Per edema (dal greco aidema = tumefazione) si intende l'accumulo di un eccesso
di fluido di provenienza plasmatica nel subcompartimento interstiziale del compartimento extracellulare.
L'edema può essere localizzato in una o più
regioni dell'organismo ovvero generalizzato.
Una particolare terminologia è
correntemente usata per definire l'edema generalizzato ed i versamenti liquidi
in alcune regioni dell'organismo.
Infatti, il
liquido di provenienza ematica si può accumulare anche in altri siti, quali, ad
esempio, le cavità naturali dell'organismo.
Sotto l'aspetto eziopatogenetico, che si riflette anche su alcune
caratteristiche del liquido di versamento, è necessario distinguere due tipi di
edema:
A) L'edema non infiammatorio, il cui liquido di versamento è definito trasudato
B) l'edema infiammatorio, il cui liquido di versamento è definito essudato.
A seconda della localizzazione gli edemi si suddividono per la sede di
raccolta e si definiscono così:
Anasarca: tutto lo spazio interstiziale
Idrope: una o più cavità celomatiche
Idrotorace: cavità pleurica
Idropericardio: cavità pericardica
Ascite: cavità peritoneale
Idrarto: cavità articolare
Idrocefalo: ventricoli encefalici
Idrocele: vaginale del testicolo
La formazione dell'uno e dell'altro tipo di edema (A o B) avviene in corrispondenza del microcircolo, cioè di quella struttura costituita da una rete capillare interposta tra arteriole e venule, dove il sistema arterioso si continua con quello venoso, costituendo l'area in cui avviene l'interscambio di molecole tra il sangue ed il liquido interstiziale e tra questo e le cellule di tutti i tessuti.
Tenendo presente quanto esposto sull'anatomia funzionale del microcircolo, riesce facile comprendere che la formazione dell'edema trova il suo fondamento essenzialmente nella perdita dell'equilibrio tra i due fattori che fisiologicamente governano la fuoriuscita dal letto vascolare ed il rientro in esso del fluido a livello del microcircolo, cioè la pressione idrostatica, che favorisce la filtrazione e la pressione colloidoosmotica del sangue circolante, che al contrario, si oppone ad essa e tende a trattenere il liquido all'interno dei vasi e a far rientrare l'aliquota passata nell'interstizio o parte di essa in quanto l'eccesso viene drenato dai vasi linfatici.
Il microcircolo è la parte del sistema circolatorio costituita dai
vasi che hanno il più piccolo diametro (arteriole, capillari e venule), nei
quali hanno luogo gli scambi reciproci tra sangue e tessuti che comportano la
fornitura di ossigeno e di sostanze nutritizie alle cellule e la rimozione di
C02 e dei cataboliti da queste prodotte: esso inizia là dove un'arteriola precapillare si continua con la
metarteriola ed il canale preferenziale,
riducendo progressivamente il suo calibro e lo spessore della sua parete, nella
quale le cellule muscolari lisce non formano più una struttura continua, ma
assumono una disposizione sparpagliata ed un orientamento parallelo all'asse
longitudinale.
Lungo il suo decorso il canale preferenziale si ripiega su se
stesso, formando un'ansa e, quindi, si estende fino ad immettersi nella venula,
che può essere considerata il punto di origine del sistema venoso. I numerosi
capillari (diametro di 5-9 micron) hanno la parete formata da un monostrato di
cellule endoteliali e da una sottile membrana basale, al di fuori della quale
sono presenti i periciti, che sono cellule muscolari lisce modificate.
Essi si dipartono da vari punti della metarteriola e del canale preferenziale, formano
tra loro numerose anastomosi e costituiscono nell'area delimitata dai due bracci
del canale preferenziale un'estesa rete, la cui superficie totale
nell'organismo è di ben 400 mq. Al loro punto di origine dal canale
preferenziale o dalla metarteriola, sono frequentemente avviluppati da un
piccolo strato di fibrocellule muscolari lisce, che costituiscono il cosiddetto
sfintere precapillare, la cui attività contrattile, associata a quella delle
arteriole, fa variare il loro calibro, modulando in tal modo la quantità di
sangue che deve attraversarli.
La muscolatura liscia dei vasi del microcircolo è
innervata dal sistema nervoso simpatico, la cui eccitazione induce
vasocostrizione e la cui inibizione produce vasodilatazione in risposta a
segnali provenienti dalla periferia ed elaborati in un centro ipotalamico. Alla
regolazione del calibro dei vasi del microcircolo partecipano le endoteline,
l'NO, l'adenosina e l'ANP col risultato che la velocità del sangue circolante si
mantiene intorno ai 700 mm/sec. Questo sistema di autoregolazione fa sì che le
variazioni della pressione sanguigna sistemica non si riflettano sulle
pressione ematica del sangue che scorre in questa regione periferica del sistema
circolatorio. L'ipertensione, difatti, anche se a lungo andare diventa
responsabile della comparsa della micro-angiopatia ipertensiva, non si riflette
con un parallelo aumento della pressione intraarteriolare ed intracapillare,
come dimostrato dal fatto che essa provoca al massimo la comparsa di un lieve
edema pericapillare per aumento delle resistenze periferiche, incrementato
spesso dall'aumento della viscosità del sangue, e mai quella di edemi diffusi.
Nel microcircolo del distretto cutaneo superficiale l'arteriola e la venula che
delimitano la rete capillare sono collegate tra loro anche da diverse
anastomosi artero-venose.
Tra la parete dei capillari e quella delle cellule dell'organismo, si trova
interposto uno spazio ridottissimo in cui è presente il fluido interstiziale,
attraverso il quale avvengono gli interscambi di molecole, acqua compresa. I
movimenti bidirezionali dell'acqua in corrispondenza del microcircolo sono
quantitativamente bilanciati in condizioni fisiologiche nel senso che la
quantità che abbandona il lume dei vasi e passa nel compartimento interstiziale eguaglia quella che da questo rientra in esso. Questo fenomeno trova
il suo fondamento nell'equilibrio tra i due fattori che fisiologicamente
governano la fuoriuscita dal letto vascolare ed il rientro in esso del fluido a
livello del microcircolo, cioè la pressione idrostatica del sangue circolante
nei vasi del microcircolo, che favorisce la filtrazione, e la pressione colloido-osmotica del sangue circolante, che al contrario si oppone ad essa e
tende anche a richiamare l'aliquota passata nell'interstizio o parte di essa in
quanto l'eccesso viene drenato dai vasi linfatici. Difatti a brevissima distanza
dal letto vascolare del microcircolo sono presenti anche numerosi capillari
linfatici, deputati alla rimozione dell'eccesso di liquido fuoriuscito dai
capillari sanguigni e da essi non riassorbito. Anch'essi sono rivestiti
soltanto da un monostrato di cellule endoteliali delimitate da giunzioni
interendoteliali abbastanza ampie.
Ciascun capillare linfatico ha al suo punto
di origine la forma di un sacculo. al cui interno vige una
pressione idrostatica estremamente bassa (convenzionalmente giudicata eguale a
0) e quindi inferiore a quella presente nel fluido interstiziale. Questa
differente pressione idrostatica favorisce il drenaggio dell'eccesso di liquido
filtrato nello spazio interstiziale. Da notare, inoltre, che nei vasi linfatici
il movimento della linfa, che è determinato da contrazioni delle muscolatura
liscia presenti nella loro parete, si svolge unidirezionalmente verso le
stazioni linfoghiandolari e verso il dotto toracico, per la presenza all'interno
dei vasi di valvole che impediscono il reflusso.
è il gradiente di pressione idrostatica che favorisce la filtrazione dell'acqua
dal lume vascolare attraverso la parete endoteliale in quanto la pressione
idrostatica del sangue nei capillari è superiore a quella del liquido
interstiziale. Essa nella porzione prossimale del microcircolo, là dove i
capillari si sfioccano dal canale preferenziale, è di 35 mmHg, mentre nella
porzione terminale, là dove il capillare si rigonfia a formare la venula, si riduce a
15 mmHg e nella porzione intermedia è di 25 mmHg. Questa
progressiva riduzione della pressione idrostatica nel lume dei vasi del
microcircolo dipende dalla progressiva diminuzione della resistenza che la
parte endoteliale offre al flusso ematico e dalla perdita di una certa quantità
di liquido, causata dalla filtrazione.
Per quanto riguarda il gradiente di pressione colloidoosmotica, i soli soluti
osmoticamente attivi, che in condizioni fisiologiche non vengono filtrati
attraverso la parete capillare, sono le proteine plasmatiche, la cui
concentrazione sostiene il gradiente di pressione osmotica, che contribuisce
non solo a ridurre la quantità di acqua in uscita, ma anche a facilitare il
rientro di una parte di essa.
Nel sangue circolante nei capillari la pressione colloidoosmotica (P),
sostenuta dalle proteine plasmatiche, ha un valore effettivo di 25 mmHg,
risultante dalla differenza tra la pressione colloidoosmotica plasmatica (28
mmHg) e quella del liquido interstiziale (3 mmHg). Tenendo presente che la
pressione idrostatica tende a far fuoriuscire i liquidi dal lume capillare e che
la pressione colloidoosmotica tende a trattenerli o a farli rientrare, si noti
che:
a) Nella porzione prossimale del capillare la pressione idrostatica (35 mmHg)
prevale su quella colloidoosmotica (25 mmHg) per cui è presente una pressione
filtrante di 10 mmHg. Il liquido viene, quindi, filtrato dal plasma
nell'interstizio.
b) Nella porzione intermedia del capillare le due pressioni si eguagliano (25
mmHg-25 mmHg) per cui la pressione filtrante è di 0 mmHg), con la conseguenza
che la quantità di liquido che diffonde dal lume del capillare nell'interstizio
equivale a quella che diffonde da questo a quello.
c) Nella porzione terminale del capillare la pressione colloidoosmotica (25
mmHg) prevale su quella idrostatica (15 mmHg) con la conseguenza che essa
esercita una forza di riassorbimento che richiama liquido dall'interstizio.
In breve nell'arco delle 24 ore l'eccesso di liquido che dal sangue passa
nell'interstizio corrisponde a circa 5 L che, come si è detto, rientrano nel
sangue tramite il circolo linfatico. Da alcuni anni sono in corso in molti
laboratori ricerche atte a chiarire il ruolo che il contemporaneo
malfunzionamento delle acquaporine può avere nella patogenesi dell'edema.
Si ricorda che fu il fisiologo inglese Ernst Henry Starling a stabilire nel 1896
che la parete dei capillari sanguigni si comporta come una membrana
semipermeabile che consente alle soluzioni saline di passare liberamente
attraverso di essa ed, inoltre, che la pressione idrostatica, che forza il
fluido a passare nei tessuti, è bilanciata dalla pressione osmotica, generata
dai colloidi (proteine presenti in soluzione), la quale, oltre a contrapporsi ad
essa, favorisce il riassorbimento del fluido stravasato dai tessuti. Egli
dimostrò anche che si tratta non di un vero equilibrio tra le due pressioni, ma
di un quasi equilibrio, perché per il lieve prevalere della pressione
idrostatica si forma un lieve eccesso di fluido stravasato che, però, viene
recuperato dall'organismo perché riportato in circolo per via linfatica. In una
equazione, nota per l'appunto come equazione di Starling, lo scienziato,
illustrò la formazione della "pressione netta di filtrazione" derivata dalla
differenza tra la pressione idrostatica e quella colloidoosmotica ed il ruolo di
alcuni coefficienti che interferiscono con tale divario.
2) Riduzione della pressione colloidosmotica del sangue.causata da
ipoproteinemia per perdita o mancata sintesi
3) Ostacolo al drenaggio del liquido interstiziale
4) Ipernatriemia ipervolemica
Edema imponente degli arti inferiori per alterato scarico linfatico, edema da elefantiasi |
Essi riconoscono l'infiammazione come causa ma anche l'ostruzione venosa e del circolo linfatico. Esempi sono gi edemi emorroidari, nella gravidanza per compressione sul sistema delle cave e per difficoltà ad esplellere feci; oppure nella stasi degli arti inferiori per mancanza funzione della pompa muscolare.
L'edema linfatico è progressivo, nell'interstizio, con ristagno della linfa, fino ad avere aspetto elefantiasico degli arti.
Dipende da alcune caratteristiche del circuito encefalico che non possiede
linfatici e per il fatto che l'encefalo è concentrato nella scatola cranica,
inespansibile. Dipende da liquido trasudatizio. disitinguiamo un "edema
cerebrale intracellulare", definito citotossico dovuto ad aumento
della permeabilità delle membrane neuronali per deplezione di ATP e blocco della
pompa sodio-potassio. Abbiamo ancora un "edema cerebrale vasogenico" per
processi infiammatori o neoplastici con aumento di permeabilità; "edema
interstiziale o idrocefalo" per incremento del liquido
cefalorachidiano. L'idrocefalo compare prima della saldatura delle suture
craniche e provoca dilatazione della scatola
cranica con un aumento della sua circonferenza mentre quello che si manifesta
dopo la saldatura di queste induce una espansione dei ventricoli ed un aumento
della pressione intracranica non essendo più possibile la diastasi delle suture.
Si ricorda che il liquor, secreto da plesso corioideo presente nei ventricoli
laterale e nel quarto ventricolo, circola nel sistema ventricolare da dove
defluisce attraverso i forami di Magendie e di Luschka nello spazio
subaracnoideo che circonda l'encefalo ed il midollo spinale e viene riassorbito
a livello dei villi aracnoidei che lo immettono nei seni venosi intracranici.
La scoperta che l'acquaporina 4 (AQP-4) è il principale canale dell'acqua
nell'encefalo, presente nei pedicelli della membrana plasmatica delle cellule astrocitarie, vicina alla membrana basale dei capillari, ha indotto alcuni
ricercatori a studiare il suo ruolo nella genesi e nel mantenimento dell'edema
cerebrale. Un risultato di un certo interesse è la dimostrazione che l'ischemia
cerebrale provoca un disassemblaggio delle molecole di AQP-4 e che l'endotelina
1 (ET-1) favorisce a livello delle cellule encefaliche la loro espressione,
fatto quest'ultimo che ha fatto ritenere che l'impiego di antagonisti non
selettivi dei recettori per questa endotelina potrebbe risultare efficace nella
terapia dell'edema cerebrale.
Il glaucoma è una patologia dell'occhio, con caratteristiche più di sindrome che di malattia, responsabile di un aumento della pressione intraoculare, di danno alla papilla (estremità distale del nervo ottico) e di una progressiva riduzione del campo visivo e dell'acuità visiva, che può culminare nella cecità per atrofia del nervo ottico. Il glaucoma deve il suo nome al colore verde-bluastro che assume la pupilla.
L'aumento della
pressione oculare, che dal valore normale di 10-21 mmHg può raggiungere quello
di 60-100 mmHg, è provocato, nella maggioranza dei casi, non tanto da un aumento
della produzione di umor acqueo, che ha luogo nel corpo ciliare, quanto da
un'aumentata resistenza al suo deflusso, che culmina nello sbocco nella
circolazione venosa.
Il glaucoma, che rappresenta una rilevante causa di cecità nella popolazione di
tutto il mondo, viene attualmente giudicato una patologia cronica degenerativa
del nervo ottico e delle cellule retiniche nella quale l'apoptosi di queste e
la progressiva scomparsa dei cilindrassi del nervo ottico provocano progressive
alterazioni strutturali e funzionali.
Nell'eziologia del glaucoma, di cui sono state definite varie forme a decorso
sia acuto che cronico, sembra giuocare un ruolo notevole l'ereditarietà di tipo
poligenico, dimostrata anche dal fatto che i parenti di I grado dei pazienti glaucomatosi, indenni da malattia, hanno frequentemente un livello di pressione
intraoculare ai limiti superiori della norma.
Il glaucoma può manifestarsi
anche in conseguenza:
a) di anomalie congenite del sistema di drenaggio dell'umor acqueo (glaucoma
congenito), nelle quali è stata identificata una mutazione del gene GGC1 A,
mappato nel cromosoma 1,
b) di numerose patologie oculari (glaucoma secondario),
c) di alterazioni dell'idrodinamica oculare, indotte da cause ancora non
identificate,
d) di terapia prolungata con corticosteroidi (glaucoma jatrogeno).
Sotto l'aspetto patogenetico, la comparsa e l'evoluzione dei gravi danni a
carico delle cellule della retina e del nervo ottico non debbono essere
riportate esclusivamente a fenomeni di compressione legati all'ipertensione
oculare.
Recenti studi sperimentali e clinici mettono in evidenza che l'eliminazione
delle cellule retiniche è anche dovuta ad una risposta autoimmune
cellulo-mediata. Si ritiene che questa subentri perché i tessuti oculari perdono
la loro condizione di "siti privilegiati" in conseguenza di occasionali danni
alla membrana emato-oculare, diventando, in tal modo, accessibili alle cellule
del sistema immunitario. Inizialmente i linfociti T espleterebbero un ruolo
benefico, quale fonte di citochine (in particolare, IFN-y e neurotrofine),
mentre in un secondo momento la presentazione di antigeni neuronali alle cellule
del sistema immunitario rappresenterebbe uno stimolo antigenico inducente una
risposta T mediata, citotossica per le cellule retiniche, soprattutto
attraverso la via apoptotica mediata dalla reazione Fas/Fasligando. Inoltre
l'ipossia e lo stress cellulare a carico dei tessuti degli occhi glaucomatosi
inducono la comparsa di proteine da stress, la cui presenza è stata riscontrata
in corrispondenza della retina e del nervo ottico. Il notevole potere antigene
delle proteine da stress darebbe ragione del frequente riscontro nel sangue dei
pazienti glaucomatosi di anticorpi diretti verso di esse.
L'edema sistemico (anasarca) si forma in conseguenza di due alterazioni di
fondamentale importanza ai fini dell'equilibrio idroelettrolitico tra i vari
compartimenti:
a) aumento della pressione idrostatica intracapillare;
b) riduzione della pressione colloidosmotica del plasma.
Si è soliti distinguere diversi tipi di edemi generalizzati sulla base del
meccanismo eziopatogenetico prevalente nella genesi della loro comparsa.
La presenza di anasarca può sfuggire all'ispezione fino al momento in cui il
volume del liquido interstiziale non ha subito un aumento di circa il 10%. La
cute, che si presenta tesa, mantiene per un certo tempo l'incavatura prodotta
dalla pressione esercitata su di essa con un dito.
L'edema cardiogeno è la forma a maggiore incidenza tra gli edemi generalizzati. Per la trattazione di esso e dei meccanismi (anterogrado e retrogrado) che ne sono alla base si rimanda al capitolo sulla Fisiopatologia del cuore. Si tenga al momento presente, limitatamente all'aspetto edemigeno, che quando l'evento primario che ne è alla base consiste nella ridotta eiezione di sangue da parte di un ventricolo, si verifica un aumento della pressione idrostatica nell'atrio sovrastante che si riflette a monte in un aumento della pressione intracapillare con conseguente aumento della pressione di filtrazione.
Nello scompenso ventricolare sinistro insorge congestione polmonare, che può culminare in edema polmonare. Nello scompenso ventricolare destro, invece, l'ipertensione dell'atrio sovrastante si propaga a ritroso a tutto l'albero venoso determinando stasi di sangue ed ipertensione a livello dei capillari del microcircolo con comparsa di edema dapprima nelle parti declivi e quindi generalizzato. Nello scompenso cardiaco totale si sommano gli effetti dello scompenso destro e sinistro.
La persistenza dell'edema generalizzato è anche
sostenuta dalla ritenzione renale di acqua e di sale. Difatti, nei pazienti con
anasarca, provocato soprattutto da scompenso cardiaco, da sindrome nefrosica o
da cirrosi scompensata, si verifica una riduzione del volume plasmatico
(ipovolemia) che stimola sia la secrezione di aldosterone che di AVP. L'aldosterone
induce ritenzione sodica con conseguente espansione del fluido del
compartimento extracellulare, mentre l'AVP contribuisce alla ritenzione idrica.
Sia le alterazioni glomerulari che quelle tubulari del nefrone sono in grado di
determinare la comparsa di edema generalizzato. Sotto l'aspetto patogenetico, è
necessario tenere presente:
a) La riduzione della filtrazione glomerulare da contrazione delle arteriole
afferenti, con conseguente oliguria e ridotta natriuresi, come avviene nelle
glomerulonefriti, provoca l'espansione del liquido del compartimento
extracellulare (interstiziale e plasmatico) ed ipertensione. Negli stadi
avan-zati dell'insufficienza renale cronica, il fenomeno risulta aggravato
perché alla caduta della frazione di filtrazione glomerulare può associarsi un
elevato riassorbimento del sodio e dell'acqua (tipico delle alterazioni
tubulari), fino al punto da rendere praticamente nulla l'eliminazione del
sodio.
b) La perdita per via renale di proteine (in pratica al-buminuria) si verifica
per alterazioni della permeabilità glomerulare e diventa col tempo responsabile
di ipoproteinemia plasmatica, a cui consegue riduzione della pressione
colloidosmotica del sangue con netta prevalenza a livello del microcircolo della
pressione idrostatica, che incrementa la filtrazione attraverso la parete dei
capillari e, conseguentemente, la formazione di edema generalizzato, favorita
dalla ritenzione sodica.
c) Nei reni compromessi può aumentare la secrezione di renina, che, tramite la
formazione di angiotensina II, stimola il corticosurrene a liberare aldosterone,
che fa aumentare il riassorbimento sodico.
Nella cirrosi, che comporta un
sovvertimento dell'architettura epatica, si verifica la comparsa, oltre che di
edema generalizzato, causato dall'insufficiente produzione di proteine da parte
del fegato, anche di un versamento peritoneale, definito ascite, la cui
formazione è indotta da diversi meccanismi concomitanti che agiscono
sinergicamente:
a) insufficiente drenaggio da parte dei linfatici che, in condizioni di
normalità, convogliano il liquido nel dotto toracico;
b) compressione delle vene epatiche con stasi ematica ed aumento della
pressione nella vena porta, che può risultare aggravata dalla formazione di
anastomosi artero-venose attraverso le quali aumenta il carico portale;
c) ipoprotidemia da ridotta sintesi epatica di albumina con conseguente
riduzione della pressione colloidosmotica plasmatica;
d) aumentata pressione idrostatica nel letto capillare della regione splancnica,
a cui consegue ulteriore formazione di trasudato per incremento della pressione
filtrante in corrispondenza del microcircolo;
e) iperproduzione da parte del rene di renina, anche in assenza di ipovolemia,
che si riflette in un maggior rilascio da parte del corticosurrene di aldosterone, che stimola nel rene il riassorbimento del sodio;
f) difettoso catabolismo epatico dell'aldosterone che, permanendo più a lungo in
circolo, favorisce la ritenzione sodica;
g) aumentato rilascio di ADH-vasopressina dalla neuroipofisi, stimolato
dall'aumentata osmolalità dei fluidi dell'organismo indotta dalla ritenzione
sodica, che si riflette in un incremento del riassorbimento idrico.
Il trasudato ascitico determina un innalzamento della pressione addominale, che
può ostacolare il rientro venoso dagli arti inferiori, che in conseguenza di
tale ostacolo diventano anch'essi edematosi.
La raccolta di liquido nella cavità peritoneale è talora così imponente da
richiedere lo svuotamento con la tecnica della paracentesi, che arreca, però,
sollievo al paziente solo per breve tempo, sia perché il versamento si riforma
rapidamente, sia perché aggrava l'ipoprotidemia. Per tale ragione si esegue un
intervento chirurgico consistente nell'inserimento di un sottile tubo di
plastica, di cui un'estremità pesca nella cavità peritoneale mentre l'altra
viene collegata ad una giugulare, dove, a causa della pressione negativa in essa
presente, il liquido di versamento viene drenato.
Anche la presenza di metastasi, generalmente carcinomatose, nel peritoneo,
induce, indipendentemente da alterazioni epatiche, la formazione di ascite, con
un meccanismo molto verosimilmente dipendente dalla produzione da parte delle
cellule tumorali di fattori che favoriscono la permeabilità capillare.
Dell'edema da fame, caratteristico del kwashiorkor e di altre forme di
malnutrizione, venne inizialmente ritenuta responsabile la riduzione della
pressione colloidosmotica del plasma dovuta alla sola ipoprotidemia, a sua
volta riportabile alla persistente assunzione di una dieta squilibrata,
pressoché priva di proteine. I risultati di indagini più recenti fanno ritenere
che la formazione dell'edema sia anche da riferire al richiamo dell'acqua nella
matrice extracellulare, causato dalla maggiore idrofilia dei suoi jalectani.
La ritenzione idrica nel corso della gravidanza rappresenta una condizione
fisiologica al fine dell'adeguato sviluppo degli annessi e del feto, per cui
non assume significato patologico la frequenza con cui compaiono edemi agli arti
inferiori, specie dopo prolungata stazione eretta, e/o emorroidi a causa
dell'ostacolo al rientro venoso per compressione dell'utero gravido sulle vene
iliache e sulla vena cava. La comparsa dell'edema si associa a discreta
ipervolemia ed a modica ritenzione sodica. Tuttavia, in alcuni casi, può
manifestarsi un edema generalizzato associato ad ipertensione e pro-teinuria,
che richiede molta attenzione da parte del medico perché rappresenta una
condizione preeclamptica.
Si manifesta in alcune donne nel periodo fecondo, con la comparsa periodica
nelle ore diurne e durante la stazione eretta di tumefazioni edematose al viso
ed alle estremità degli arti in occasione di eventi
stressanti. L'eziopatogenesi non è stata definita; al momento si sa soltanto che
le crisi sono associate a ritenzione di sodio.
è una malattia ereditaria, trasmessa per via auto-somica dominante, che si
manifesta nei soggetti con deficit dell'inibitore della CI esterasi (Cl-INH),
descritta nel capitolo sulle immunodeficienze a cui si rimanda.
La forma più frequente è causata dalla prolungata terapia con corticosteroidi ed
è associata a ritenzione idrosalina. La patogenesi risiede nel fenomeno del
traboccamento a livello dei recettori delle cellule tubulari renali vedi {vedi
capitolo sulla Fisiopatologia del surrene).
L'essudato, che è il costituente dell'edema infiammatorio, si distingue dal
trasudato per vari aspetti che possono essere sommarizzati nella maniera
seguente:
a) Sotto l'aspetto eziopatogenetico
La formazione dell'edema infiammatorio è provocata dagli agenti flogogeni e
dalla serie di meccanismi da questi innescati e non esclusivamente da uno
squilibrio tra pressione idrostatica e pressione colloidosmotica, in
corrispondenza del microcircolo, come avviene nella formazione del trasudato.
b) Sotto l'aspetto della diversa composizione e di alcune caratteristiche
fisiche e chimiche
L'essudato, che è il materiale semifluido che si accumula nell'interstizio o in
cavità naturali dell'organismo, ha un peso specifico generalmente superiore a
1020 mentre quello del trasudato, qualunque sia stato il meccanismo responsabile
della sua formazione, risulta pressoché costantemente inferiore a 1012.
Principali differenze nella costituzione dei trasudati e degli
essudati. |
||
Parametri | Trasudato | Essudato |
Peso specifico | <1012 | >1020 |
Reazione | Alcalina | Acida |
Contenuto proteico | <2,5 g% | 3-4 g% |
Mucopolisaccaridi | Assenti | Presenti |
Reazione di Rivalta | Positiva | Negativa |
Aspetto Generalmente limpido Generalmente torbido
L'essudato, inoltre, esibisce una reazione acida per il suo contenuto in acido
lattico a differenza del trasudato che ha una reazione alcalina. Nell'essudato
il contenuto proteico (3-4 g%) è sempre superiore a quello del trasudato (< 2,5
g%), anche se non riesce possibile stabilire un limite netto che segni una
demarcazione tra i due tipi di liquido di versamento. Nell'essudato, per di
più, sono presenti in soluzione anche numerose altre sostanze liberate dalle
cellule lesionate (acidi nucleici, fosfolipidi, etc, e soprattutto
mucopo-lisaccaridi acidi derivati dalla sostanza fondamentale del connettivo, in
particolare acido jaluronico) ed in sospensione una popolazione cellulare che
varia in composizione a seconda della natura degli agenti flogogeni e quindi
dei fattori chemiotattici, alcuni dei quali richiamano preferenzialmente
determinati tipi di leucociti. L'aliquota
cellulare è sempre più consistente di quella dei trasudati a causa della
diapedesi leucocitaria (vedi oltre) che costituisce uno dei meccanismi
patogenetici nella formazione degli essudati. La presenza di emazie
nell'essudato è sempre indice di grave danno vascolare, che si può verificare
anche per azione diretta degli agenti flogogeni, come avviene per es. nel caso
delle gravi ustioni.
Il carattere differenziale più significativo sembra essere la presenza negli
essudati di mucopolisaccaridi acidi, tanto è vero che per la rapida diagnosi
differenziale tra i due tipi di liquido di versamento è stata utilizzata la
reazione di Rivalta, consistente nell'aggiunta di qualche goccia di acido
acetico diluito ad un cilindro contenente il campione in esame, che determina la
formazione di un sottile precipitato, che assume la forma di "fumo di
sigaretta", soltanto se in esso sono presenti mucopolisaccaridi acidi.
c) Sotto l'aspetto finalistico
Come descritto nel capitolo sull'Infiammazione e come verrà ricordato anche in
questa trattazione, nel corso del processo infiammatorio, molecole e cellule
ematiche a funzione difensiva passano dal compartimento vascolare in quello
interstiziale per neutralizzare o allontanare gli agenti patogeni ed i detriti
derivati dalla distruzione tissutale ivi concentrati e per dare l'avvio al
processo riparativo ed a quello immunitario.
In particolare, per quanto riguarda questo aspetto, si ritiene che la presenza
di liquido nello spazio extravascolare serva a diluire eventuali tossine
microbiche o prodotti tossici derivati dalla distruzione tissutale ed a
facilitare il loro allontanamento tramite il drenaggio linfatico attraverso il
quale anche gli antigeni vengono veicolati verso le stazioni linfoghiandolari
dove possono essere presentati dalle APC ai linfociti. A questi meccanismi
difensivi si aggiunge anche il fatto che l'ambiente liquido favorisce il
movimento dei PMN e dei macrofagi derivati dai monociti extravasati che
espletano attività fagocitaria. Ulteriori caratteristiche dell'essudato sono la
presenza in esso di fattori del sistema del complemento che insieme alla
cascata coagulativa va incontro ad attivazione sotto l'influenza degli stimoli
flogistici.
In realtà, l'aspetto benefico della formazione dell'essudato, così come quello
del processo infiammatorio nel suo insieme, va riguardato col beneficio
dell'inventario in quanto se la persistenza e l'intensità degli stimoli
infiammatori superano un certo livello anche il fenomeno essudativo, anziché
culminare nella restitutio ad integrimi dell'area colpita, può determinare la
comparsa di manifestazioni patologiche, come avviene, per esempio, con la
formazione di sinecchie cicatriziali che possono subentrare come esito della
formazione di un essudato fibrinoso in una delle cavità naturali dell'organismo.
Gli eventi che, in maniera talora sequenziale e talora sovrapponendosi gli uni
agli altri, coinvolgono il microcircolo nel corso del processo infiammatorio, ed
in particolare di quello acuto, diventano responsabili:
a) delle modificazioni del calibro vasale e del flusso ematico nelle arteriole,
nei capillari e nelle venule,
b) della abnorme permeabilità della parete endoteliale,
c) della fuoriuscita del plasma e di alcuni dei suoi soluti,
d) della adesione dei leucociti all'endotelio e della loro migrazione nei
tessuti.
Nel loro insieme le alterazioni del microcircolo, che determinano la comparsa
dei sintomi cardinali della flogosi acuta (rubor, calor, tumor, dolor e functio
laesa) sono innescate e mantenute dalle azioni delle citochine infiammatorie e
dei mediatori chimici della flogosi. In questo paragrafo pertanto si farà cenno ad
esse soltanto quando il caso lo richieda.
Le modificazioni a carico dei vasi del microcircolo, responsabili della
formazione dell'essudato possono essere classificate nella maniera seguente:
a) Vasodilatazione.
Ha la durata di minuti o di ore ed è dovuta:
1. alla dilatazione delle arteriole preterminali e terminali;
2. al cedimento degli sfinteri precapillari,
3. al maggior numero di capillari che diventano pervii.
I suddetti fenomeni sono provocati da una serie di molecole tra le quali alcune
ad azione rapida e diretta (ad es. istamina, serotonina, prostaglandine) ed
altre ad azione lenta (ad es. IFN-y, TNF-a, PAF, lipopolisaccaridi batterici); sia le une che le altre inducono nelle cellule endoteliali il
rilascio di ossido nitrico (NO), che è un potente vasodilatatore, le prime
stimolando tramite l'incremento del calcio intracellulare la ossido nitrico sinte-tasi costitutiva (cNOS), le seconde, invece, inducendo la sintesi della
ossido nitrico sintetasi inducibile (iNOS). Il rilascio di NO ha una durata
variabile, condizionata dal tipo e dall'intensità degli stimoli flogogeni.
La vasodilatazione è spesso preceduta da una vasocostrizione di brevissima
durata (10-20 secondi fino a non più di qualche minuto), indotta dalla
liberazione di catecolamine da parte della branca simpatica del sistema nervoso
vegetativo, che però non gioca alcun ruolo significativo sul decorso del
processo flogistico, come risulta da numerosi esperimenti dimostranti che questo
si svolge indisturbato anche nei tessuti denervati.
b) Iperemia attiva, cioè aumentato flusso di sangue nel microcircolo, dovuto per
l'appunto alla dilatazione della parete delle arteriole terminali e delle metarteriole, al rilassamento delle venule ed al cedimento degli sfinteri
precapillari, che immette sangue in capillari fisiologicamente chiusi (donde i
sintomi calar e rubor). Dura anch'essa da alcuni minuti ad alcune ore in
rapporto all'entità degli stimoli infiammatori.
c) Iperemia passiva, che subentra a quella attiva e consiste nel rallentamento
della velocità del sangue nel microcircolo, che può culminare nella stasi. Di
essa sono responsabili:
1. L'aumento della superficie del letto circolatorio capillare, che tende a
rallentare il flusso ematico, la cui velocità era invece aumentata nel corso
della precedente iperemia attiva.
2.L'aumento della viscosità del sangue, causato in parte dall'aggregazione dei
globuli rossi ed in parte dall'essudazione, cioè dalla fuoriuscita della parte
liquida del sangue e di parte delle molecole in essa disciolte, quali le
albumine, che attraversano la parete endoteliale in quantità superiore a quella
delle globuline e del fibrinogeno. Tutto ciò comporta una emoconcentrazione
nel distretto interessato. Si ricordi a questo proposito che la velocità del
flusso ematico nei vasi è inversamente proporzionale alla viscosità del sangue,
il cui aumento dipende in gran parte dalla concentrazione eritrocitaria.
d) Incremento della "pressione netta filtrante", che
consegue sia al rallentamento del flusso ematico che alla riduzione endoluminale
della pressione colloidosmotica causata dalla extravasazione di una aliquota
delle proteine plasmatiche.
e) Modificazioni nella distribuzione delle cellule ematiche durante il percorso
nel lume vasale del microcircolo
Fisiologicamente nel sangue circolante gli eritrociti occupano una posizione
centrale (rivulus centralis), mentre i leucociti sono in gran parte (secondo
alcuni per ben l'80%) distribuiti marginalmente in corrispondenza della parete
vascolare, alla quale sono in una piccola parte adesi (rivulus perifericus) e
dalla quale possono facilmente distaccarsi. Responsabile della macinazione
fisiologica dei leucociti è l'espressione costitutiva da parte degli
endoteliociti di molecole di adesione intercellulare in particolare di 1CAM-1 e
ICAM-2 (Inter Cellular Adhesion Molecules) e V-CAM (Vascular Celi Adhesion
Molecules), che trovano specifici ligandi sulla superficie dei leucociti.
L'iperemia attiva non modifica sostanzialmente la distribuzione delle cellule
nel sangue che scorre nel microcircolo, ma contribuisce, come si è detto, ad
aumentare la velocità del flusso ematico ed a dare inizio alla fuoriuscita del
plasma nel compartimento extravascolare. Non appena subentra l'iperemia passiva,
la vasodilatazione persiste, ma il flusso ematico rallenta sia per il persistente aumento di superficie e di calibro
del letto capillare, aggravato dal cedimento degli sfinteri precapillari, sia a
causa dell'aumentata viscosità del sangue. In queste condizioni, e soprattutto
quando interviene la stasi, la distribuzione delle cellule ematiche si modifica
nel senso che gli eritrociti tendono ad impilarsi l'uno nell'altro formando
agglomerati che possono anche determinare un rallentamento fino all'arresto del
flusso. Si ritiene che l'impilamento o aggregazione
degli eritrociti sia dovuto all'esaltazione della loro adesività causata
dall'aumentata relativa concentrazione di alcune proteine plasmatiche, in
particolare globuline e fibrinogeno, che consegue alla iniziale formazione
dell'essudato nel quale sono prevalentemente presenti le albumine, che hanno un
più basso peso molecolare.
I leucociti tendono sempre più a scorrere in prossimità degli endoteliociti
della parete vascolare (marginazione leucocitaria) per poi aderire, sia pure in
parte, ad essa (adesione leucocitaria). L'adesione dei leucociti alla parete
endoteliale e la loro marginazione sono, invece, causate dall'aumentata
espressione sulla superficie degli endoteliociti delle molecole di adesione
costitutivamente da essi espresse ed anche dall'espressione graduale di altre
molecole adesive, fisiologicamente non espresse o trattenute nel citoplasma,
quali rispettivamente le selettine E e P, che vengono riconosciute dai
leucociti ed in particolare dai neutrofìli, dai monociti e dai linfociti T. Alla
marginazione leucocitaria contribuisce anche la selettina L, espressa però dai
neutrofìli, dai monociti e da diversi linfociti circolanti. Per la descrizione
dettagliata delle basi molecolari di questo fenomeno si rimanda al Si
ricorda che tra gli stimoli che bersagliano l'endotelio, quelli indotti dalla
interazione delle citochine infiammatorie IL-1 e
TNF-alfa con i relativi recettori sono responsabili dell'espressione delle
molecole adesive.
f) Aumento della permeabilità capillare e diapedesi leucocitaria.
L'istamina, liberata dai mastociti tissutali ed anche dai basofili ematici,
interagisce coi recettori H1 espressi sulla superficie delle cellule
endoteliali e stimola gli elementi contrattili del loro citoscheletro, che si
contraggono determinando una retrazione del citoplasma a cui consegue la
dilatazione delle giunzioni intercellulari, che in condizioni fisiologiche
sono, invece, molto strette in modo da impedire qualsiasi tipo di stravaso
ematico. L'azione dell'istamina è di breve durata e, difatti, la retrazione
citoplasmatica e la conseguente dilatazione delle giunzioni intercellulari sono
in un secondo momento mantenute ed amplificate dall'azione delle citochine
proflogistiche IL-1, TNF-alfa e IFN-y.
I suddetti fenomeni incrementano la permeabilità capillare e consentono ai
leucociti di introdursi attraverso gli spazi intergiunzionali dilatati e di
raggiungere il compartimento extravascolare. Il termine diapedesi deriva dal
greco e significa per l'appunto "passo attraverso". Il
richiamo dei leucociti in territorio extravascolare è effettuato, oltre che
dalle chemochine, da diversi fattori chemiotattici, che sono sia di origine
microbica che plasmatica e tissutale. Sono anche definiti citotassine ed alcuni di essi
derivano da precursori (citotassinogeni).
I fattori chemiotattici, interagendo con i recettori di membrana espressi dai
leucociti, stimolano l'attività contrattile del loro citoscheletro ed
indirizzano il movimento di queste cellule secondo un gradiente di
concentrazione, cioè verso il sito in cui essi stessi sono stati liberati e,
quindi, presenti, in maggiore concentrazione.
Richiamate dalle chemochine e dagli altri fattori chemiotattici, numerosissime
cellule di provenienza ematica si accumulano nel focolaio flogistico, dove
svolgono svariate funzioni, tra le quali le più significative sono:
a) la produzione di citochine che contribuiscono alla genesi, alla modulazione
ed, infine, alla risoluzione del processo infiammatorio;
b) la connessione tra le cellule dell'immunità innata e dell'infiammazione e
quelle dell'immunità specifica;
c) l'eliminazione di molti agenti flogogeni e dei detriti tramite il processo
della fagocitosi.
Riassumendo, la formazione dell'essudato può essere riguardata come l'epilogo
di una serie di svariati eventi, innescati da citochine, chemochine e mediatori
chimici, che si aggiungono al semplice aumento della pressione netta filtrante,
che è invece in maniera esclusiva responsabile della formazione del trasudato.
Si distinguono vari tipi di essudato (sieroso, siero-fibrinoso, catarrale o
mucoso, mucopurulento, purulento, emorragico, necrotico-emorragico, allergico),
ognuno caratteristico di una determinata forma di infiammazione acuta.
Il processo infiammatorio, e con esso i fenomeni vascolo-ematici che lo
caratterizzano, vanno incontro a risoluzione, oltre che per la neutralizzazione
o per l'allontanamento degli agenti eziologici che determinano gradualmente la
cessazione dell'innesco dei meccanismi patogenetici suddetti, anche per l'intervento
di alcune molecole che assumono il ruolo di veri e propri agenti
antiinfiammatori. Tra questi un ruolo rilevante è assunto dalle lipossine A4 e
B4, come descritto nel capitolo sull'Infiammazione a cui si rimanda.
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