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La malattia celiaca ed il bambino

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E' una patologia sistemica immunomediata causata dall'ingestione di cereali contenenti glutine (grano, segale, orzo) in soggetti geneticamente predisposti. Si tratta di una delle malattie croniche più comuni in tutto il mondo, che colpisce circa 1-4% per cento della popolazione in Europa e in Nord-America.

Eziopatogenesi

Come tutte le malattie autoimmuni riconosce un'eziopatogenesi multifattoriale risultato dell'interazione tra fattori genetici predisponenti e fattori ambientali scatenanti. Il ruolo della componente genetica è dimostrato dalla ricorrenza familiare della malattia, che ha una prevalenza tra i parenti di primo grado di circa 10-15 volte superiore rispetto alla popolazione generale, e dall'elevata concordanza di malattia nei gemelli monozigoti (pari circa all'80 per cento). I determinanti genetici che conferiscono la suscettibilità alla malattia non sono ancora del tutto noti.

L'unico fattore genetico a oggi sicuramente coinvolto nell'eziopatogenesi della malattia celiaca è rappresentato dal locus dell'antigene leucocitario umano (HLA). Infatti, è stata dimostrata un'associazione significativa tra la malattia celiaca e i geni del sistema maggiore di istocompatibilità di classe II HLA DQ2 e DQ8. La capacità di questi alleli nel conferire suscettibilità alla malattia celiaca risiede nella loro peculiare capacità di legare aminoacidi carichi negativamente come quelli presenti nei peptidi gliadinici del glutine in seguito a deamidazione da parte della transglutaminasi tessutale. Il complesso HLA-antigene determina l'attivazione dei linfociti T i cui prodotti di secrezione svolgono un ruolo chiave nel determinismo delle lesioni mucosali.

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L'aplotipo HLA-DQ2 (DQA1*0501-DQB 1*0201) si esprime nella maggior parte dei pazienti celiaci (90 per cento), l'HLA DQ8 (DQA1*0301-DQB 1*0302) è espresso nel 5 per cento, mentre un altro 5 per cento dei pazienti esprime solo uno dei due alleli del DQ2 (DQB1 *0201 ). Tuttavia sebbene questi aplotipi rappresentino una condizione necessaria non sono sufficienti per lo sviluppo della malattia. Infatti, il 39 per cento della popolazione generale presenta i geni DQ2 e/o DQ8, ma solo il 3 per cento sviluppa la malattia celiaca. Inoltre, i gemelli monozigoti hanno una concordanza dell'80 per cento e quelli dizigoti del 10 per cento, pur presentando HLA identici. Altri geni sono pertanto coinvolti, conferendo alla celiachia le caratteristiche di una malattia poligenica. Il glutine è il fattore ambientale necessario per scatenare la malattia, ma probabilmente altri fattori ambientali intervengono in una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali che regola l'equilibrio tra tolleranza e risposta immunitaria al glutine e della quale sappiamo ancora poco.

E' stato ipotizzato che tra i fattori ambientali, le infezioni intestinali la quantità e la qualità del glutine ingerito, la composizione del microbiota intestinale e le modalità di alimentazione del lattante siano possibili fattori coinvolti nel passaggio dalla tolleranza alla risposta immunitaria abnorme contro il glutine. Il ruolo dell'alimentazione della prima infanzia sullo sviluppo della malattia celiaca, e in particolare il ruolo dell'allattamento materno, dell'epoca di introduzione del glutine nella dieta del lattante e della quantità di glutine ingerito, è stato a lungo un importante argomento di dibattito tra clinici e ricercatori, con notevole interesse negli ultimi anni di tutta la comunità scientifica.

Introduzione del glutine nella dieta e celiachia

L'introduzione del glutine a 6 mesi di età è una pratica molto antica e nonostante sia una regola profondamente radicata in molti Paesi sviluppati, il momento ottimale di introduzione del glutine nella dieta del bambino non era mai stato rigorosamente testato. Nella pratica clinica molti pediatri ritenevano che l'introduzione del glutine nella dieta dei bambini che hanno un rischio familiare di malattia dovesse essere ritardata per consentire la maturazione della barriera intestinale e la risposta immunitaria. Tuttavia, le indagini conseguenti a una vera e propria "epidemia" di celiachia precoce che si verificò in Svezia durante gli anni '80-'90 indicavano che l'introduzione di una piccola quantità di glutine durante l'allattamento materno tra i 4 e i 6 mesi di età riduceva il rischio di malattia: questi dati fornirono le basi della cosiddetta ipotesi della "finestra di tolleranza", secondo cui vi sarebbe stata una finestra di tempo, tra i 4 e i 7 mesi di vita durante la quale l'introduzione del glutine poteva facilitare l'induzione di tolleranza.

Il concetto della "finestra di tolleranza" al glutine ha in seguito guadagnato popolarità con le dichiarazioni di alcuni ricercatori statunitensi che nel 2005 riportavano che i bambini a rischio genetico per il diabete di tipo 1 esposti al glutine tra 4 e 6 mesi di età avevano un rischio ridotto di malattia celiaca rispetto a quelli esposti al glutine prima di 4 e dopo 7 mesi di età; è importante notare che il numero di pazienti che in questo studio aveva effettuato la biopsia intestinale per la conferma della diagnosi di celiachia era molto esiguo. In seguito, uno studio tedesco aveva dimostrato che i bambini con un rischio familiare di diabete di tipo 1 la cui prima esposizione alimentare al glutine si era verificata dopo l'età di 6 mesi non avevano un aumento del rischio di autoimmunità celiaca. Nel 2013 un'indagine epidemiologica norvegese effettuata su un'ampia popolazione (324 casi con celiachia e una coorte di 81.843 controlli sani), contestava tutte le precedenti osservazioni; in particolare, i risultati dello studio norvegese dimostra-vano che: a) l'introduzione di glutine durante l'allattamento non era protettiva; b) solo l'introduzione del glutine posticipata (>6 mesi), ma non anticipata (<4 mesi) era associata a un aumentato rischio di malattia celiaca.

Il principale limite dello studio norvegese era quello di aver incluso nell'analisi solo i bambini con diagnosi clinica di malattia celiaca; pertanto, qualsiasi risultato non si poteva applicare necessariamente alla popolazione complessiva celiaca (che è almeno 3 volte più grande). I neonati che avevano un rischio familiare di malattia celiaca (cioè, i neonati che avevano almeno un parente di primo grado con malattia celiaca) sono stati reclutati in 20 Centri in Italia tra il 2003 e il 2008 grazie al supporto dell'Associazione Italiana Celiachia. I bambini sono stati assegnati in maniera casuale a uno dei due gruppi: quelli nel gruppo A sono stati assegnati all'introduzione di alimenti contenenti glutine (pasta, semola, biscotti ecc.) a 6 mesi di età, e quelli del gruppo B all'introduzione di alimenti contenenti glutine a 12 mesi di età. L'obiettivo principale era di stabilire le tappe dello svezzamento, che raccomandano l'introduzione del glutine tra 4 e 7 mesi di età al fine di ridurre il rischio di malattia celiaca, e si rende necessaria una revisione delle attuali raccomandazioni con una nuova posizione della Società su questo importante argomento.

 

Allattamento e glutine

Un ruolo protettivo dell'allattamento al seno nei confronti della materna celiaca è stato a lungo sostenuto, per lo più sulla base di alcuni studi retrospettivi e di una review sistematica della letteratura e una metananalisi che ne sintetizzarono i risultati. L'indagne epidemiologica norvegese aveva invece dimostrato che l'allattamento materno non esercitava alcuna protezione sullo sviluppo della malattia: la durata media dell'allattamento al seno era addirittura più lunga nei bambini con malattìa celiaca (10.4 mesi rispetto ai controlli (9,9 mesi) e il rischio di malattia era significativamente più elevato nei bambini allattati al seno per più di 12 mesi. Pertanto, anche se ci sono molte buone ragioni per raccomandare il prolungato allattamento al seno dei neonati, indipendentemente dal fatto che abbiano un rischio genetico per lo sviluppo della malattia celiaca, gli studi prospettici non hanno osservato un effetto protettivo nei confronti della malattia celiaca. L'unico fattore che è stato a oggi significativamente associato con lo sviluppo di malattia celiaca è l'HLA. Infatti, nello studio CELIPREV è stata effettuata un'analisi statìstica tramite induzione di alberi decisionali per verificare tra tutte le variabili a disposizione (genotipo HLA, mese di introduzione del glutine, sesso, parente affetto da malattìa celiaca, durata dell'allattamento al seno, infezioni intestinali) quale fosse associata a un rischio significativamente più alto di malattìa celiaca. Il più alto rischio di malattia è stato osservato nei bambini con genotipo HLA cosiddetto ad alto rischio, caratterizzato da due copie dell'allele HLA-DQ2. Le altre variabili studiate non hanno mostrato alcun effetto significativo sul rischio di malattia. Pertanto, ricevere in eredità i geni predisponenti alla malattìa in omozigosi rappresenta l'unico fattore di rischio noto per la malattìa celiaca, associato a un'altissima probabilità di sviluppare la malattia (il 38 per cento della nostra coorte con questo tipo di HLA sviluppava infatti la malattìa). Pertanto, come riportato nell'editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine sull'argomento, "siamo ancora in cerca del/dei fattori ambientali che possono condizionare lo sviluppo della malattìa" e "i due trial - CELIPREV e PREVENT-CD - sono a oggi un punto di partenza più che un punto di arrivo della ricerca in questo campo". Sono necessari ulteriori studi per stabilire se altri fattori ambientali, come ad esempio la composizione del microbiota intestinale, il profilo metabolico, il programma di vaccinazione e l'uso di antibiotici, possano influenzare l'equilibrio tra risposta e tolle-ranza immunitaria.

Prevalenza della malattia celiaca

Un altro dato molto interessante scaturito dallo studio CELIPREV è l'elevata preva-lenza di celiachia osservata nei bambini a rischio familiare di malattia (13,2 per cento), che potrebbe indicare che la co-siddetta "epidemia" della malattia celiaca sta continuando il trend di crescita. Infatti, nei Paesi occidentali è stato osservato un aumento della prevalenza complessiva di malattia. Un aumento di 6,4 volte dell'incidenza è stato recentemente descritto in Scozia dal 1990 al 2009.

Un recente studio americano ha dimostrato che la prevalenza della malattia celiaca era solo dello 0,2 per cento nel 1975, mentre durante i successivi 25 anni è aumentata di 5 volte. Le ragioni di questo aumento riportato in prevalenza non sono ancora del tutto chiare, ma hanno a che fare con la componente ambientale della malattìa, considerato che sicuramente non possono essere cambiati i determinanti genetici della malattìa negli ultimi anni. Ancora oggi, tuttavia, la maggior parte dei pazienti con malattia celiaca in tutto il mondo non è diagnosticata, in quanto la malattia è il più delle volte clinicamente silente, e rappresenta la cosiddetta parte sommersa dell'iceberg celiaco, potenzialmente esposta a importanti complicanze a lungo termine. Pertanto, è diventata sempre più attuale la necessità di uno screening di popolazione per la malattia celiaca. Una delle principali obiezioni allo screening di massa era fino a poco tempo fa l'età in cui eseguirlo, in quanto la malattìa si può sviluppare in qualsiasi momento della vita. Nello studio CELIPREV, tuttavia, si è osservato che la malattìa celiaca si è sviluppata nella grande maggioranza dei bambini entro i primi 5 anni di vita, e nell'80 per cento di quelli in cui la malattìa celiaca si è sviluppata lo ha fatto durante i primi 3 anni. Pertanto suggeriamo che uno screening efficace per la celiachia potrebbe essere eseguito con un test in età scolare (a sei anni di età ad esempio). Nella figura 3,, proponiamo un strategia aggiornata di screening della popolazione per la celiachia. Dato che i genotipi HLA-DQ8 e HLA-DQ2 sono una componente necessaria per lo sviluppo della celiachia, la determinazione del genotipo HLA potrebbe essere raccomandata come test di primo livello che consente di escludere una parte considerevole della popolazione (circa 60-70 per cento) da ulteriori test. Oggi, la determinazione HLA può essere effettuata al momento della nascita, con una sola goccia di sangue intero essiccata su carta da filtro. Nei casi HLA-positivi selezionati così alla nascita, lo screening sierologico con gli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA potrebbe essere eseguito al momento dell'ingresso a scuola o prima nei casi clinicamente sospetti. Ulteriori test sierologici potrebbero essere richiesti nel corso della vita, in particolare nei pazienti sintomatici e/o nei gruppi a rischio. Siamo consapevoli che esistono ancora diversi argomenti a sfavore dello screening di massa per la malattìa celiaca, in particolare le considerazioni di natura economica.

 

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