Le cellule comunicano tra loro.
Una classica cellula presenta il nucleo, i mitocondri, il reticolo endoplasmico rugoso (RER) e i vari altri organuli cellulari. La cellula ha una membrana cellulare e grazie a questa evita che tutte le sostanze tossiche entrino al suo interno. Ma non è sempre così. Le malattie e i processi morbosi sono stati classificati in regressivi e degenerativi. I processi regressivi sono quelli che riguardano il metabolismo cellulare. In modo particolare, il metabolismo dei lipidi porta ad una malformazione detta degenerazione grassa e conosciuta come steatosi.
La microscopia ottica ha consentito di osservare alterazioni cellulari rappresentanti l'espressione del danno subito dalle cellule. Queste sono indicate come processi morbosi e possono essere distinte in
Processi morbosi regressivi
Processi morbosi degenerativi
I Processi regressivi comprendono modificazioni morfologiche sempre successive ad alterazioni biochimiche e pertanto sono considerate "alterazioni del metabolismo"
Abbiamo:
degenerazione grassa e tesaurismosi per alterazioni del metabolismo lipidico;
degenerazione vacuolare e rigonfiamento torpido per alterazioni del metabolismo
idrico e salino
ialinosi ed amiloidosi per alterazioni del metabolismo proteico
glicogenosi per alterazioni del metabolismo dei carboidrati
Il termine fu introdotto da Virchow per indicare un accumulo abnorme di
lipidi, visibili al microscopio, in cellule parenchimali che normalmente ne
contengono quantità limitate. Virchow distinse due tipi di steatosi:
1.La infiltrazione caratterizzata dalla presenza di una sola goccia di grasso
nel citoplasma
2.La degenerazione caratterizzata da numerose e piccole gocce.
Per steatosi si intende una degenerazione cellulare detta degenerazione
grassa in cui si ha accumulo di lipidi all'interno della cellula. Secondo Virchow le steatosi sono dovute a due fattori: infiltrazione e degenerazione.
L'infiltrazione è dovuta alla presenza di una sola goccia di grasso, mentre la
degenerazione è causata da tante piccole gocce lipidiche. La steatosi può
colpire vari organi infatti secondo Virchow tutte le cellule dell'organismo
possono essere interessate da steatosi. Gli organi più colpiti comunque sono il
fegato, il rene e il cuore.
Il fegato steatotico è caratterizzato da un colore brillante e da un aumento di volume. Nel caso di steatosi è possibile contemplare una fase in cui la lesione può essere reversibile oppure irreversibile. Se c'è la reversibilità si può guarire, altrimenti si passa ad uno stato successivo, con deposizione di tessuto fibroso, e da qui il processo procede verso la cirrosi e all'epatocarcinoma con morte cellulare. Le cause che possono procurare steatosi sono ipossia, errata alimentazione, malattie cachetizzanti, diabete, digiuno, si verifica un aumento della mobilitazione degli acidi grassi. Il cortisone ha il compito di rimuovere i depositi di grasso e quindi aumenta la lipolisi a livello epatico. Per quanto riguarda le sostanze tossiche si sa di alcuni elementi come ad esempio il tetracloruro di carbonio.
La steatosi nasce perché o si formano trigliceridi in eccesso o perché non
si formano le lipoproteine, la cui quantità è importante per consentire il
trasporto di colesterolo e grassi. Questi sono i casi che possono portare a
patogenesi della steatosi:
-dislipidemia
-diabete
-ipertensione
-obesità
-steatosi non alcolica
-insulino resistenza
La causa principale di steatosi è la dislipidemia, cioè la concentrazione di
grassi perché l'accumulo di grassi nella cellula è dovuto soprattutto ad un
enorme accumulo di trigliceridi. I grassi arrivano all'intestino in forma di
chilomicroni che attraverso un enzima detto lipoproteinchinasi si trasformano in
acidi grassi e remnants. A livello epatico tali grassi vengono sintetizzati in
LPL, poi VLDL e poicome LDL e vanno ai tessuti come HDL. La dislipidemia nasce
quando il ritorno dei grassi dai tessuti al fegato non viene convogliato come si
deve. La mancanza di questi recettori fa siche le LDL non vengano captate ma si
vadano a depositare nelle arterie che dovrebbero essere pulite dall'HDL.
Sono processi patologici nel corso dei quali si ha accumulo di lipidi,
generalmente trigliceridi, in cellule dove non è normalmente possibile metterli
in evidenza con le comuni tecniche istochimiche; l'accumulo di trigliceridi è
dimostrabile anche con metodi chimici quantitativi.
Le cellule contengono gocce sudanofile più o meno voluminose, secondo il grado
di sviluppo del processo disposte in modo diverso in rapporto alla
morfologia propria della cellula: tra il polo basale e il nucleo nel rene, dove
però in stadi avanzati finiscono per distribuirsi in tutto il citoplasma; in
file longitudinali relativamente ordinate nelle fibrocellule del miocardio; in
forma macrovescicolare, con epatociti distesi da un singolo vacuolo che sposta
il nucleo alla periferia, o microvescicolare, con numerose gocciole che
circondano un nucleo centrale, nel fegato.
Un'estesa steatosi microvescicolare è caratteristicamente una condizione acuta
nella quale l'impedimento della β-ossidazione degli acidi grassi
riflette un
più generale perturbamento delle funzioni mitocondriali, ad esempio in
condizioni di ipossia stagnante. Indipendentemente dall'eziologia si ritiene che
la steatosi microvescicolare abbia una prognosi infausta e preluda a morte, sia
per insufficienza epatica che per cause extraepatiche.
La steatosi macrovescicolare, al contrario, è tipicamente associata ad un
disturbo di lunga durata ma reversibile, cessando le condizioni che l'hanno
provocato, del metabolismo epatico dei lipidi; fino a poco tempo fa è stata
considerata una condizione essenzialmente benigna.
La steatosi macrovescicolare, con diversa eziologia, può in alcuni casi esitare
in forme più gravi di malattia, come la steatoepatite e la cirrosi.
In base alla prima parte della definizione, non dobbiamo comprendere fra le steatosi l'aumento della quantità di grasso negli adipociti o il reclutamento di nuove cellule nel "pool" di questi ultimi, fenomeni che si verificano in condizioni di obesità.
Vedremo tuttavia che l'obesità e le condizioni del
metabolismo ad essa legate possono portare a steatosi epatica.
La definizione esclude dalle steatosi la semplice "apparizione" di grasso (lipofanerosi),
che si libera dalle strutture cellulari senza aggiungersi quindi al normale
contenuto cellulare e che accompagna la morte delle cellule; esempio tipico di
lipofanerosi è la evidenziazione di grasso nei leucociti polimorfonucleati
dell'essudato purulento.
Le steatosi da trigliceridi (TG) sono generalmente provocate da cause esogene, come esposizioni ad agenti vari o carenze di fattori diversi o da squilibri metabolici, quali quelli che si verificano nell'obesità o nel diabete; ma esistono almeno due tipi di steatosi che sono geneticamente determinate; il morbo di Wolman e la abetalipoproteinemia.
Nel primo caso, che colpisce sia gli istiociti che le cellule parenchimali del fegato, si tratta di una tipica malattia ereditaria lisosomiale, dovuta ad una deficienza di lipasi acida. Nel secondo caso, in una forma che nell'infanzia colpisce le cellule della mucosa intestinale con sindromi da malassorbimento dei grassi, si ha un difetto geneticamente determinato della sintesi delle apolipoproteine (apo) B: queste dovrebbero fisiologicamente combinarsi con i TG per veicolarli fuori dalla cellula e immetterli nel circolo linfatico sotto forma di chilomicroni.
Le cellule della mucosa intestinale, infarcite di lipidi, divengono incapaci di
assorbire altri grassi, che restano inalterati nell'intestino e vengono quindi
eliminati con le feci (steatorrea). Più recentemente un'altra forma di steatosi,
in questo caso epatica dato che il gene è espresso prevalentemente nel fegato, è
stata associata alla carenza ereditaria di apo E che entra nella costituzione
dei chilomicroni, delle VLDL delle IDL e anche di certe sottoclassi di HDL.
Studi recenti hanno rivelato che la apo E non è solo implicata nella "clearance"
delle lipoproteine ma anche nel controllo della loro secrezione da parte del
fegato, che è l'unica forma di eliminazione dei trigliceridi epatici. Una
carenza relativa di apolipoproteina potrebbe inoltre rendere il fegato più
vulnerabile all'azione di agenti steatogeni esogeni.
La pratica sempre più frequente dell'ecografia ha messo in evidenza steatosi
epatica in un numero assai elevato di soggetti per lo più clinicamente
asintomatici. Spiegano questa elevata frequenza:
a) il ruolo particolare del fegato nel ciclo dei TG e nella sintesi delle
lipoproteine, che sono la forma di eliminazione dei trigliceridi dal fegato;
b) la molteplicità delle sue attività metaboliche e le sue funzioni di
biotrasformazione;
c) la sua particolare vascolarizzazione, sia nel senso già accennato a proposito
della degenerazione vacuolare che per la sua esposizione ad agenti tossici
steatogeni esogeni ed endogeni di provenienza gastrointestinale.
1) Aumento di arrivo dei NEFA.
2) Aumento della sintesi endogena dei NEFA.
3) Diminuzione dell'ossidazione dei NEFA.
4) Diminuzione della sintesi dei fosfolipidi.
5) Aumento di arrivo dei trigliceridi (come chilomicroni) ed aumento della sintesi endogena.
6) Dieta carente di proteine.
7) Diminuzione della sintesi proteica.
8) Inibizione dell'assemblaggio delle proteine. 9)
Inibizione della secrezione delle lipoproteine.
La particolare frequenza delle steatosi epatiche non deve tuttavia far
dimenticare che le steatosi possono in realtà colpire tutti gli organi e che,
ad esempio, le steatosi del rene e del miocardio sono anch'esse frequenti e
rilevanti dal punto di vista medico. Ad un diverso atteggiamento del metabolismo
lipidico nei vari organi corrisponde, naturalmente, anche un
diverso meccanismo patogenetico di steatosi; questo porta ad aspetti finali
simili solo perché la risposta cellulare ha una limitata capacità di
espressione, rispetto alla varietà dei meccanismi che la provocano.
Al di là di
queste distinzioni possiamo individuare comunque un elemento unificante: un
sovraccarico assoluto o relativo, esogeno o endogeno, di TG e la effettiva
capacità della cellula di metabolizzarli.
Una cellula può essere confrontata con una quantità di lipidi superiore alla
norma, in modo tale da saturare anche le sue riserve funzionali di smaltimento
lipidico; d'altra parte una quantità di lipidi normale, o ipoteticamente anche
inferiore alla norma, può essere eccessiva per una cellula più o meno
gravemente lesa.
Il primo caso può avere due aspetti in quanto la cellula può ricevere una
quantità di grassi aumentata, ovvero può contribuire essa stessa a fabbricarli
in misura maggiore del normale per qualche alterazione intrinseca della
regolazione del metabolismo lipidico. Il secondo caso esprime l'esistenza di un
vero danno cellulare di cui la steatosi è, in definitiva, un epifenomeno
rivelatore.
Un pasto ricco di lipidi è per il fegato un bombardamento di TG. Non esiste una vera e propria condizione di sofferenza della cellula, ma la presenza continua di TG ingombranti, anche dal punto di vista topografico, sembra possa arrecare all'epatocita danni funzionali e ultrastrutturali che tendono a divenire permanenti. Allo stesso effetto di accumulo intracellulare di trigliceridi si giunge per aumentata mobilizzazione dei lipidi dei depositi adiposi. Una tipica steatosi di questo genere si verifica nei diabetici, nei quali la lipolisi è attivata e la lipemia si mantiene elevata per carenza di insulina. Steatosi epatica si verifica quando acidi grassi liberi, rilasciati nel quadro della insulinoresistenza e della sindrome metabolica, sono assunti dal fegato. Esistono condizioni in cui il sovraccarico lipidico nasce all'interno della stessa cellula epatica per un'aumentata formazione di acidi grassi (AG). La sintesi ex novo degli AG nel fegato è regolata dal glucosio e dall'insulina. L'aumentata lipogenesi può causare due ordini di alterazioni metaboliche che portano all'aumento intracellulare dei TG. La prima è diretta per aumentata sintesi di questi ultimi; la seconda è indiretta per aumentata produzione di malonilCoA, che inibisce la carnitinpalmitoil trasferasi1 e l'ingresso degli AG nei mitocondri riducendo la β-ossidazione, come vedremo, e aumentando così l'accumulo di AG e TG. La sintesi degli AG a partire dall'acetil-CoA è anche decisamente e precocemente aumentata negli animali tenuti a dieta carente di acidi grassi poliinsaturi, che il fegato non sa sintetizzare. Questo incremento di sintesi di AG, destinati a essere convertiti in TG in eccesso rispetto alla capacità di smaltimento dell'epatocita, è verosimilmente dovuto ad un mancato controllo metabolico, di tipo inibitorio, legato alla carenza di acidi grassi poliinsaturi e che comporta anche una variazione di composizione dei lipidi delle membrane cellulari. Analogo aumento della sintesi degli acidi grassi a partire dall'acetil-CoA è stato descritto nel corso di trattamento con barbiturici dove, in concomitanza alla ben conosciuta induzione degli enzimi detossicanti microsomiali e alla ipertrofia del reticolo endoplasmico liscio, si può osservare una steatosi, più evidente nelle femmine. Sovraccarico di AG nell'epatocita si verifica per loro ridotta ossidazione, che avviene essenzialmente nei mitocondri e in minor misura anche nei perossisomi (per gli AG a catena molto lunga) e nel reticolo endoplasmico. Danni a queste ultrastrutture cellulari provocano necrosi, vacuolizzazione e rigonfiamento cellulare ai quali si può aggiungere steatosi.
Diete ipoproteiche possono provocare steatosi, che nelle forme di carenza
proteica pura colpiscono essenzialmente la periferia del lobulo epatico. La
ridotta disponibilità di aminoacidi alimentari riduce le dimensioni del loro
"pool" preproteico, essenziale per la sintesi di apolipoproteine, enzimi e
membrane, ad esempio del RE coinvolti nello smaltimento dei trigliceridi.
Una steatosi di questo tipo si osserva nel Kwashiorkor, sindrome complessa da
carenza alimentare frequente nei paesi sottosviluppati: diete costituite da
proteine vegetali, di composizione molto diversa da quelle umane, portano ad uno
squilibrio di questo "pool" e riducono la capacità di sintesi proteica
nell'uomo. Anche un eccesso di alcuni aminoacidi, soprattutto in condizioni di
carenza relativa di altri, può provocare o aggravare una steatosi.
D'altra parte alcuni aminoacidi, di cui la metionina è l'esempio più tipico,
antagonizzano l'accumulo e favoriscono l'eliminazione del grasso dal fegato; per
questo si dice che hanno azione lipotropa. L'azione lipotropa della metionina si
fonda sulle sue proprietà di donatore di metili, capace di attivare la sintesi
endogena della colina: quest'ultima è essenziale per la sintesi dei fosfolipidi
e quindi per la formazione della micella lipoproteica, dove i fosfolipidi hanno
funzioni di legame tra i TG e le proteine.
E' così comprensibile come la carenza di colina possa essere steatogena. La
carenza di colina, rallentando la formazione di citidindifosfato colina, può
anche deviare il metabolismo degli AG dalla via della sintesi dei fosfolipidi a
quella della formazione dei TG. Così la carenza di colina può contribuire alla
steatosi anche accelerando la sintesi dei lipidi, oltre ad interferire con la
loro eliminazione dalla cellula epatica. L'attivazione della sintesi endogena
di metili, ottenuta con forti dosi di vitamina B12, può antagonizzare la
steatosi da carenza di colina. Reciprocamente in carenza di vitamina B12 può
insorgere steatosi perché la quota seppur piccola di metili, sintetizzati
normalmente dall'organismo, deve venire coperta dalla introduzione di metili
con la dieta.
Date le prevalenti modalità di eliminazione dei TG dal fegato, sotto forma di
lipoproteine, ogni inibitore della sintesi proteica dovrebbe provocare steatosi
epatica.
In realtà con molti inibitori della sintesi delle proteine non si riesce a
raggiungere in vivo una concentrazione efficace, si provocano lesioni cellulari
di tipo essenzialmente necrotico o si blocca la mobilizzazione degli acidi
grassi dai depositi periferici che, per ragioni già discusse, è necessaria per
l'insorgenza della steatosi. Alcuni inibitori della sintesi delle proteine
sono, però, fra i più importanti steatogeni sperimentali, spesso implicati
anche in episodi gravi della patologia umana: la loro azione biochimica può
esercitarsi su tappe diverse della sintesi delle proteine. Una delle steatosi
di grado più elevato riscontrabile nell'uomo è conseguente all'avvelenamento per
ingestione del fungo Amanita phalloides. Principi tossici diversi spiegano i
sintomi gastroenterici delle prime fasi dell'intossicazione: l'amanitina è il
veleno steatogeno principale. Il suo meccanismo d'azione è nucleare; essa
inibisce essenzialmente la RNA polimerasi che sintetizza i precursori degli RNA
messaggeri.
Esauriti i preesistenti messaggeri citoplasmatici dell'apolipoproteina, esaurite
le scorte di quest'ultima e, quindi, parecchie ore dopo l'inizio dell'intossicazione,
i TG epatici non trovano più molecole proteiche per la formazione delle
lipoproteine e cominciano ad accumularsi negli epatociti.
Un'interpretazione sostanzialmente simile può essere data per la steatosi da
aflatossine, veleni elaborati dall'Aspergillus flavus quando cresce su arachidi
o cereali conservati impropriamente a temperature e gradi di umidità elevati.
L'aflatossina più importante per la sua tossicità è la aflatossina B, che nei
nostri paesi ha finora prevalentemente causato una patologia aviaria, da
mangimi contaminati, caratterizzata da steatosi, da necrosi epatica e renale e
da fenomeni emorragici gastroenterici. Nei paesi sottosviluppati fenomeni di
questo tipo, riconducibili all'avvelenamento con anatossina, sono stati
descritti anche nell'uomo; la patologia prevalente non è però la steatosi, che
è propria dell'avvelenamento acuto, ma il cancro primitivo del fegato dovuto
all'azione ripetuta di piccole dosi del veleno.
La steatosi da veleni ambientali: il modello del tetracloruro di carbonio
La steatosi da tetracloruro di carbonio (CCl4) è uno dei modelli sperimentali
più studiati e ha fornito elementi preziosi per l'interpretazione delle steatosi
in genere.
Nella patologia spontanea il CCl4 può agire per via inalatoria e per via
transcutanea. Sperimentalmente, somministrato per sonda gastrica al ratto il CCl4 provoca una steatosi già
evidente un'ora dopo la somministrazione. Perché questa sostanza possa agire è
necessaria una trasformazione metabolica (attivazione), che si verifica nel
reticolo endoplasmico liscio (SER). Nel SER il CCl4 viene scisso in maniera
omolitica con la formazione dei radicali liberi CCl3 (clorometile) e di CI. La
presenza del radicale CCl3, fortemente reattivo, determina una catena di
reazioni che danneggiano gravemente le cellule e che vanno sotto il nome di lipoperossidazione.
La lipoperossidazione è particolarmente dannosa per una duplice serie di motivi:
a) le membrane subiscono un danno molecolare che comporta inattivazione di
enzimi, con conseguenti difetti biochimici, nonché alterazioni strutturali,
fino a vere e proprie soluzioni di continuo delle membrane; poiché le membrane
più precocemente colpite sono quelle stesse in cui si formano i radicali
derivati dal CCl4 (che tra l'altro sono anche le membrane cellulari più ricche
di acidi grassi poliinsaturi) si capisce perché l'operazione di assemblaggio
delle lipoproteine, che si perfeziona nel RE, sia la funzione più precocemente
colpita, ma successivamente sono anche bloccate la sintesi delle proteine e le
ossidazioni mitocondriali;
b) la lipoperossidazione provoca anche la formazione di composti idrosolubili e,
quindi, facilmente diffusibili fra i quali aldeidi molto reattive verso
molecole e strutture anche lontane dalla primitiva sede di perossidazione. Se
la lipoperossidazione spiega la patologia del RE, nella sede della conversione
metabolica del composto tossico, la formazione di queste aldeidi rende conto
della generalizzazione successiva del danno all'intera cellula. Su queste basi
si interpreta l'azione protettiva delle sostanze antiossidanti, che
antagonizzano la lipoperossidazione, e dei composti sulfidrilati, che
reagiscono con le aldeidi impedendo la loro azione sui gruppi SH degli enzimi.
Attualmente si ritiene che la lipoperossidazione sia causa della necrosi degli
epatociti, che si evidenzia ad una certa distanza di tempo dal trattamento
sperimentale. La cloroalchilazione, cioè la formazione di legami covalenti fra
il radicale CCl3 e proteine o acidi nucleici sarebbe la causa prima della
steatosi che compare già ad 1 ora dalla somministrazione di CCl4:
questo modello sperimentale rappresenta un paradigma del meccanismo d'azione di
numerose sostanze di uso industriale, che possono diffondere nell'ambiente. Le
aldeidi che si formano nei processi di lipoperossidazione possono inibire la
tubulina. Ma l'inibitore più tipico della polimerizzazione della tubulina è la
colchicina, steatogena in vivo e su cellule epatiche isolate.
Quella da etanolo è la forma più importante che si associa a processi regressivi
fino alla necrosi delle cellule epatiche, attraverso una infiammazione che
prende il nome di epatite alcolica. L'alcol una volta assunto viene
metabolizzato nel fegato attraverso la via del MEOS, localizzato nel SER. i
prodotti che ne derivano sono l'acetaldeide AA ed il NADH. Ne deriva la
formazione di cofattori ridotti che sbilancia la situazione ossido-riduttiva del
fegato: è facilitata la formazione di diidrossiacentofosfato a
glicerolo-3-fosfato con aumento della concentrazione dell'acetil-CoA col
risultato di avere una sintesi di acidi grassi. Del resto l'alcool ha un valore
energetico notevole, ma il fatto che l'alcolista abbia una dieta povera di
proteine, ciò è causa di ulteriore danno epatico ed accumulo di grasso. Inoltre
un ruolo notevole è svolto dalla AA che inibisce la sintesi proteica e svolge
azione tossica sulle cellule attraverso la formazione di ROS o radicali liberi.
Le cellule alterate presentano i corpi di Mallory, costituiti dalla sostanza
ialina alcolica. La variabile incidenza di questa patologia nella popolazione dei bevitori fa
pensare ad una diversa suscettibilità su base genetica, dipendente da un certo
numero di geni, ciascuno dei quali gioca un piccolo ruolo, ingrandito dalla
loro possibile somma. Importanti sono i geni degli enzimi del metabolismo
dell'etanolo e dello stress ossidativo. La SOD 2 è particolarmente importante
nella epatopatia alcolica, in quanto è coinvolta nelle difese antiossidanti e
protegge i mitocondri dal danno lipoperossidativo.
Un certo numero di pazienti nei quali si riscontra steatosi epatica
all'ecografia non hanno mai ecceduto nell'uso di bevande alcooliche. Questa
forma che si definisce come NAFLD è clinicamente inapparente ed è comunque la
prima causa di anormalità nei test ematochimici di funzionalità epatica nei
giovanissimi e la seconda/terza causa negli adulti. Le lesioni patologiche e la
storia naturale della NAFLD probabilmente riflettono un processo complesso
multifattoriale nel quale possono aver importanza fattori genetici. Recentemente
si è dimostrato che alcuni geni che contribuiscono alla compromessa sensibilità
all'insulina erano sovraespressi nel fegato di questi pazienti, mentre altri
geni importanti per il mantenimento della funzione mitocondriale erano
sottoespressi. In molte persone questa steatosi resta isolata: in altre si
sviluppano lesioni epatiche che assomigliano, comunque con minor gravità, a
quelle osservate nella epatite alcoolica e integrano il quadro di una steatoepatite non alcolica (NASH). Il fegato steatosico è un reperto comune in
soggetti con diabete di tipo II e obesità; parecchi dati indicano la NAFLD come
un aspetto della sindrome da insulinoresistenza. La NAFLD non dovrebbe quindi
venir considerata una malattia primitiva del fegato, ma piuttosto come parte di
una malattia metabolica multifattoriale che ha l'insulinoresistenza come
comune fattore primario in aggiunta a obesità, ipertensione, elevati livelli di
TG e basso livello di colesterolo HDL nel sangue. Il ruolo della adiposità
splancnica è cruciale come sorgente di TG che portano a steatosi. Sebbene
l'associazione fra NAFLD e insulinoresistenza sia comunemente accettata, è
tuttavia discusso se sia quest'ultima a causare un eccessivo accumulo di TG o se
sia l'aumento di questi, o di loro intermedi metabolici, a contribuire all'insulinoresistenza.
Nei pazienti con NASH sono state dimostrate lesioni biochimiche e
ultrastrutturali dei mitocondri: queste lesioni non sono oggi completamente
spiegabili ma si ritiene che, separatamente o a cascata, possano esserne
responsabili gli AG non esterificati, i prodotti della lipoperossidazione e il
TNFa.
A questo proposito
a) gli AG non esterificati disaccoppiano le fosforilazioi ossidative: questa
condizione, che si accompagna genere ad aumentato consumo di ossigeno, porta ad
u aumento della produzione dei ROS, i quali a loro volta
b) fanno diminuire la concentrazione di antiossidanl ed innescano la
lipoperossidazione e
c) mediano il rilascio di TNFa dalle cellule di Kupffer citochine infiammatorie
vengono rilasciate anche dagli epatociti steatosici, amplificando possibilmente
il loro effetto attraverso l'attivazione delle cellule di Kupffer. Questi fatti
sembrano orientare verso l'idea che gli AG, e non i TG, siano tossici per il
fegato: al contrario, la sintesi di TG potrebbe proteggere il fegato dalla
tossicità da AG, tamponando il loro accumulo. Se si inibisce la sintesi dei TG,
gli AG tendono ad accumularsi e stimolando i sistemi ossidativi aumentano lo
stress ossidativo e il danno epatico. Quando i pazienti obesi o sovrappeso
intraprendono una dieta severa o digiunano per perdere peso, aumentano la
lipolisi e il rilascio degli AG non esterificati: inoltre il digiuno può anche
causare deplezione di glutatione con concomitante rischio di lipoperossidazione
e rilascio di TNFa. Questi rischi si verificano anche quando nei grandi obesi
si ricorre al bypass digiunoileale o alla gastroplastica. I ratti Zucker
fa/fa ei topi ob/ob obesi, con insulinoresistenza, sviluppano steatosi e sono
particolarmente vulnerabili al danno da lipopolisaccaridi batterici
(endotossina); ROS e TNFa sono aumentati nel fegato di questi animali. I
fenomeni rilevati nella NASH sembrano dire che la semplice prolungata presenza
di lipidi nell'epatocita può innescare ulteriori fenomeni patologici.
Abbiamo considerato finora vari aspetti delle steatosi epatiche: nella maggior
parte dei casi esse sono dovute a difetti di sintesi o di secrezione delle
lipoproteine, che rappresentano la via più importante del metabolismo dei
trigliceridi in questo organo. Tuttavia un tipo di steatosi epatica è stato
interpretato con un meccanismo almeno parzialmente diverso: la steatosi da
ipossia dipende verosimilmente da un difetto ossidativo. La carente
ossidazione degli acidi grassi gioca senza dubbio un ruolo predominante nelle
steatosi che si verificano in numerosi organi (miocardio, rene, ecc.) in
condizioni di ridotta fornitura di ossigeno. Nel muscolo scheletrico l'accumulo
di trigliceridi è di osservazione assai frequente nelle cosiddette "miopatie
lipidiche". La steatosi del miocardio accompagna le anemie, varie condizioni di
insufficiente irrorazione sanguigna dell'organo e danni tossici, come quello da
tossina difterica. Nel rene, accanto all'ipossia. sono steatogeni la carenza di
colina e avvelenamenti diversi; la steatosi è qui spesso associata ad altri
tipi di lesioni, fino alla necrosi, che per la particolare struttura dell'organo
assume il carattere di necrosi emorragica.