.
Il BDI-II e il PHQ-9 sono probabilmente gli ausili di ricerca più potenti e
maggiormente utilizzati oltre che per la diagnosi primaria anche per la
selezione e il monitoraggio del trattamento.
Uno strumento di valutazione breve e affidabile, particolarmente sensibile in
grado di identificare anche le varianti subsindromiche e di escludere i soggetti
sani è il Mine-lnternational-Neuropsychiatric-lnterview (MINI), basato sui
criteri del DSM-IV, è utilizzabile nella pratica clinica
e in ambito di ricerca.
Infine, la Center for Epidemiologie Studies-Depression Scale (CES-D) è uno
strumento sviluppato per lo studio della prevalenza dei disturbi psichiatrici in
una popolazione che comprende 20 item relativi a sei scale che riflettono le
principali dimensioni della depressione: sensi di colpa e d'inutilità,
sentimenti di impotenza e disperazione, ritardo psicomotorio, perdita
dell'appetito e disturbi del sonno. È un indicatore grossolano che può essere
utilizzato nelle fasi preliminari di uno screening.
Questi strumenti sono utili ed efficaci, identificando con precisione i pazienti
affetti da De.
La Geriatrie Depression Scale (GDS; Yesavage et al., 1983) è uno strumento
ideato per valutare la presenza di depressione in pazienti anziani, ne minimizza
gli aspetti somatici, considerati confondenti e poco specifici nell'anziano e ne
approfondisce l'aspetto affettivo. Vengono evitate domande che generalmente in
tarda età provocano maggiori meccanismi difensivi (es.: vita sessuale,
aspettativa di vita, preoccupazione di morte).
Soddisfazione per la propria vita (item 1 e 4)
Modificazione dell'umore (item 2)
Ansia (item 3)
Iniziativa/partecipazione sociale (item 5).
La scala è in forma dicotomica e il punteggio viene assegnato in base alle
risposte del paziente:
0=no
1=sì.
Anche se questo non vale per l'item 1, che presenta un punteggio rovesciato
(1=no, 0=sì). La somma dei punteggi relativi determina il punteggio totale della
GDS.
La scala deve essere somministrata solo se il paziente non presenta
compromissione dello stato cognitivo dai risultati del test precedente (SPMSQ).
Le domande sottoposte al soggetto
sono riferite allo stato affettivo avvertito nel corso della settimana
precedente l'effettuazione del test. Il punteggio di cut off individuato è 1.
Per la somministrazione della scala nei differenti tempi del progetto, i
somministratori devono basarsi sul seguente schema:
a) Somministrazione all'ingresso nel reparto/ambulatorio.
b) Follow-up periodico (6 mesi-1 anno) solo se non preso in carico da figure
specialistiche.