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Il DMT1 è a genesi autoimmune, dipende cioè dalla distruzione delle cellule β
pancreatiche (dalle CD4+ e CD8+ cellule T e infiltrazione dei macrofagi nelle
isole pancreatiche), e che comporta solitamente associazione all'insulino-deficienza,
per cui necessita assolutamente della cura intensiva con insulina; inizia
dapprima come lesione non letale della cellule beta (insulite autoimmune),
questa poi evolve con la distruzione delle insule stesse e delle cellule per
necrosi. L'insorgenza ha variazione stagionale e può seguire, tra l'altro, il
morbillo, l'epatite o infezioni da Coxsackie virus. Si teorizza che tali
infezioni realizzino una risposta autoimmunitaria con la comparsa di linfociti T
citotossici, che completino la distruzione delle cellule β del pancreas, producenti insulina. Sembra che, come altre
malattie autoimmuni, sia correlata a
particolari combinazioni di alleli HLA. Alcuni studi hanno evidenziato un ruolo
del timo, tramite la produzione di insulina da parte della ghiandola, negli
eventi che fisiologicamente portano alla tolleranza immunologica da parte delle
cellule T verso le cellule beta pancreatiche. L'isorgenza di autoimmunità verso
queste cellule, quindi, deriverebbe da un difettoso funzionamento di tale
processo. La presenza di HLA del cromosoma 6 fu il primo locus ad essere
sospettato di una correlazione col diabete di tipo 1 mentre i B8 o B15 aumentano
di circa tre volte il rischio di sviluppare diabete I e le combinazioni di
antigeni DR4-DQ8 e DR3-DQ2 si manifestano nel 90% delle persone affette dal
diabete.
Il primo autoantigene
descritto nel dmt1 è stata la proteina 64K rilevata tramite immunoprecipitazione
di proteine insulari umane marcate con 35S-metionina con siero umano. L'autoantigene
64K è stato identificato come l'enzima decarbossilasi dell'acido glutammico
["glutamic
acid decarboxylase" (GAD)], che catalizza la sintesi di acido γ-amminobutirrico
(GABA), il principale neurotrasmettitore a funzione inibitoria.
L'insulina è stato il primo autoantigene insulare nel dmt1caratterizzato a livello molecolare, tramite immunoprecipitazione di insulina radiomarcata con siero di pazienti DMT1 di recente insorgenza, prelevato prima dell'inizio della terapia insulinica. Autoanticorpi anti-insulina (IAA) possono essere dimostrati nel siero del 50-70% di bambini con DMT1. Essi devono essere distinti dagli anticorpi anti-insulina (IA) che compaiono a seguito dell'inizio della terapia insulinica. Pertanto gli IAA possono essere determinati solo in sieri prelevati entro 10- 15 giorni dall'inizio della terapia sostitutiva. La frequenza degli IAA in pazienti diabetici è influenzata dall'età all'esordio clinico della malattia, essendo alta in bambini e molto bassa in pazienti adulti. Più recentemente, un altro autoantigene pancreatico β-cellulare è stato clonato e denominato ICA12. Analogamente ad altri autoantigeni finora identificati, la localizzazione di ICA12 è intracellulare. Ricordiamoci che la presenza di anti ICA, spesso compare nei soggetti asintomatici che poi sviluppano il DMT1. Gli anticorpi contro le membrane endocellulari delle cellule insulari (ICA) sono presenti nei giovani diabetici nel periodo della diagnosi e possono essere presenti, nei congiunti di 1° grado, in assenza di malattia. E' dunque ragionevole considerarli come markers anch'essi di un genotipo a rischio di diabete. Oltre gli ICA sono stati identificati altri anticorpi: CF - ICA (anticorpi che fissano il completamento); ICSA (anticorpi contro gli antigeni di superficie delle cellule insulari); IAA (antinsulina). La frazione IgA - IAA ha un particolare valore predittivo del diabete; &232; probabilmente associata all'aplotipo IILA D3B8. Il siero dei soggetti ICA positivi può essere utilizzato per la ricerca di anticorpi anti-cellula B, e degli anticorpi anti-64Kd. Oggi nuove osservazioni hanno permesso di capire che almeno una parte del complesso antigenico 64Kd s'identifica con la decarbossilasi dell'acido glutamminico (GAD). Rispetto agli ICA, gli anticorpi anti-64Kd mostrano la tendenza a persistere per un periodo di tempo più lungo.
Altri tipi di diabete, sono il tipo nefrogeno dovuto a ridotta sensibilità periferica all'ormone ADH, per cui un soggetto urina enormemente, ma le urine non hanno glicosuria ed il diabete neurogeno in cui la lesione è sita nei neuroni ADH secernenti. E' dovuto ad una mancata o insufficiente secrezione dell'ormone antidiuretico (ADH o vasopressina) da parte dell'ipotalamo e dell'ipofisi posteriore, o dalla sua mancata attività a livello renale. Nel primo caso si parla di diabete insipido centrale, ADH-sensibile o neurogenico, nel secondo di diabete insipido nefrogenico o ADH-insensibile (perché non si può correggere con la somministrazione di vasopressina esogena).
Oltre 30 anni or sono, Irvine et al. riportarono per la prima volta la presenza
di ICA in una frazione di pazienti diabetici diagnosticati come DMT2. In
quello studio la presenza degli ICA si associava ad un aumentato rischio di
sviluppare fallimento secondario al trattamento con sulfoniluree e ad un
aumentata frequenza di altri autoanticorpi organo-specifici, quali anticorpi
anti-tiroide. Questa osservazione fu successivamente confermata
Il termine MODY è l'acronimo dall'inglese di Maturity Onset Diabetes of the Young e definisce una forma rara di diabete (1-2% dei diabetici), non autoimmune, caratterizzata da una iperglicemia familiare con un'eredità autosomica dominante (carattere geneticamente trasmissibile, ciò significa che la patologia si trasmette facilmente da una generazione all'altra, senza preferenza di trasmissione da padre a madre, senza distinzioni di sesso nella prole). è causata da una mutazione di un punto o di una sequenza di un singolo gene, importanti per lo sviluppo o la funzionalità della β-cellula pancreatica, con conseguente alterazione della secrezione di insulina.
Il DMT2 è dovuto ad una mutazione che copisce i geni della glucochinasi, che
svolge la sua azione regolando il metabolismo del glucosio, sia a livello
epatico sia a livello della beta cellula; in deficienza di glucochinasi, si ha
deficit di secrezione insulinica ed incremento della produzione di glucosio
epatica. L'amilina umana, o Human Islet Amyloid Precursor Polypeptide (HIAPP), è
una proteina altamente conservata costituita da 37 residui amminoacidici secreta
nelle cellule beta del pancreas insieme all'insulina. Il gene che la codifica è
situato nel braccio corto del cromosoma 12. L'amilina è un ormone cosecreto con
l'insulina in risposta alla presenza di alte concentrazioni nutrienti nel sangue
ed è assente sia nel diabete tipo 1 che in quello tipo 2. L'amilina è prodotta
insieme all'insulina e la sua glicazione provoca deposito di sostanza amiloide a
livello pancreatico. Già nota per il suo ruolo nell'insorgenza del diabete di
tipo 2, sembra che possa avere a che fare anche con il diabete 1. Ma con quale
meccanismo agisce? Insieme ad altre strutture simili è in grado di aggregarsi
per originare delle fibrille, come delle stringhe, che si depositano nel
pancreas distruggendone le cellule. In primi studi sembravano associare questo
deposito solo all'insorgenza del diabete di tipo 2, appunto, mentre ora è stato
ipotizzato un coinvolgimento anche in quello di tipo 1.
Queste fibrille amiloidi sono sempre più sotto esame in campo scientifico
(ricordano un po' le placche amiloidi nel cervello dei malati di Alzheimer), non
tanto come prodotto finito, ma nei vari passaggi e nelle fasi intermedie che
portano alla loro formazione. Essa svolge numerose funzioni:
- ormonale - con il controllo endogeno ed esogeno del carico di nutrienti,
- inibitoria - in particolare inibisce la secrezione del glucagone
- regolatoria - nel processo di assorbimento dei carboidrati. Da sola o in
combinazione con le colecistochinine (CCK) stimola la sazietà ed è utile nella
regolazione dell'apporto calorico nell'obesità e in altri disordini alimentari.
Nel DMT2 si è notato un suo accumulo sotto forma di depositi amorfi di amilina
(sostanza amiloide). Inoltre l'incremento della neoglucogenesi (immotivato
perché in realtà la glicemie è sempre elevata) induce una riduzione delle masse
muscolari del soggetto diabetico, per un depauperamento proteico. Il fenomeno
dell'incremento glicemico è alla base della glicosilazione non enzimatica delle
proteine con i gruppi aminici della lisina. Questo processo coinvolge le
membrane eritrocita rie, l'albumina, l'emoglobina ed il fattore VIII della
coagulazione.
Sull'albumina determina facilitazione nel processo di filtrazione glomerulare
che si associa a danneggiamento del glomerulo nel paziente diabetico con
comparsa di microalbuminuria fino a livelli patologici di > 300 mg/die;
Sul globulo rosso una ridotta vita media con scarsa capacità di deformabilità
dello stesso
Sul fattore VIII facilità l'innesco dell'incremento dello stato di
coagulabilità e di aggregazione piastrinica.
Sull'emoglobina una ridotta cessione di ossigeno ai tessuti
Microalbuminuria 40-50 mg/24 ore
Macroalbuminuria > 300 mg/24 ore
Recettori per insulina
Si trovano nelle cellule e negli eritrociti. Il complesso insulina-recettore
attiva una tirosinchinasi che innesca l'autofosforilazione del recettore in
tirosina, i recettori sono 200.000, a livello degli epatociti, e degli
adipocitim 40.000 a livello dei globuli rossi; sono glicoproteine trans membrana
con catene alfa sulla superficie extracellulare e catene Beta trasnmembrana
unite da ponti disolfuro. L'IR è costituito da due subunità α extracellulari
bersaglio dell'insulina legate con ponti disolfuro a due subunità 2 β
intracellulari le quali hanno attività tirosino-chinasica.
In particolare: Il legame dell'insulina determina l'avvicinamento delle due
subunità β e ne permette l'autofosforilazione. Il recettore attivato può a sua
volta aggiungere gruppi fosfati su determinate tirosine di specifici substrati
che a loro volta possono attivarne altri e permettere così la propagazione del
segnale con un effetto a cascata. Uno dei primi elementi che viene attivato è la
proteina IRS-1 (Insuline Receptor Substrate) la quale attiva a sua volta
l'enzima fosfoinositide 3 chinasi o PI3-K che attiva la via Akt\mTOR. Tale via
metabolica innesca meccanismi di sopravvivenza, di resistenza all'apoptosi e
permette la proliferazione della cellula. Ma l'effetto più evidente innescato
dalla PI3-K è la fusione delle vescicole citoplasmatiche contenenti GLUT-4 con
la membrana plasmatica, permettendo così alla cellula di assorbire più
efficacemente il glucosio extracellulare.)
Perché l'organismo utilizza il glucosio come fonte principale di energia e si
serve della chiave insulinica per assumere glucosio dentro la cellula, come una
persona ricca che ha perso la chiave del forziere, ha i soldi ma non li può
utilizzare, cosi il diabetico è ricco di glucosio ma ha perso la chiave
insulinica (DMT1) oppure la chiave non entra nella toppa (DMT2) per mancata
azione insulinica periferica.
Curiosità
Da qui è chiaro come la cura deve essere mirata a:
supplire alla mancanza di insulina endogena con apporto dall'esterno (cura con
insulina ai pasti e basalizzazione)
usare farmaci che consentano un migliore impiego della insulina endogena che
non funziona in periferia (metformina, pioglitazone
uso di farmaci secretagoghi che "spremano" altra insulina, ma in questi casi
(sulfaniluree) si corre il rischio di mandare in "esaurimento", la beta cellula
pancreatica
impiego delle incretine, che sfruttano GLP1, un ormone prodotto dalla cellule
L dell'intestino tenue che collabora con l'insulina nell'omeostasi glicidica,
con azione diretta trofica sulla beta cellula
ALTRIMENTI
ACUTE
chetoacidosi. Se l'organismo, per mancata azione insulinica, deve utilizzare i
grassi, allora ricorre alla beta ossidazione e produce i corpi chetonici; è
un'emergenza al pronto soccorso, perché se misconosciuta, un soggetto muore per
acidosi, infatti il ph si abbassa pericolosamente In genere si tratta di
soggetti che disconoscono di essere affetti da diabete, oppure di DMT1.
La chetoacidosi diabetica (o DKA, o CAD) è una complicanza potenzialmente
fatale, che si riscontra in persone affette da diabete mellito di tipo I ma che
in determinate circostanze può verificarsi anche in quelli affetti da diabete di
tipo 2. Il disturbo è tipicamente caratterizzato da iperglicemia (valori
superiori a 300 mg/dL), concentrazioni di bicarbonati inferiori a 15 mEq/L, e pH
inferiore a 7.30, con chetonemia e chetonuria.
La chetoacidosi diabetica è dovuta a una marcata carenza di insulina che
comporta una risposta compensatoria dell'organismo, il quale, per la produzione
di energia, passa a un metabolismo di tipo lipidico (vengono bruciati gli acidi
grassi e, soprattutto, i trigliceridi) con conseguente produzione di corpi
chetonici (acido acetoacetico, acetone, e acido beta-idrossi-butirrico). Il
passaggio nel sangue di queste sostanze provoca una caduta del pH fino a valori
di acidosi anche molto marcata. è proprio la produzione di corpi chetonici acidi
che causa la maggior parte dei sintomi e complicazioni.
La chetoacidosi può essere il sintomo di esordio di un diabete non
diagnosticato in precedenza, ma può verificarsi anche in soggetti diabetici noti
per tutta una serie di cause, come, ad esempio, malattie intercorrenti oppure
una scarsa adesione alla terapia insulinica. Di certo la scarsa aderenza alla
terapia insulinica è una causa frequente di chetoacidosi diabetica ricorrente in
giovani con diabete mellito di tipo 1.[1] I sintomi tipici dei soggetti in
chetoacidosi consistono in vomito, disidratazione, respirazione ansimante
profonda, confusione mentale e coma.
Coma iperosmolare: significa che un soggetto, specie se anziano, per diabete
scompensato nel tempo, con riflesso della sete torpido, oppure d'estate, per
colpo di calore, finisce per giungere al pronto soccorso disidratato, con grave
deplezione di volume;
coma iperosmolare non chetoacidosico (CINK) è un grave scompenso metabolico
caratterizzato da severa iperglicemia, iperosmolarità e marcata disidratazione
in assenza di acidosi; insorge, più
frequentemente, nei pazienti anziani portatori di malattia diabetica non
insulino-dipendente. Talvolta può insorgere in pazienti non diabetici in seguito
a severa disidratazione.
Le principali condizioni favorenti l'insorgenza della sindrome iperosmolare non
chetosica sono:
inadeguato apporto di liquidi rispetto alle perdite (diarrea profusa, vomito,
ustione estesa)
pancreatite acuta
infarto miocardico acuto
ictus cerebri
interventi chirurgici
farmaci (corticosteroidi, diuretici, difenilidantoina)
Il quadro clinico, a insorgenza lenta e graduale, è caratterizzato da: segni
di disidratazione (globi oculari ipotonici, cute fredda e secca, lingua
asciutta, mialgie), polidipsia, ipotensione arteriosa, dolori addominali,
alterazione dello stato di coscienza fino al coma.
Mancano i segni della chetoacidosi (alitosi acetonica, respiro di Kussmaul).
Diagnostica di laboratorio
Esami cmatochimici:
glicemia molto elevata
osmolarità plasmatica superiore a 350 mOsm/1
pH arterioso normale
chetonemia normale
bicarbonatemia normale
Esame delle urine:
glicosuria elevata
chetonuria assente.
Edema cerebrale
Manifestazioni tromboemboliche.
Rimuovere o trattare, quando possibile, la causa responsabile
Monitorare la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la frequenza e il
tipo di respiro, PECG, la glicemia, la glicosuria, la chetonemia, la chetonuria,
gli elettroliti sierici e Posmolarità plasmatica
Idratare il paziente somministrando soluzione fisiologica (un litro durante la
I ora e successivamente 5-6 ml/kg/h), monitorando la frequenza cardiaca, la
pressione arteriosa, la pressione venosa centrale, la diuresi e l'osmolarità
plasmatica al fine di evitare sovraccarichi di circolo soprattutto nei
cardiopatici e nei nefropatici.
Si dividono classicamente in micro e macroangiopatie. Le microangiopatie comprendono la retinopatia e le neuropatie, le nefropatie; le macroangiopatie, le patologie delle grandi arterie e dunque ictus, infarto, arteriopatie periferiche ostruttive.
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Incremento della viscosità ematica, rischio di trombosi, essudazione proteica
vasi ristretti nella retina, e sofferenza con perdita della funzione retinica
(maculopatia).
Esistono due tipi di retinopatia diabetica:
Forma non proliferante. I vasi retinici presentano zone di indebolimento, con
dilatazione della parete (microaneurismi), e possono sanguinare, producendo
emorragie retiniche, edema e/o ischemia. L'edema si verifica quando trasuda del
liquido dalle pareti alterate dei capillari: il fluido provoca un rigonfiamento
della retina o l'accumulo di grassi e proteine (essudati duri). L'ischemia
(carenza di ossigeno ai tessuti) è il risultato dell'occlusione dei vasi
capillari; la retina, ricevendo sangue in quantità insufficiente, non riesce a
funzionare correttamente. Ciò favorisce il passaggio alla forma proliferante.
Forma proliferante. Si caratterizza per neoangiogenesi. Si presenta quando i
capillari retinici occlusi sono numerosi, compaiono ampie zone di sofferenza
retinica (aree ischemiche ed essudati molli). Queste zone di retina sofferente,
nel tentativo di supplire alla ridotta ossigenazione, reagiscono stimolando la
crescita di nuovi vasi sanguigni. I nuovi vasi sono però anomali perché hanno
una parete molto fragile e si moltiplicano sulla superficie della retina. Essi
sanguinano facilmente, dando luogo a emorragie vitreali, e portano alla
formazione di tessuto cicatriziale, il quale, contraendosi progressivamente, può
provocare il raggrinzimento e/o il distacco della retina.
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La nefropatia diabetica è una frequente causa di danno renale e si colloca al
secondo posto come causa di insufficienza renale terminale. Come indicato dal
nome, il quadro sindromico è causato e sostenuto dalle alterazioni
fisiopatologiche connesse con il diabete (più frequentemente diabete non
insulino dipendente, anche se non si hanno dati definitivi).
La nefropatia diabetica rappresenta una malattia in costante aumento, dato
l'altissimo tasso di crescita della malattia diabetica favorito dall'aumento
della sedentarietà e dell'apporto calorico.
La manifestazione diabetica non coinvolge il rene solo mediante l'interessamento
glomerulare (la manifestazione classica in questo caso è la glomerulosclerosi
nodulare o malattia di Kimmelstiel-Wilson), ma interessa in minor modo la
struttura della midollare renale (necrosi papillare renale). Nel mesangio renale
c'è accumulo di proteine, il mesangio è la struttura che accoglie la matassa
glomerulare; ne deriva indurimento e fessurazione della membrana di filtrazione
glomerulare, con proteinuria, dapprima minimale, microalbuminuria, quindi
massiva,
in particolare.
Le alterazioni genetiche a carico di PKCβII, dell'endotelina e dell'angiotensina
hanno un ruolo fondamentale nella patogenesi della malattia. Tuttavia, l'evento
principe di tutta la patogenesi è l'iperglicemia propria del diabete, che si
estrinsecherà nella glomerulosclerosi diffusa a carattere nodulare (malattia di
Kilmestill-Wilson). Il meccanismo che causa il danno glomerulare è di natura
metabolica: l'iperglicemia costante comporta un carico di glucosio che è
sovrabbondante rispetto al normale fabbisogno delle cellule glomerulari e delle
cellule che costituiscono le pareti arteriolari; gli eccessi di glucosio vengono
pertanto incanalati verso vie alternative (quelle oggetto di studio sono la via
dei polioli, la via delle esosamine, la glicazione non-enzimatica delle proteine
e la produzione dei prodotti avanzati della glicazione o AGEs). La conseguenza
finale è una glucotossicità a livello delle cellule vascolari (tale
glucotossicità è oltretutto responsabile di tutte le complicanze microvascolari
del diabete: retinopatia, nefropatia e neuropatia). Le modificazioni glomerulari
sono dapprima solamente funzionali (e pertanto reversibili) e poi divengono
strutturali (irreversibili).
Le modifiche osservate sono di due ordini: aumentata permeabilità (incapacità di
filtrazione ovvero modifica della qualità dell'ultrafiltrato); ridotta
perfusione glomerulare (ovvero riduzione della quantità assoluta di filtrato
glomerulare).
Si osservano inizialmente modificazioni dei podociti e perdita della loro
capacità di collaborare alla barriera di filtrazione: si osserva pertanto
aumentata permeabilità della barriera di filtrazione. Nell'ultrafiltrato
compariranno dapprima molecole a basso peso molecolare come l'albumina
(normalmente non filtrata) e si parlerà di proteinuria selettiva; con il
progredire delle lesioni podocitarie comparirà una proteinuria sempre più franca
e non-selettiva (con ultra-filtrazione di proteine dal peso molecolare via via
crescente). Altrernativamente alla classificazione in "selettiva" e
"non-selettiva", è preferibile descrivere le condizioni come microalbuminuria e
macroalbuminuria (definite in base alla quantità di albumina contenuta nelle
urine delle 24H).
Parallelamente alla lesione podocitaria si instaura un danno microvascolare con
ispessimento della membrana basale glomerulare (conseguente alla glicazione
delle proteine, con riduzione del turn-over delle strutture fondamentali che
garantiscono la filtrazione). Il risultato netto è una riduzione delle cariche
elettriche negative sulla superficie della membrana, che favorisce il passaggio
di albumina (proteina dotata di carica negativa) nell'urina. La forte
partecipazione del TGF-β e del VEGF favorisce anche la permeabilizzazione
dell'endotelio vascolare, con ulteriore incremento della proteinuria. Il ruolo
patogenetico dell'iperglicemia si esplica inoltre con la produzione di AGE
(prodotti finali di glicazione avanzata), proteine strutturali e circolanti con
alterazioni funzionali e strutturali dovute all'eccessiva glicazione; in
particolare, gli AGE sono in grado di interagire con recettori R-AGE espressi
nella membrana mesangiale che veicolano peculiari segnali di crescita che
portano all'ipertrofia delle cellule del mesangio e irrigidimento delle pareti
arteriolari. Tutti questi processi portano ad una riduzione assoluta della
quantità di plasma filtrato, che determina la condizione patologica nota, nella
pratica clinica, come "insufficienza renale cronica" (stadi avanzati della
malattia renale cronica) e attivazione del meccanismo
renina-angiotensina-aldosterone con incremento del riassorbimento di sodio e
acqua dall'ultrafiltrato. Ne consegue l'insorgenza di ipertensione secondaria ad
origine renale.