Ogni malattia può essere causa di malnutrizione se con questo termine si
definisce lo stato morboso che consegue al mancato o insufficiente soddisfacimento
delle esigenze nutritive quantitative e/o qualitative dell'individuo. Quasi tutte
le malattie possono pertanto richiedere un trattamento dietetico, con il quale si
tenta di ovviare alle conseguenze negative sullo stato di nutrizione provocate direttamente
o indirettamente. dal processo morboso. È causa diretta di malnutrizione l'insufficiente
introduzione di principi nutritivi dovuta a ridotto apporto alimentare globale o
di determinati componenti alimentari. Ciò può verificarsi talora, e più comunemente,
come conseguenza di una certa sintomatologia provocata dalla malattia (per es. mancanza
di appetito); talaltra in ragione della natura stessa della malattia e di una corretta
impostazione del suo trattamento dietetico (per esempio: obesità). Tra le cause
indirette di malnutrizione si debbono annoverare tutti quei meccanismi che, indipendentemente
dall'apporto dietetico alimentare, alterano i bisogni nutrizionali interferendo
sui processi di assorbimento, utilizzazione ed escrezione dei principi nutritivi
e/o di alcuni substrati da essi derivati. Più in dettaglio, nel corso di molte malattie
si verificano situazioni che possono influenzare lo stato di nutrizione di un individuo
in ragione di:
a) processi che interferiscono sulla possibilità e sulla capacità di alimentarsi
da parte del malato (interferiscono quindi sull'apporto di nutrienti): anoressia,
nausea, vomito, disturbi dentari e stomatologici in genere, intolleranze alimentari,
malattie neurologiche, ecc.;
b) processi che interferiscono sull'assorbimento intestinale dei nutrienti: diarrea,
iposecrezione cloridrico-peptica, malattie epatobiliari, pancreatiche, intestinali,
ecc.;
c) processi che interferiscono sull'utilizzazione dei nutrienti: epatopatie, diabete
mellito, alcoolismo, ecc.;
d) processi che determinano un aumento dell'escrezione di nutrienti: sudorazione,
poliuria, diarrea, deidratazione, ecc.
Si aggiunga, inoltre, l'interferenza dovuta al prevalere dei processi eccitocatabolici
su quelli anabolici che si verifica in molte malattie febbrili e nelle situazioni
morbose conseguenti ad "aggressione" dell'organismo da parte di traumi, ustioni,
interventi chirurgici e processi infettivi in genere. Nè si possono infine dimenticare
le possibili conseguenze sull'introito di alimenti e sui bisogni nutritivi determinate
da insoliti trattamenti medicamentosi. Si può quindi concludere che ogni incesso
morboso di una certa importanza comporta motivi di malnutrizione, primaria (= per
diminuito apporto di alimenti) o secondaria = per alterazione dei bisogni nutritivi)
o di ambedue i tipi associati, i quali finiscono per sovrapporsi al quadro clinico
della malattia fondamentale influenzandone sfavorevolmente l'evoluzione e il decorso.
Per queste ragioni sarebbe di estremo interesse avere anche per le malattie degli
standard "di riferimento" simili ai L.A.R.N., ma i bisogni nutritivi del malato
appaiono tanto intimamente legati alla malattia da cui il paziente è affetto che
sembrerebbe non esservi principi di ordine generale da esporre e da discutere. La
dieta ipercalorica è un regime alimentare che si prefigge l'obbiettivo di
aumentare l'apporto di tutti i nutrienti con l'alimentazione (energetici, plastici,
sali minerali, vitamine ecc.), allo scopo di favorire un eventuale incremento ponderale
utile al ripristino del peso fisiologico desiderabile, in un soggetto caratterizzato
da sottopeso, quindi potenzialmente malnutrito.
Pur con tutte le riserve imposte dalla difficoltà del problema è possibile tuttavia
prospettare alcuni indirizzi fondamentali:
1) con riferimento al valore energetico della dieta, nell'ambito di un programma
generale di nutrizione clinica, è utile fare una prima distinzione tra diete di
"mantenimento" e diete di "recupero". Le prime si riferiscono a quelle
forme morbose che, pur comportando una discreta riduzione dell'attività fisica,
non si accompagnano a note di gravità particolare nè a febbre. Indicate anche nei
soggetti anziani affetti da malattie croniche che richiedono una degenza prolungata
in ospedale o comunque in ambiente confinato, esse hanno lo scopo di evitare apprezzabili
variazioni del peso corporeo e di mantenere stabile una situazione nutrizionale
già giudicata soddisfacente in tempi precedenti all'esordio della malattia. Le diete
di "recupero", invece, trovano una perentoria indicazione in tutte le condizioni
morbose nelle quali v'è una sensibile compromissione delle condizioni fisiche dovute
a qualsiasi tipo di "aggressione" (anche chirurgica), associata o meno a febbre.
A questo proposito si ricorda che per ogni aumento di 1°C al di sopra di 37°C si
verifica un aumento del 12-14% del metabolismo di riposo ( = MB). Le diete di "recupero"
sono altresì indicate nei soggetti defedati, nei convalescenti e in tutti quei casi
nei quali la guarigione clinica è legata alla formazione di processi cicatriziali.
Per il calcolo del valore energetico di ambedue i tipi di diete si moltiplica il
valore di MB corrispondente all'età, peso, statura e sesso del paziente rispettivamente
per il fattore 1,5 (dieta di mantenimento) o per 1,8 (dieta di recupero). In pratica
il valore energetico della dieta di mantenimento. si aggira intorno alle 2000 Kcal
giornaliere, con un aumento del 10-15% se si tratta di maschio adulto in età relativamente
giovane e con una diminuzione quantitativa dello stesso ordine se si tratta di soggetti
anziani specie se di sesso femminile. Analogamente con le medesime variazioni percentuali
in più o in meno il valore energetico della dieta di recupero si aggira intorno
alle 2700 Kcal giornaliere. Ambedue i tipi di diete, che si possono anche
definire rispettivamente dieta "normale" e dieta "ipernutritiva", hanno una notevole
importanza per il loro ampio impiego nelle istituzioni assistenziali (ospedali,
cliniche, ecc.) ai fini delle previsione delle spese di gestione. Accanto a queste,
si hanno poi le diete "di riduzione", nelle quali l'apporto energetico giornaliero
è opportunamente ridotto nell'intento di ottenere o mantenere una diminuzione del
peso corporeo. In queste diete, che appartengono già alla categoria delle cosiddette
"diete speciali", il problema più importante è di assicurare uno stato di nutrizione
soddisfacente per quanto riguarda certi nutrienti (vitamine, minerali, ecc.) anche
in condizioni di restrizioni alimentari piuttosto spinta;
2)
anche in nutrizione clinica la questione dell'apporto di proteine può essere impostata
a partire dalle considerazioni formulate a proposito dell'uomo di riferimento dalla
Commissione dei L.A.R.N. La quantità di N di mg 3,4/Kcal basale, proposta come valore
di partenza per l'elaborazione delle raccomandazioni per i livelli di assunzione
delle proteine, corrisponde ad una PCAL% ( = percent. di calorie proveniente dalle
proteine) = 8,5. Tale percentuale è ritenuta dalla stessa Commissione "non sicura"
almeno per i gruppi più vulnerabili di popolazione, per i quali invece è raccomandata
una PCAL% non inferiore a 10. Sulla base di queste considerazioni si è stabilita,
per la dieta "di mantenimento" e la dieta "di recupero" sopra indicata, una PCAL%
di 14-15, che corrisponde con lieve difetto ad una quantità giornaliera di proteine
rispettivamente di g 70 e di g 100. Nell'adottare questi valori si e tenuto conto
anche dei risultati di recenti studi di bilancio di N, seguiti in reparti metabolici
su pazienti affetti da malattie molto comuni, secondo i quali il bilancio di N diventa
decisamente positivo soltanto quando la quantità giornaliera di proteine consumata
supera g 5/Kg di peso corporeo. D'altro canto è noto come in determinate situazioni
morbose secondarie ad "aggressione" piuttosto violenta, si hanno notevoli perdite
di N tali da richiedere un apporto proteico netamente superiore, ai valori sopra
indicati.
A questo proposito è però quanto mai opportuno ricordare alcuni principi fondamentali
di fisiopatologia della nutrizione:
- l'utilizzazione delle proteine alimentari a scopo di sintesi proteica è subordinata
al soddisfacimento del bisogno energetico. È inutile quindi aumentare la quota proteica
giornaliera (e quindi PCAL%) se il paziente non consuma l'intera razione calorica;
- un aumento del rapporto proteine-calorie al di sopra del 20% non è facilmente
attuabile in condizioni di rapporti energetici generosi e con l'impiego degli alimenti
comunemente usati nell'alimentazione quotidiana. Si dovrebbe pertanto far ricorso
ad alimenti "dietetici" senza peraltro essere sicuri che la quota proteica somministrata
in eccesso venga interamente utilizzata per la sintesi proteica. La dimostrazione,
in tali condizioni, di un sensibile aumento di perdite di N con le urine sembrerebbe
confermare tale dubbio;
- per tutte queste ragioni, l'aumento della quota di proteine al di sopra di certi
limiti ragionevoli presuppone una perfetta efficienza della funzione renale (anche
del circolo) al fine di evitare aumenti dell'azotemia inutilmente allarmanti.
Nutrienti per 1000 KCAL o per 2200 KCAL rispettivamente abbiamo: