La scoperta del virus della epatite C (Hepatitis C Virus o HCV), nel 1989, è stata possibile grazie all'impiego di sofisticate tecniche di biologia molecolare che hanno consentito di dimostrare, nel sangue di uno scimpanzé infettato con materiale di provenienza umana, un antigene virus-specifico e di produrlo come proteina ricombinante, con la conseguente ed immediata introduzione in commercio di un test per la ricerca degli anticorpi specifici, prima ancora che il virus stesso fosse stato identificato. HCV è un ribovirus con genoma formato da una molecola di RNA a polarità positiva, provvisto di involucro pericapsidico, che presenta numerose affinità con i virus della famiglia Flaviviridae nella quale è, al momento, classificato, nel genere Hepacvirus.
HCV infetta esclusivamente l'uomo e (sperimentalmente) lo
scimpanzé e presenta un tropismo assolutamente specifico per gli epatociti.HCV
si lega ad uno specifico recettore, identificato nel 1999, rappresentato dalla
molecola di superficie indicata come CD81, che è una proteina del gruppo delle tetraspanine (proteine caratterizzate da 4 regioni transmembranarie) presenti
alla superficie cellulare in associazione con alcune integrine. Oltre a CD81, comunque, per la penetrazione di HCV negli epatociti sembra
necessario il coinvolgimento di altre proteine cellulari di membrana come la
proteina denominata SRB1 che fa parte della classe B dei recettori scavenger (in
grado di mediare il riconoscimento di un ampio ventaglio di macromolecole
cariche negativamente quali, ad esempio, le lipoproteine acetilate a bassa
densità) e di almeno altre due proteine, componenti integrali dei complessi
giunzionali serrati che regolano l'integrità degli epiteli e la funzione di
barriera paracellulare, rappresentate dalla Claudina 1 (CLDN1) e, soprattutto,
dalla proteina denominata Occludina.
HCV è in grado di infettare colture in vitro di epatociti umani, ma la replicazione è stentata e, di norma, porta alla produzione di una progenie virale non infettante. Recentemente, da un caso di epatite fulminante, è stato isolato uno stipite virale (JFH-1) in grado di replicarsi efficientemente in colture cellulari il che potrebbe aprire la strada a più agevoli sperimentazioni (ricerca di farmaci, studio dell'efficacia neutralizzante di anticorpi indotti da vaccini, etc).
Il virus presenta una discreta variabilità genomica che si traduce nella dimostrata presenza di almeno 6 tipi genomici principali, all'interno dei quali sono differenziabili diversi sottotipi. Questo aspetto di HCV ha profonde implicazioni sulla possibilità di allestire un vaccino efficace e può occasionalmente riflettersi sulla attendibilità dei test sierologici intesi alla ricerca di anticorpi specifici. Le infezioni causate dai diversi genotipi non sembrano presentare chiare e sostanziali differenze cliniche. Tuttavia, una scarsa risposta dei genotipi da 1 a 4 al trattamento terapeutico con interferone sembra ben documentata e, almeno nel genotipo 1, sembra in rapporto alla capacità della proteina virale NS5 e, probabilmente, anche della proteina virale E2, di legarsi, inattivandola, alla proteinchinasi indotta dall'interferone ed in grado di bloccare, attraverso la fosforilazione di e/ F-2, la sintesi proteica.
L'epatite C è un'infezione subdola, lentamente progressiva che sovente rimane asintomatica fino alla comparsa di segni clinici di scompenso delle funzioni epatiche o, addirittura, alla comparsa di un carcinoma epatico primitivo. L'infezione si trasmette esclusivamente per via ematogena, e le vie di trasmissione sono le stesse cui abbiamo fatto cenno a proposito dell'epatite B, con un periodo di incubazione che oscilla da 5 a 10 settimane. L'infezione iniziale è sintomatica solo in circa il 15-20% dei soggetti infetti ed ha un andamento clinico meno rilevante rispetto all'infezione acuta da HBV.
Tuttavia, una notevole proporzione (circa il 50%) delle infezioni sintomatiche evolve verso la cronicizzazione e circa il 20% dei soggetti infetti cronicamente evolve in cirrosi. L'infezione cronica da virus della epatite C è associata frequentemente alla cosiddetta crioglobulinemia mista di tipo II (una patologia linfoproliferativa benigna) ed è stata implicata come possibile fattore eziologico del linfoma non-Hodgkin a cellule B la cui proliferazione verrebbe indotta dalla stimolazione del complesso CD81, che è presente alla superficie nelle cellule B e che, come abbiamo già detto, sembra utilizzato dal virus come recettore specifico.
Il controllo dell'infezione è affidato alle stesse misure efficaci nel caso
della epatite B (fondamentale lo screening dei donatori ed il controllo del
sangue e degli emoderivati) ed urta contro gli stessi ostacoli, in presenza di
atteggiamenti culturali peculiari (tossicodipendenti, omosessuali maschi,
tatuaggi, etc). Come abbiamo già detto, al momento non esistono vaccini.
La diagnosi di infezione in atto si basa sulla ricerca di anticorpi contro gli
antigeni del virus, utile soprattutto per la diagnosi (sieroconversione) della
infezione iniziale e, in particolare, sulla ricerca del genoma virale, previa
trascrizione inversa (RT) in DNA, ed il successivo impiego di tecniche di
amplificazione genomica (PCR). La RT-PCR è utilmente impiegata anche per il
monitoraggio dell'efficacia del trattamento terapeutico.
La profilassi non dispone ancora di un vaccino di provata efficacia protettiva,
anche se incoraggianti risultati sono stati ottenuti con una preparazione a base
di proteina El ricombinante, che si sarebbe dimostrata efficace anche nel
prevenire o ridurre le lesioni cirrotiche nei soggetti già infetti da HCV
(vaccino terapeutico).
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