Un MedicoX Tutti divulga questa notizie apprese nel corso dell'ultimo congresso AMD-SID e pubblicate in rete con lo scopo di dare diffusione ai colleghi di linee guida internazionali accreditate dalle società di diabetologia e ginecologia più importanti del mondo.
Utile la sospensione di farmaci potenzialmente tossici nella gravida con diabete gestazionale: ACE-inibitori, sartani, statine. E' stata dimostrata una tossicità degli ACE-inibitori già nelle prime settimane di gestazione; è quindi indicata la loro sospensione in fase di programmazione della gravidanza. Avvio alla terapia insulinica nelle pazienti in trattamento con ipoglicemizzanti orali. Mancano, infatti, a tutt'oggi evidenze certe sulla innocuità o meno di molte di queste sostanze nella fase della organogenesi.
L'ottimizzazione del controllo metabolico, con il perseguimento di valori di HbA1c prossimi al range di normalità, richiede solitamente l'impostazione della terapia insulinica intensiva tipo basal-bolus (sempre nel diabete pregestazionale tipo 1, molto spesso nel diabete pregestazionale tipo 2) con plurisomministrazioni sottocutanee o mediante l'utilizzo del microinfusore (CSII).
Gli analoghi dell'insulina ad azione rapida aspart e lispro possono essere mantenuti o introdotti in terapia; anche l'uso degli analoghi ad azione ritardata, può essere preso in considerazione.
Devono essere programmate visite di controllo a cadenza orientativamente mensile da parte di un'equipe multidisciplinare comprendente, oltre al diabetologo, un infermiere esperto, un dietista e altre figure professionali richieste dalla situazione specifica. Deve, inoltre, essere garantita un'efficace contraccezione fino all'ottimizzazione del compenso glicemico.
Un documento con delle
raccomandazioni su questo aspettoèstato elaborato dalla Società Italiana della
Contraccezione in collaborazione col gruppo Donna dell'AMD.
Numerose evidenze dimostrano ormai in modo inequivocabile come l'iperglicemia materna nel corso della gravidanza comporti un aumentato rischio di morbilità e mortalità fetale; in particolare, un aumento delle complicanze perinatali si correla con i livelli glicemici registrati nelle ultime fasi della gravidanza. Nonostante questa consapevolezza, la gravidanza diabetica è ancora gravata da un eccesso di morbilità materno fetale.
Anche se recenti segnalazioni, basate sia sui risultati dello studio HAPO che sul controllo intensificato su sangue capillare o sull'uso del monitoraggio continuo del glucosio, hanno evidenziato come i valori glicemici nella gravidanza fisiologica siano notevolmente inferiori a quanto ritenuto precedentemente, nella gestione clinica della donna diabetica in gravidanza si fa riferimento agli obiettivi indicati dall'ADA 2016 e fatti propri dalle maggiori società medico-scientifiche internazionali, se ottenibili senza un elevato rischio di ipoglicemia. Nella persistente carenza di trial randomizzati, e quindi di evidenze robuste a favore di questa scelta, sembra comunque opportuno modificare gli obiettivi "storici" di 95/140/120, che vengono invece ancora mantenuti per il GDM e avvicinare i "target" terapeutici alle acquisizioni degli ultimi anni sui valori glicemici nella gravidanza fisiologica.
Obiettivi della terapia nutrizionale sono: assicurare un'adeguata nutrizione materna e fetale, fornire un adeguato apporto calorico, vitaminico e minerale garantendo un controllo glicemico ottimale senza determinare la comparsa di chetonuria.
La dieta deve essere personalizza in relazione alle abitudini alimentari,
culturali, etniche, allo stato economico e al BMI pregravidico. E'
importante ricordare che al fabbisogno energetico devono essere aggiunte 340 kcal/die nel secondo trimestre di gravidanza e
450
kcal/die nel terzo trimestre.
Anche in caso di obesità grave, l'utilizzo di diete drasticamente ipocaloriche
è controindicato: non bisogna quindi ridurre l'apporto calorico a valori inferiori
a 1500 kcal/die. L'introito calorico complessivo deve essere distribuito in 3
pasti principali e 3 spuntini (metà mattino, metà pomeriggio e prima di
coricarsi), con suddivisione delle calorie giornaliere secondo il seguente
schema:
prima colazione 10-15%;
pranzo 20-30%;
cena 30-40%;
3 spuntini 5-10%.
Lo spuntino serale dovrebbe contenere 25 grammi di carboidrati e 10 g di
proteine per prevenire le ipoglicemie notturne e la chetosi al mattino al
risveglio.
Il rapporto fra i diversi macronutrienti prevede il 50% di carboidrati
(complessi, a basso indice glicemico), il 20% di proteine, il 30% di lipidi (mono-poliinsaturi)
e una quantità di fibre pari a 28 g/die.
Per contenere le escursioni glicemiche
postprandiali può essere presa in considerazione una riduzione della quota di
carboidrati, che comunque nonèconsigliabile ridurre al di sotto del 40% per il
rischio di chetogenesi.
Per quanto riguarda gli oligoelementi, in gravidanza si ha il raddoppio del
fabbisogno di calcio, ferro e iodio.
Per le donne che non assumono latte o derivati si consiglia l'utilizzo di
alimenti fortificati con calcio o di integratori;èda valutare anche
l'eventuale supplementazione di ferro e si raccomanda l'utilizzo di sale iodato.
Sono sconsigliati l'assunzione di bevande alcoliche e di caffeina in quantità
superiore a 300 mg/die (una tazzina di caffèespresso contiene da 30 a 50 mg di
caffeina), che possono determinare ritardi della crescita fetale.èammesso
l'uso di aspartame, saccarina, acesulfame e sucralosio in moderate quantità.
Il fabbisogno insulinico giornaliero in gravidanza varia notevolmente nell'arco della gestazione (0,7 U/kg nel 1 trimestre, 0,8 U/kg nel secondo e 0,9 U/kg nel 3 trimestre).
L'autocontrollo domiciliare consente di mettere in atto
rapidamente le opportune variazioni della dose insulinica. Nelle donne insulino-trattate prima del concepimento
è frequente riscontrare una diminuzione
del fabbisogno insulinico nelle prime settimane di gestazione (10-20%) seguito
da un incremento transitorio fra la 8-10 settimana; in questo periodo, il
profilo glicemico risulta spesso instabile, con tendenza a frequenti ipoglicemie
notturne. Successivamente, il fabbisogno aumenta progressivamente, raggiungendo
un "plateau" intorno alla 36ma settimana (l'aumento complessivo può essere del
100% o maggiore); il profilo glicemico tende a stabilizzarsi con il progredire
della gravidanza.
Le donne con diabete pregestazionale tipo 1 devono essere trattate con
plurisomministrazioni di insulina con schemi di tipo basal-bolus.ènecessaria
l'impostazione di piani terapeutici individuali, tenendo conto dello schema in
corso prima della gravidanza; una suddivisione indicativa del fabbisogno
insulinico totale in gravidanza può comunque prevedere:
-
insulina ad azione rapida preferenzialmente un analogo rapido: 50% della dose
giornaliera suddiviso in 3 boli preprandiali (1/3 + 1/3 + 1/3);
-
insulina ad azione ritardata per l'insulinizzazione basale: 50% della dose
giornaliera in 1 o più somministrazioni/die in relazione alla durata d'azione e
ai profili glicemici.
Anche in questo caso rimane essenziale l'adeguamento delle dosi in relazione al
controllo glicemico giornaliero.
Iniziando una terapia insulinica in donne con diabete pregestazionale tipo 2
precedentemente in terapia orale, si può fare riferimento a una dose iniziale di
0,7 U/kg del peso attuale, con una suddivisione della dose totale analoga a
quella indicata sopra per il diabete tipo 1 .
Gli analoghi ad azione rapida presentano caratteristiche farmacologiche che li rendono particolarmente indicati in gravidanza, data l'importanza di controllare le escursioni glicemiche postprandiali. Per quanto concerne la sicurezza, la maggiore esperienza ha finora riguardato l'analogo lispro, per il quale non vi sono evidenze di azioni teratogene o di altri effetti negativi e dati del tutto rassicuranti sono stati ottenuti anche per aspart, in uno studio prospettico controllato randomizzato condotto su 322 gravide con diabete tipo 1, che non ha evidenziato un aumento delle complicazioni materne o fetali e perinatali nelle donne trattate con l'analogo, rispetto a quelle che utilizzavano insulina regolare umana. Si può quindi affermare che queste molecole possono essere usate con sicurezza in donne gravide; non vi sono invece, al momento, sufficienti dati sull'uso in gravidanza dell'analogo rapido glulisina, anche se studi sulla riproduzione animale non hanno rilevato alcuna differenza fra questo farmaco e l'insulina umana in termini di gravidanza, sviluppo embrio-fetale, parto, o sviluppo post-natale . Negli ultimi anni sono aumentate le evidenze scientifiche anche sull'utilizzo in gravidanza degli analoghi ad azione ritardata. Per quanto concerne glargine, esistono diversi studi osservazionali e caso-controllo retrospettivi, i quali non hanno riportato esiti avversi, aumento delle malformazioni o tossicità sul feto e sul neonato.
Una metanalisi, condotta su oltre 700 donne
in gravidanza, ha dimostrato che la glargine ha una sicurezza sul feto
paragonabile alla NPH. Dati rassicuranti arrivano anche dallo studio che ha
valutato il passaggio placentare della glargine (62), cheèpraticamente assente
ai dosaggi che di solito si utilizzano in gravidanza.
Anche sull'utilizzo di detemir, vi sono nuove evidenze: sono stati pubblicati
due studi osservazionali italiani su piccole casistiche di donne in
gravidanza col diabete mellito tipo 1 e, recentemente, un studio controllato
randomizzato multicentrico.
Lo studio ha valutato 310 donne affette da
diabete tipo 1 randomizzate con detemir o NPH; il 48% aveva iniziato l'analogo
detemir prima della gravidanza e il 52% entro le 8-12 settimane di gestazione.
L'uso dell'analogo detemir ha evidenziato un significativo miglioramento delle
glicemie a digiuno mentre per quanto riguarda i valori di emoglobina glicata ed
episodi ipoglicemici non si sono osservate differenze con NPH. Per quanto
concerne l'outcome fetale (abortività, mortalità perinatale e malformazioni
congenite) non si sono osservate differenza significative tra detemir e NPH.
L'insulina lispro protamina ottenuta dalla protaminazione dell'analogo rapido
lispro presenta un profilo d'azione simile alla NPH. Al momento un solo lavoro e un abstract sono stati pubblicati relativi all'uso della lisproprotamina in gravide con diabete tipo 2 e GDM evidenziando una non
inferiorità della molecola rispetto a NPH.
Non vi sono a oggi evidenze sull'uso dell'insulina basale degludec in
gravidanza.
L'uso del microinfusore insulinico (CSII) in gravidanza ha registrato negli ultimi anni un continuo incremento, soprattutto in fase di programmazione. Anche se i pochi trial clinici randomizzati (molto datati e condotti con strumenti di vecchia concezione) non erano stati in grado di dimostrare un effettivo vantaggio rispetto alla terapia multiniettiva, sia sul controllo metabolico sia sull'esito della gravidanza. Alcuni recenti studi retrospettivi e caso-controllo hanno segnalato una maggiore stabilità glicemica, con ridotte escursioni e più rari episodi di ipoglicemia, probabilmente in conseguenza di un più fisiologico rilascio di insulina.èinoltre segnalata un'ottima accettazione da parte delle pazienti, con ricadute positive sulla qualità di vita. Un'indagine multicentrica italiana ha valutato il grado di compenso metabolico e gli outcome gravidici raggiunti con CSII rispetto a glargine, rilevando un compenso metabolico sovrapponibile, che comunque veniva raggiunto più precocemente con l'ausilio del microinfusore. In base alle evidenze disponibili, al momento non vièun'indicazione generalizzata all'uso di questi strumenti in gravidanza; essi possono tuttavia rappresentare una valida opzione in pazienti particolarmente complicate e instabili, meglio se applicati prima del concepimento, in fase di programmazione. Nelle donne in trattamento con CSII in gravidanza, il fabbisogno di insulina aumenta con il progredire della gravidanza. L'incremento del fabbisogno si registra prevalentemente a carico dei boli. La velocità basale espressa in unità/24 ore aumenta del 50% rispetto al fabbisogno iniziale con variazioni visibili a tutte le ore. Il bolo può aumentare di due-quattro volte per una parallela riduzione del rapporto carboidrati insulina. Prospettive interessanti paiono poi aprirsi con la disponibilità di sistemi integrati microinfusore/sensore del glucosio, che potrebbero permettere una maggiore aggressività terapeutica senza rischi aggiuntivi di ipoglicemia materna. Come detto più avanti nella sezione "monitoraggio metabolico", però, malgrado le esperienze cliniche positive riferite da molti Centri, mancano al momento evidenze forti a sostegno di un uso esteso di questi strumenti, che già ora, vanno comunque tenuti in considerazione per i casi più problematici (ad es. in presenza di hypoglycemia unawareness).
L'ottimizzazione del controllo glicemico durante le fasi del travaglio e del
partoècondizione indispensabile per il benessere del neonato. A tal fine, in special modo per prevenire l'ipoglicemia neonatale, i valori glicemici devono
essere mantenuti entro valori molto ristretti (tra 70 e 120 mg/dl secondo alcuni
esperti, tra 70 e 126 mg/dl per AACE e tra 70 e 90 mg/dl secondo ADA). Per
raggiungere questi obiettiviènecessario un frequente controllo della glicemia
capillare e l'infusione di insulina e glucosio secondo algoritmi predefiniti.
Anche l'utilizzo del microinfusore durante il travaglio e il parto può essere
utile a mantenere un buon compenso metabolico se l'e'quipe che segue la paziente
durante il partoèstata formata alla gestione della pompa. Un buon controllo
glicemico sièottenuto con una velocità basale ridotta del 50% dall'inizio
della fase attiva del parto per via vaginale o dall'inizio dell'anestesia nel
caso di taglio cesareo.
Nel post-partum si ha una rapida e brusca diminuzione del fabbisogno insulinico;
la terapia insulinica non dovrà essere ripristinata prima di un'ora dal parto e
solo quando i valori glicemici siano costantemente superiori a 140 mg/dl.
Tutte le donne con diabete in gravidanza devono praticare autocontrollo
domiciliare della glicemia. Schemi di autocontrollo intensificato, con rilievi
sia pre- sia postprandiali e notturni (6-8 punti/die) devono essere effettuati
in tutte le forme di diabete insulino-trattato. La glicemia postprandialeèdi
estrema importanza e deve essere preferibilmente controllata dopo 1 ora dal
pasto. Le raccomandazioni del documento AMD-SID sull'autocontrollo
indicano per il GDM in terapia dietetica uno schema a scacchiera con due
controlli al giorno, suscettibili di aumento (7/8 determinazioni/die) in
presenza di un non adeguato controllo metabolico e/o di terapia insulinica.
Dati contradditori sono stati pubblicati sulla utilizzazione dei sistemi di
monitoraggio continuo nella gestione terapeutica del diabete in gravidanza.
Mentre, infatti, risultati incoraggianti sono venuti dall'applicazione di
strumenti "professionali" a lettura retrospettiva, come guida all'adeguamento
della terapia (80-82) e, soprattutto, come strumento educazionale, l'unico
trial randomizzato relativo al monitoraggio real time non ha evidenziato un
vantaggio rispetto al SMBG in termini di controllo metabolico materno e di
outcome perinatale. C'èperò da notare che in questo studio i dati del
glucosio interstiziale, per quanto visualizzati in tempo reale, erano ottenuti
in modo intermittente, e interpretati successivamente in modo retrospettivo,
senza sfruttare quindi appieno le caratteristiche "patient-oriented" proprie di
un sistema di monitoraggio real time utilizzato continuativamente, che
potrebbero invece risultare di grande utilità per il raggiungimento di una
effettiva ottimizzazione metabolica.
Anche se non sufficientemente sensibile per guidare i frequenti adeguamenti
terapeutici necessari in corso di gravidanza, il dosaggio dell'HbA1c, effettuato
ogni 1-2 mesi, può integrare il dato dell'autocontrollo glicemico nel definire
il grado di compenso metabolico raggiunto. Va però considerato che i valori di
normalità dell'HbA1c nella donna gravida sono inferiori rispetto a quelli
riscontrati fuori dalla gravidanza: secondo quanto emerso da uno studio
multicentrico italiano nelle gestanti non diabetiche il parametro si situa su un
valore mediano di 29 mmol/mol (4,8%), con range 13-39 mmol/mol (3,3-5,7%) .
L'obiettivo da perseguire deve, pertanto, essere più basso di quello
extragravidanza, e comunque < 42 mmol/mol (< 6%). Questo atteggiamentoèconfortato da una autorevole segnalazione di L. Jovanovic del 2011 e da un
recente studio di Maresh e coll., pubblicato su Diabetes Care nel gennaio 2015
, dove, su una casistica di oltre 700 donne con pre-GDM seguite in maniera
prospettica nel corso della gestazione, si rileva che una HbA1c 6,0-6,4% (42-47
mmol/mol) alla 26a settimana si associa a un aumento significativo del rischio
di neonati LGA, mentre un valore 6,5-6,9% (48-52 mmol/mol) comporta aumento
significativo del rischio di parto pretermine, preeclampsia, ipoglicemia
neonatale e di un insieme composito di esiti sfavorevoli della gravidanza.
Risultati analoghi sono ottenuti anche per la misurazione effettuata alla 34ma
settimana.
Una misurazione dell'HbA1c effettuata alla prima visita fornisce indicazioni
utili sul livello di compenso metabolico preconcepimento, e di conseguenza sul
rischio di aborto precoce e di malformazioni.
Una chetosi frequente e prolungata può avere effetti negativi sul feto e deve
essere evitata durante la gravidanza; a questo scopo, devono essere effettuati
controlli frequenti della chetonuria e/o chetonemia al risveglio, in caso di
malattie intercorrenti, e comunque in presenza di valori glicemici
persistentemente >180 mg/dl (88).
Infatti,èimportante sottolineare che i principali corpi chetonici aumentati
nella chetoacidosi sono il beta-OHB (beta-idrossibutirrato); nèl'acetone nèil beta-OHB reagiscono fortemente col nitroprussiato (reagente necessario per
determinare la chetosi urinaria) come l'acetoacetato, pertanto i livelli di
iperchetonemia di una paziente possono essere sottovalutati se viene effettuato
solo l'esame urine, mentreèessenziale indagare anche la presenza di chetonemia
plasmatica. Klocker e coll. hanno recentemente dimostrato che la valutazione del
beta-OHB plasmatico rispetto a quella urinaria riduce i costi, edèin grado di
evidenziare più correttamente la risoluzione degli episodi di chetoacidosi (89).
Perciò il dosaggio dei chetoni plasmatici sarebbe da preferire a quello dei
chetoni urinari (90). In tale contesto, inoltre, le recenti linee-guida NICE
sottolineano l'importanza di offrire il dosaggio della chetonemia alla donna con
diabete tipo 1 sia in programmazione sia in gravidanza.
I controlli ambulatoriali diabetologici devono essere effettuati ogni 2
settimane o più spesso in caso di instabilità del controllo glicemico; visite
più frequenti (settimanali) sono solitamente programmate nel terzo trimestre. In
tutte le forme di diabete pregestazionale in gravidanza devono essere effettuati
ogni mese il dosaggio dell'HbA1c e a ogni visita l'esame completo delle urine.
La presenza di piuria significativa richiede l'esecuzione di urinocoltura.
Il diabete pregestazionale richiede poi una serie di indagini aggiuntive:
-
Controllo della funzione tiroidea (T4 libera, TSH) a inizio gravidanza,
eventualmente da ripetere durante la gestazione.
-
Controllo delle complicanze microangiopatiche, che richiede una misurazione a
ogni trimestre del VFG stimato e della escrezione urinaria di albumina.
-
Controllo del fondo oculare al primo e al terzo trimestre, eventualmente
rivalutato entro 6 mesi dal parto. Il rapido miglioramento dell'emoglobina glicata e l'ipertensione nella gravidanza di donne con diabete tipo 1 si associa
a progressione della retinopatia. Un trattamento più stretto dell'ipertensione
ha ridotto questa associazione
-
Controllo dell'ipertensione arteriosa. Un appropriato incremento ponderale nella
prima metà della gravidanza ha dimostrato una riduzione dell'ipertensione in
donne non diabetiche. L'ipertensione e/o la preclampsia si manifestano più
frequentemente nelle donne con tutti i tipi di diabete in gravidanza,
soprattutto in presenza di microalbuminuria e/o alterata funzione renale o con
elevati valori di emoglobina glicata nelle prime fasi della gravidanza o con
elevato BMI nel diabete tipo 2 (98-100).Nella gravidanza fisiologica i livelli
di pressione arteriosa sono ridotti rispetto all'epoca pregravidica. Cionostante,
tutte le principali società scientifiche pongono diagnosi di ipertensione
arteriosa in gravidanza con valori di pressione arteriosa ≥140 e/o ≥90 mmHg
(101,102). Durante la gravidanza, il trattamento con ACE-inibitori e con
bloccanti del recettore dell'angiotensinaècontroindicato durante
l'organogenesi in quanto associato a displasia renale, oligoidramnios e
restrizione di crescita intrauterina. Un alterato sviluppo del rene fetale
e insufficienza renale neonatale sono stati osservati quando gli ACE-inibitori
venivano usati durante il secondo e terzo trimestre. Farmaci sicuri ed
efficaci in gravidanza sono alfa-metildopa, calcioantagonisti, labetalolo,
clonidina e prazosina. L'uso cronico dei diuretici nonèraccomandato poichèassociato a una restrizione del flusso utero-placentare. Una riduzione
eccessiva dei livelli di PAètemuta in quanto potrebbe essere associata a un
rallentamento della crescita fetale. Uno studio del 2015, ha dimostrato come
puntando a valori di pressione diastolica di 100 mmHg VS. 85 mmHg in donne in
gravidanza, di cui solo il 6% con GDM, non si osservava alcuna differenza
nell'interruzione di gravidanza e nell'outcome neonatale. Nel gruppo con
trattamento meno intensivo si registrava un incremento di ipertensione non
controllata (105). Uno studio su donne con diabete e microalbuminuria o con
escrezione urinaria di albumina ≥300 mg/ 24ore ha registrato l'azzeramento della preclampsia e una riduzione del parto pretermine al 20%, conterapia
antipertensiva iniziata con valori di pressione arteriosa ≥135≥85 mmHg a
prescindere dal tipo di diabete (106).
Un evidente rapporto fra livelli glicemici e outcome della gravidanzaèormai
chiaro anche nel diabete gestazionale. Due trial clinici randomizzati hanno
infatti dimostrato come in questa patologia un intervento terapeutico efficace
sia in grado di influire positivamente sull'esito della gravidanza, riducendo
significativamente il rischio di complicazioni perinatali. Oltre a ciò, i risultati dello studio HAPO, pubblicati nel maggio 2008, hanno
documentato un rapporto lineare fra livelli glicemici ed esiti ostetrici e
neonatali anche in assenza di alterazioni maggiori della tolleranza glucidica.
La gestione clinica del diabete gestazionaleèbasata su terapia medica
nutrizionale personalizzata, programma di attività fisica e autocontrollo
glicemico con misurazioni quotidiane, da iniziare immediatamente dopo la
diagnosi. Se gli obiettivi glicemici non vengono raggiunti dopo 2 settimane di
dieta seguita correttamente, deve essere iniziata la terapia insulinica. In
questa decisione possono essere considerati anche parametri ecografici di
crescita fetale, considerati indici indiretti di insulinizzazione fetale. In funzione dell'andamento glicemico, sono possibili schemi
insulinici semplificati, con 1 o 2 iniezioni/die, tuttavia può essere necessario
un approccio intensificato sovrapponibile a quello del diabete pregestazionale.
Sembrano poi promettenti i dati che riguardano la supplementazione di alcuni
alimenti, utili nel migliorare l'azione insulinica, come la vitamina D e
l'inositolo. Un tral clinico randomizzato europeo, al quale partecipano anche
due centri italiani (120), si pone l'obiettivo di verificare l'efficacia
dell'intervento sullo stile di vita e della supplementazione con la vitamina D
nella prevenzione del diabete gestazionale. Anche la supplementazione con
inositolo, da tempo utilizzata nelle donne con policistosi ovarica (PCOS),
sembrerebbe efficace e sicura nel migliorare l'insulino-resistenza nel GDM. Due
recenti trial clinici randomizzati italiani (121,122) hanno mostrato che
l'inositolo può essere utile nella prevenzione del GDM, in donne a rischio per
la malattia. Tali dati preliminari, se confermati su ampie casistiche,
potrebbero prevedere l'utilizzo di questi supplementi insieme alle terapie
tradizionali, soprattutto nelle forme con alterazioni più lievi del metabolismo
glucidico.
Da sempre l'insulinaèstata considerata l'unica opzione terapeutica possibile
in gravidanza, quando un intervento basato sulla sola modificazione dello stile
di vita non risulti sufficiente per raggiungere e mantenere gli stretti target
terapeutici raccomandati per una ottimizzazione dell'outcome materno-fetale. Per
il GDM e per il pre-GDM tipo 2, tuttavia, da tempoèstata proposta l'opzione
degli antidiabetici orali, che presenterebbero evidenti vantaggi di praticità
d'uso e di migliore accettazione da parte delle pazienti. Mentre in alcuni paesi
questa opzione terapeuticaèormai accettata, tanto da essere inserita nelle
attuali raccomandazioni di ADA , ACOG (126) ed Endocrine Society negli USA, della Canadian Diabetes Association e della NICE, in Italia il
loro uso continua a non essere accettato; i punti critici riguardano il
passaggio trans-placentare (accertato per metformina, controverso ma ultimamente
confermato per glibenclamide), gli effetti sul controllo glicemico materno, le
possibili conseguenze perinatali, immediate e a distanza.
Dati positivi in questo senso erano presenti da anni in letteratura,
ma la recente pubblicazione, nel 2015, di due autorevoli metanalisi
sull'argomento, ha contribuito a stimolare ulteriormente la
discussione. I due studi, ambedue su casistiche di GDM, condotti con metodologia
in parte differente ma basati su pubblicazioni sostanzialmente coincidenti, sono
infatti giunti a conclusioni quasi del tutto sovrapponibili.
Il lavoro spagnolo di Balsells e coll. ha preso in esame 15 studi clinici
randomizzati pubblicati fra il 2000 e il 2013. Sono state rilevate differenze
significative fra glibenclamide e insulina (sempre a favore di quest'ultima) per
quanto riguarda peso alla nascita, incidenza di macrosomia e di ipoglicemia
neonatale; confrontando invece metformina e insulina, con la prima si avevano i
risultati migliori per aumento ponderale materno e ipoglicemia neonatale, mentre
si registrava una minore età gestazionale al parto e un maggior rischio di
nascite pretermine. Infine, nel confronto fra i due farmaci orali, la metformina
si caratterizzava per risultati significativamente migliori su tutti gli outcome
primari, anche se si rilevava una più elevata frequenza di fallimenti
terapeutici, con necessità di ricorso all'insulina.
Jiang e coll. su 18 studi complessivamente considerati, hanno confermato
la mancanza di differenze significative nel controllo glicemico ottenuto con i
tre diversi tipi di trattamento; molto simili a quelli di Balsells sono stati i
risultati riguardanti gli esiti della gravidanza, anche se il tendenziale
vantaggio della metformina rispetto all'insulina sui dati di crescita fetaleèemerso meno nettamente, non raggiungendo significatività statistica nèper peso
alla nascita nèper incidenza di macrosomia, mentreèstato confermato il minore
aumento ponderale materno. Senz'altro inferiori, anche con questo approccio
statistico, i risultati della glibenclamide, nei confronti sia di insulina sia
di metformina.
Da queste due revisioni emerge dunque una evidente superiorità della metformina,
netta nei confronti di glibenclamide, più sfumata verso l'insulina (rispetto
alla quale risulta però una maggiore frequenza di prematurità). Decisamente
negativi, in ambedue i confronti, i risultati ottenuti dalla glibenclamide, che
su tale base non sembra più ragionevolmente proponibile come scelta terapeutica.
Questo orientamentoèstato confermato anche dall'unico studio randomizzato
controllato sull'argomento, pubblicato nel 2015, da George e coll. (134), che ha
confrontato l'uso di metformina e di glibenclamide in gravidanze con GDM, con
risultati chiaramente favorevoli alla metformina, sia sul versante materno sia
su quello fetale/neonatale.
In conclusione, la discussione sull'uso degli ipoglicemizzanti orali in
gravidanza pare ancora non conclusa, ma probabilmente vicina a un punto di
svolta. Già ora questi farmaci sono ormai largamente utilizzati in alcuni paesi:
negli USA il 75% delle donne con GDM, trattato farmacologicamente, usa oggi
glibenclamide, e nel 2010 la IADPSG ne stimava la frequenza al 35% al di fuori
degli USA. In Italia mancano statistiche attendibili, ma l'uso "off label" di
ipoglicemizzanti orali, in particolare di metformina,ècertamente non
trascurabile, soprattutto in ambito ginecologico.èprobabile che, nei prossimi anni, l'attenzione si rivolga prevalentemente
sulla metformina, che sembrerebbe addirittura presentarsi come il farmaco di
scelta, sola o in associazione con insulina. Le evidenze disponibili sugli outcome perinatali e la assenza di eventuali rischi di malformazioni legati al
passaggio placentare (il GDMèuna patologia della seconda metà della
gravidanza, ad embriogenesi ampiamente conclusa) potrebbero fare riconsiderare
le indicazioni di questo farmaco anche nei paesi (fra i quali il nostro) doveèstato finora escluso. Il limite principale alla liberalizzazione dell'uso della metformina nel GDM consiste attualmente nell'incertezza sulle conseguenze a
lungo termine sulla prole: l'attesa pubblicazione dei dati di follow-up a 5 anni
dello studio MIG (MIG TOFU) potrebbe dare un contributo importante alla
definizione di un atteggiamento condiviso sulla questione.
Le linee-guida ADA 2016 sottolineano comunque come la glibenclamide risulti
inferiore alla insulina e alla metformina in quanto dotata di scarsa
flessibilità e per l'aumentato rischio di ipoglicemia neonatale e di macrosomia.
Per quanto poi riguarda l'utilizzo della metformina, bisogna tener presente che
alcuni studi hanno mostrato un aumentato rischio di prematurità e che mancano
ancora studi di ampio respiro sugli effetti a lungo termine dei nati da gravide
con GDM trattate con metformina.èimportante perciò che le pazienti in cui si
decida di intraprendere tale trattamento vengano informate del fatto che la
metformina attraversa la placenta e che la letteratura nonèesaustiva a
riguardo.
L'associazione tra diabete mellito e tireopatie in gravidanzaèstata studiata
ampiamente per quanto riguarda il diabete pregravidico tipo 1. In generale, le
donne affette da diabete mellito tipo 1, mostrando una maggiore frequenza di
tireopatia autoimmune, sono maggiormente a rischio di sviluppare alterazioni
della funzione tiroidea in gravidanza e nel periodo post-partum. In
particolare, la prevalenza di disfunzione tiroidea nelle donne in gravidanza con
diabete mellito tipo 1, e? circa tre volte più elevata rispetto alla popolazione
femminile generale durante la gravidanza, soprattutto nel primo trimestre e fino
al primo anno dopo il parto. Per tale motivo, nelle pazienti con diabete
mellito tipo 1èdoveroso effettuare il dosaggio del TSH e di FT4 a inizio
gravidanza.
Non esistono, invece, evidenze univoche a favore di uno screening universale
della disfunzione tiroidea nelle pazienti con diabete pregestazionale tipo 2.
Alcuni dati di letteratura riguardanti genericamente i pazienti con diabete
mellito tipo 2, indicherebbero una prevalenza doppia di disfunzione tiroidea
rispetto alla popolazione generale. Tali dati, però, non sono confermati
da altri studi longitudinali di popolazione. In considerazione della crucialità della funzione tiroidea all'inizio della gravidanza, si ritiene
tuttavia ragionevole suggerire il dosaggio del TSH in tutte le donne con diabete
tipo 2 che desiderino iniziare il percorso della programmazione di gravidanza.
Non definitiva risulta essere anche l'associazione tra diabete gestazionale e
tireopatie in gravidanza. Il riscontro di TSH elevato e/o tireopatia autoimmune
nelle fasi precoci della gravidanza,èstato associato da alcuni autori a un
aumentato rischio di sviluppare diabete gestazionale (141-144). Meno chiara
risulta, a oggi, la correlazione inversa: ossia l'effetto di un'alterazione del
metabolismo glucidico insorto in gravidanza sulla qualità della funzione
tiroidea della gestante. Uno studio recente ha mostrato come, in aree con
moderata carenza iodica, donne in gravidanza con diabete gestazionale possano
avere un aumentato rischio di sviluppare ipotiroxinemia materna isolata nel
2o-3o trimestre rispetto a donne con normale tolleranza ai carboidrati in
gravidanza.