Cuore e rischio ischemico

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Numerosi studi epidemiologici condotti in tutto il mondo e in grandi gruppi di popolazione indicano in maniera inequivocabile che il consumo della tipica "dieta opulenta o affluent diet dei Paesi industrializzati è in relazione diretta con la prevalenza di aterosclerosi. La dieta opulenta è caratterizzata da un eccesso di grassi saturi e di colesterolo - i due nutrienti chiave per lo sviluppo delle dislipidemie -, così come di proteine di origine animale, zuccheri raffinati e cloruro di sodio, con scarsissime fibre vegetali e un elevato valore calorico totale. Questo tipo di alimentazione non solo è collegato alle patologie che si verificano in conseguenza dell'aterosclerosi (cardiopatia coronarica, malattia cerebrovascolare, vasculopatie periferiche tra le altre), ma è associato anche ad altre malattie che spesso coesistono e accrescono il rischio cardiovascolare, come l'ipertensione arteriosa, il diabete di tipo 2 e l'obesità.

Eziopatogenesi e fattori di rischio del cuore ischemico

Tabagismo

Diversi studi mostrano in maniera definitiva che il fumo di sigarette accelera l'arteriosclerosi (indurimento delle arterie) e la sua varietà più frequente, l'aterosclerosi, aumentando il rischio di soffrire di cardiopatia coronarica, malattia cerebrovascolare e vasculopatia periferica. L'abitudine al fumo aumenta i livelli di LDL e trigliceridi, e riduce quelli di HDL; favorisce l'ipossia endoteliale innalzando i livelli ematici di monossido di carbonio.

La nicotina e gli altri derivati del tabacco sono tossici diretti per l'endotelio, causandone la disfunzione. Il fumo favorisce, inoltre, la vasocostrizione arteriosa. Aumenta anche la reattività e l'adesività piastrinica, e la concentrazione plasmatica di fibrinogeno, producendo una maggiore viscosità ematica. Questi aspetti negativi del tabacco si correlano direttamente al numero di sigarette fumate ogni giorno. Persine i fumatori passivi subiscono un aumento del loro rischio di cardiopatia coronarica.

Diabete e sindrome plurimetabolica

I tre quarti circa dei decessi che si verificano nei pazienti diabetici sono dovuti a malattia coronarica. Sebbene l'iperglicemia sia associata ad alterazioni dei vasi di piccolo calibro, la resistenza all'insulina promuove di per sé lo sviluppo di aterosclerosi ancor prima che il diabete si manifesti clinicamente. pazienti diabetici presentano una marcata alterazione della funzione endoteliale e della muscolatura liscia vascolare, ed è stato anche dimostrato che soffrono di un aumento dell'adesione leucocitaria all'endotelio vascolare, il che rappresenta il processo critico nella aterogenesi. La sindrome plurimetabolica è determinata da uno stato di insensibilità periferica all'insulina, e in essa coesistono numerose alterazioni morbose come iperinsulinemia, diminuzione della tolleranza al glucosio o dabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità centrale, ipertrigliceridemia, bassi livelli di colesterolo HDL, aumento del numero di particene dense e piccole di LDL, e uno stato procoagulante. Chi soffre di questa condizione presenta un rischio elevato di soffrire di malattia cardiovascolare. La triade ipertrigliceridemia + riduzione del colesterolo HDL + aumento delle particene piccole e dense di LDL favorisce lo sviluppo di aterosclerosi; alcuni autori la definiscono "dislipidemia aterogena".

Obesità

Qualsiasi livello di sovrappeso sembra incrementare il rischio cardiovascolare. Quanto maggiore è l'eccesso ponderale, più è alta la probabilità dì sviluppare altre associazioni morbose predisponenti alla aterosclerosi (ipertensione arteriosa, dislipidemia aterogena, diabete mellito). La caratteristica comune a tutte queste condizioni è l'insulinoresistenza e la conseguente iperinsulinemia. Gli individui obesi presentano un rischio di soffrire di cardiopatia tre volte superiore rispetto alla popolazione con un normale indice di massa corporea. Questa associazione è molto più forte in quei casi in cui l'eccesso di grasso corporeo si localizza in forma centrale o troncale, vale a dire, seguendo il modello di distribuzione "androide". Sia negli uomini che nelle donne che presentano questo tipo di obesità, il rischio vascolare aumenta, fondamentalmente nel territorio coronarico e cerebrale. Per quanto l'associazione tra obesità e coronaropatia sia evidente, specialmente prima dei 50 anni d'età, non è certo che l'eccesso di peso costituisca un fattore di rischio indipendente.

Disfunzione endoteliale

L’endotelio vascolare normale regola l'ingresso e l’uscita delle sostanze nell'intima delle arterie, modula il tono vascolare (elabora un potente fattore di rilassamento derivato dall'endotelio, l'ossido nitrico), impedisce la formazione di trombi e rappresenta una barriera di difesa infiammatoria. La funzione endoteliale, fondamentalmente l’alterazione della capacità dell'endotelio di rispondere ai segnali di vasodilatazione, è stata indicata come un fattore predisponente precoce di lesione vascolare. Diversi ricercatori sono stati in grado di dimostrare che i pazienti con ipertensione arteriosa, dislipidemia e diabete mellito, presentano spesso una disfunzione endoteliale.Questa alterazione del comportamento normale dell'endotelio può avere un ruolo nella fisiopatologia dell'aterosclerosi. Presumibilmente, questa condizione potrebbe portare ad alterazioni strutturali che avrebbero come conseguenza un aumento dello spessore della media e dell'intima delle arterie. La maggior parte dei grassi presenti nella dieta consiste in trigliceridi. I grassi ingeriti vengono emulsionati all'interno dell'intestino per formare le micelle prima di essere idrolizzati dalle lipasi pancreatiche. I  prodotti di questa degradazione sono assorbiti dall'intestino e, all'interno dell'enterocita, gli acidi grassi vengono aggregati per formare il chilomicrone, una grossa lipoproteina che è successivamente secreta nella linfa e da qui nel circolo portale. Quando i chilomicroni raggiungono i tessuti muscolare ed adiposo, vengono digeriti dalla lipoproteinlipasi, un enzima associato alla superficie delle cellule endoteliali capillari. Una volta che la maggior parte dei trigliceridi è stata idrolizzata, i chilomicroni si dissociano dall'endotelio capillare e tornano in circolo, sebbene ridotti di dimensioni e modificati nella loro composizione: sono i chilomicroni residui. II chilomicrone residuo viene acquisito nella cellula epatica. Una volta qui, il chilomicrone residuo è idrolizzato e si ottiene il colesterolo libero.

Quest'ultimo ha vari destini possibili: viene impiegato per la sintesi delle membrane, è immagazzinato nell'epatocita come estere di colesterolo, è convertito in acidi biliari o viene utilizzato nella sintesi delle lipoproteine endogene che sono secrete nel plasma.

Il metabolismo endogeno comincia quando il fegato secerne trigliceridi e colesterolo nel plasma all'interno delle VLDL. Nei capillari del tessuto adiposo e del muscolo, i trigliceridi contenuti nella VLDL vengono idrolizzati dalla lipoprotein lipasi, e restano i residui delle VLDL chiamati lipoproteine a densità intermedia (IDL). Una volta liberate dall'endotelio, le IDL hanno due possibili destini: vengono depurate dal fegato o trasformate in LDL per azione della lipasi epatica. Le LDL circolano per un periodo medio di un giorno e mezzo e, quando le cellule richiedono il colesterolo per la sintesi delle membrane, degli ormoni o degli acidi biliari, esprimono i recettori delle LDL (LDL-R). Man mano che le cellule dell'organismo muoiono e le membrane vengono rinnovate, si libera continuamene colesterolo libero nel plasma che è assorbito nelle HDL, dove viene esterificato con un acido grasso a catena lunga per azione della lecitina-colesterolo acetiltransferasi (LCAT). Gli esteri di colesterolo così formati sono trasferiti rapidamente dalle HDL alle VLDL o IDL mediante una proteina plasmatica. Le IDL vengono infine captate dal fegato o convertite in LDL

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