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MORTE CARDIACA IMPROVVISA (MCI)

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shock

La prevenzione primaria dell'arresto cardiaco si basa sulla capacita' di individuare i pazienti ad alto rischio. Il problema va esaminato tenendo conto del numero complessivo degli eventi e del campione di popolazione al quale si fa riferimento. L'incidenza annuale di MCI in una popolazione adulta non selezionata e' pari all'1-2 per 1000. rispecchiando in buona parte la prevalenza dei soggetti coronaropatici per i quali la MCI costituisce la manifestazione di esordio della patologia (20-25). L'incidenza (percentuale di nuovi casi/anno) aumenta di pari passo con il numero dei fattori di rischio coronarico (cfr cuore e fattori rischio) che vengono a interessare popolazioni con anamnesi negativa per eventi coronarici pregressi;  fra tali fattori di rischio i piu' importanti sono: eta', ipertensione arteriosa , ipertrofia ventricolare sinistra, fumo di sigaretta, ipercolesterolemia, obesita' e alterazioni elettrocardiografiche non specifiche.

Si tratta di fattori di rischio coronarico che non sono specifici per la MCI. esprimendo piuttosto un aumento del rischio complessivo di eventi coronarici letali;la percentuale di tali eventi definibili come "improvvisi" rimane attestata intorno al 50%, qualunque sia la classe di rischio. Nonostante il marcato incremento relativo del rischio di morte improvvisa con l'aumentare dei fattori di rischio (dall'1-2 per 1000/anno in una popolazione non selezionata al 50-60 per 1000 nei sottogruppi a piu' alto rischio), l'incidenza assoluta resta relativamente bassa se viene considerata in termini di rapporto fra numero di pazienti nei quali sono stati attuati a titolo preventivo e numero di eventi passibili di prevenzione.

INDIVIDUAZIONE DEI PAZIENTI A RISCHIO

Piu' in particolare, una riduzione del 50% nel rischio annuale di MCI sarebbe enorme in termini relativi, ma richiederebbe un intervento preventivo su almeno 200 pazienti non selezionati per evitare una singola morte improvvisa. II dato sottolinea l'importanza della prevenzione primaria della cardiopatia coronarica: l'intervento sui fattori di rischio coronarico rappresenta probabilmente l'unico approccio razionale alla prevenzione della MCI in ampie fasce della popolazione, poiche' la maggioranza degli eventi interessa popolazioni non selezionate piu' che i sottogruppi specificamente ad alto rischio. Nella maggior parte delle condizioni a piu' alto rischio, in particolare in quelle relative a un importante evento cardiovascolare recente (per es., infarto miocardico, comparsa recente di insufficienza cardiaca, sopravvivenza dopo un arresto cardiaco in soggetti non ospedalizzati), il rischio di morte improvvisa e' maggiore nei primi 6-18 mesi per ritornare in seguito ai livelli normali. Di conseguenza, gli interventi preventivi hanno tanta piu' probabilita' di essere efficaci quanto piu' precocemente viene iniziato il trattamento.  Fra i pazienti con manifestazioni (acute o pregresse) di coronaropatia e' possibile individuare sottogruppi ad alto rischio nei quali la percentuale di MCI e' notevolmente maggiore rispetto alla popolazione generale; in particolare, i pazienti con infarto miocardico in fase acuta, di convalescenza o cronica costituiscono un ampio sottogruppo piu' specificamente a rischio.

Il rischio potenziale di' arresto cardiaco nelle prime 72 ore dopo un infarto miocardico acuto (fase acuta) arriva al 15-20%; tale rischio e' massimo nel sottogruppo di pazienti con tachicardia o fibrillazione ventricolare durante la fase di convalescenza postinfartuale (da 3 giorni a 8 settimane): la mortalita' a 6-12 mesi raggiunge il 50-80% nei soggetti trattati in maniera tradizionale e almeno il 50% dei decessi avviene in modo improvviso. Una terapia piu' aggressiva risulta in grado di ridurre drasticamente la mortalita'. Dopo la fase acuta dell'infarto numerosi fattori sono indicativi del rischio a lungo termine di mortalita' totale e di MCI. Il fattore piu' importante, sia per la MCI sia per le altre cause di decesso, e' rappresentato dall'entita' della lesione miocardica subita durante l'evento acuto. Quest'ultima e' misurata dal grado di riduzione della frazione d'eiezione, dalla capacita' funzionale e/o dalla presenza di insufficienza cardiaca. Il rischio aumenta con la frequenza delle extrasistoli ventricolari postinfartuali, stabilizzandosi una volta superata la soglia delle 10-30 extrasistoli/ora durante monitoraggio elettrocardiografico ambulatoriale nell'arco delle 24 ore; tuttavia, probabilmente, i piu' affidabili fattori predittivi sono rappresentati dalle forme complesse di extrasistolia (salve di extrasistole, tachicardia ventricolare non sostenuta). Le extrasistoli ventricolari esercitano un effetto sinergico sulla riduzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro. Frequenti extrasistoli ventricolari, salve di extrasistole o tachicardia ventricolare non sostenuta, associate a una frazione di eiezione pari o inferiore al 30% individuano un gruppo di pazienti con rischio su base annua del 20%. Tale rischio si riduce nettamente con il ridursi della frequenza delle extrasistoli ventricolari e in assenza di forme complesse, nonche' per valori di frazione di eiezione piu' alti. Nonostante l'individuazione delle extrasistoli ventricolari postinfartuali come fattori di rischio, non e' ancora stata dimostrata una riduzione del rischio complessivo in seguito a soppressione delle extrasistoli ventricolari. La gravita delle patologie di' base di natura cardiaca ed extracardiaca e/o l'esistenza di manifestazioni pregresse indicative del rischio (per es., sopravvivenza in sede extraospedaliera ad arresto cardiaco non associato a infarto miocardico acuto) individuano un gruppo di soggetti ad altissimo rischio di arresto cardiaco ricorrente. Nei pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco in sede extraospedaliera la probabilita' di un secondo arresto cardiaco e' infatti pari al 30% entro il primo anno in assenza di interventi specifici. In linea di massima vale la regola che il rischio di MCI e' pari alla meta' circa del tasso complessivo di mortalita' per cause cardiovascolari; il rischio di MCI. quindi, e' pari al 20% per anno nei soggetti con cardiopatia coronarica in fase avanzata o miocardiopatia dilatativa di gravita tale da comportare una mortalita' a un anno del 40%. I requisiti necessari per ottenere un maggiore impatto sulla popolazione sono un'efficace prevenzione delle malattie di base e/o l'utilizzo di nuovi indicatori epidemiologici. che permetteranno una migliore analisi dei sottogruppi all'interno di grandi popolazioni.

TERAPIA DEL COLLASSO

L'approccio al paziente colpito da collasso improvviso comprende quattro fasi distinte: 1 ) valutazione della risposta iniziale e misure di soccorso immediato: 2) misure di soccorso specialistico; 3) terapia dopo rianimazione; 4) terapia a lungo termine. La valutazione della risposta iniziale e le misure di soccorso immediato sono procedure eseguibili sia da personale medico o paramedico sia da soggetti adeguatamente preparati; nelle fasi successive della terapia occorre invece l'apporto di competenze specialistiche. Valutazione della risposta iniziale e misure di soccorso immediato Con la valutazione della risposta iniziale si dovra' stabilire se il collasso sia effettivamente successivo a un arresto cardiaco. Osservando il colore della cute e la presenza o meno di movimenti respiratori e del polso arterioso femorale o carotideo si puo' dare rapidamente risposta a questo quesito clinico.

Non appena si ha il sospetto o la conferma di un arresto cardiaco, il primo provvedimento dovrebbe consistere nel contattare un servizio di pronto soccorso. Dopo arresto cardiaco si osservano talora movimenti respiratori preagonici per un breve periodo, ma e' fondamentale accertare la presenza di eventuali sibili respiratori associati a polso persistente, che segnala l'aspirazione di cibo o corpi estranei: in questo caso la manovra di Heimlich, prontamente eseguita, permette di' rimuovere l'ostruzione. Un colpo ben assestato portato col pugno chiuso fra il terzo medio e il terzo inferiore dello sterno (colpo precordiale) consente talora la conversione di una tachicardia o della fibrillazione ventricolare, ma esiste il rischio di convenire una tachicardia ventricolare in fibrillazione ventricolare. Per tale motivo si raccomanda di ricorrere al colpo precordiale come tecnica specialistica di soccorso quando siano disponibili il monitoraggio e la defibrillazione.  Questa applicazione conservativa di tale tecnica rimane controversa. Il terzo obiettivo di questa fase di valutazione iniziale e' quello di garantire la pervieta' delle vie aeree: si rovescia all'indietro la lesta del soggetto tenendogli il mento sollevato, in modo da poter esplorare la cavita' orofaringea. E' necessario rimuovere dentiere o corpi estranei, eseguendo la manovra di Heimlich se vi e' ragione di sospettare la presenza di un corpo estraneo nell'orofaringe. Qualora si sospetti un arresto respiratorio seguito da arresto cardiaco, e' bene assestare un secondo colpo precordiale, una volta garantita la pervieta' delle vie aeree. Le misure di soccorso immediato, piu' comunemente note come "rianimazione cardiopolmonare", sono finalizzate al mantenimento della perfusione degli organi vitali in attesa di interventi risolutori. Elementi cardine della rianimazione cardiopolmonare sono la ventilazione polmonare e la compressione toracica. Si puo' ricorrere alla respirazione bocca a bocca qualora non si disponga di attrezzature adeguate (per es. tubi endotracheali. otturatori esofagei, pallone di Ambu). Le tecniche di ventilazione irudizionali durante la rianimazione cardiopolmonare prevedono l'insufflazione dei polmoni 10-12 volte al minuto, ossia una volta ogni cinque compressioni se la rianimazione viene eseguita da due persone e due volte consecutive ogni 15 compressioni se una stessa persona deve eseguire sia le manovre di ventilazione sia la compressione toracica. Il ricorso a quest'ultima manovra e' motivato dall'ipotesi che la compressione cardiaca consenta il mantenimento della funzione di pompa mediante svuotamento e riempimento sequenziali delle camere cardiache, mentre le valvole (normofunzionanti) garantiscono il mantenimento del flusso nella giusta direzione. Poggiando la palma di una mano sulla regione inferosternale e l'altra mano sul dorso della prima si abbassa lo sterno a una frequenza di circa 80-100 volle/minuto, avendo cura di non piegare le braccia. Lo sterno dovra' essere abbassato di 3-5 cm e tornare rapidamente alla posizione di partenza. Misure di soccorso specialistico Gli obiettivi in questa fase sono fondamentalmente i seguenti: mantenimento di una ventilazione adeguata, controllo di eventuali aritmie, stabilizzazione del quadro emodinamico (pressione arteriosa e gittata cardiaca), ripristino della perfusione dei vari organi. Le procedure necessarie sono 1) intubazione endotracheale; 2) defibrillazione/cardioversione e/o elettrostimolazione; 3) creazione di un accesso endovenoso. La ventilazione con ossigeno (o con aria, qualora l'ossigeno non sia immediatamente disponibile) determina spesso la rapida regressione di stati di ipossiemia e acidosi. Fondamentale importanza riveste il ricorso tempestivo alla defibrillazione/cardioversione; se possibile, e' bene che quest'ultima preceda l'intubazione e la creazione di un accesso endovenoso, eseguendo le manovre di rianimazione nel tempo necessario a ricaricare il defibrillatore.

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