A CURA DEL DOTT. D'ARRIGO GIOVANNI (info giovanni.dar@alice.it)
Centro Diurno di Assistenza Semiresidenziale Malattia di Alzheimer e
Demenza-Messina.
Le demenze, in particolare la
Malattia di Alzheimer, hanno assunto, e
sempre piùlo faranno nel futuro, dimensioni epidemiologiche e cliniche tali da
farle definire da alcuni "l'epidemia silente del nostro secolo", con riflessi pure
sulla rilevanza sociale di esse e maggiore interesse da parte dei media, quindi
non solo più argomento in sedi scientifiche: ciò ha comportato
Dott. Giovanni D'Arrigo |
una maggiore attenzione al problema, alla sofferenza dei pazienti e familiari e caregivers e all'organizzazioni dei servizi.
Attualmente l'offerta di servizi si è ampliata con la realizzazione di Centri Diurni Alzheimer (CDA). Si ritiene che il CDA rappresenti uno strumento efficace perché ostacola l'istituzionalizzazione dei pazienti attraverso "il mantenimento delle capacità residue, il controllo dei problemi comportamentali, il miglioramento dell'autonomia personale, il recupero con programmi di riabilitazione funzionale e psichica, il sostegno alla famiglia ( Piano Sanitario Nazionale 2010)". Il decreto 29 novembre 2001 sui Livelli essenziali di assistenza (LEA) ha identificato l'assistenza semiresidenziale come un livello essenziale che ogni territorio deve garantire agli anziani non autosufficienti.
I centri diurni
perseguono i seguenti obiettivi:
1) favorire la permanenza a domicilio dell'assistito;
2) garantire l'erogazione di prestazioni sanitarie e di riabilitazione atte a
mantenere le condizioni di autonomia e a rallentare il processo di decadimento
fisico e psichico;
3) perseguire il benessere fisico e relazionale attraverso un miglioramento
delle condizioni di vita;
4) promuovere il sostegno alla famiglia nella gestione dell'assistito totalmente
o parzialmente non autosufficiente.
Il CDA è luogo ideale, per l'osservazione diretta continuata dei pazienti e le verifiche periodiche, nell'identificazione delle principali sindromi geriatriche, intendendo come tali quelle "condizioni patologiche tipiche dell'anziano che tendono a presentarsi in maniera ricorrente nella storia clinica del paziente (Inouye SK, et al.)" .
Le principali sono: cadute, lesioni da pressione, malnutrizione, delirium, incontinenza urinaria e dolore cronico.
All'immissione al Centro Diurno viene condotta una attenta valutazione della storia clinica del paziente, dello stato mentale e fisico, della sua anamnesi farmacologica, del suo stato funzionale, di eventuale stato depressivo, dei sintomi non cognitivi ( BPSD), delle sue capacità residue, del carico del caregiver, attraverso anamnesi, esame obiettivo generale e neurologico e somministrazione di tests neuropsicologici: MMSE, ADL, IADL, CDR, GDS, CIRS, Scala di Tinetti per la valutazione dell'equilibrio e dell'andatura, NPI e con la CBI somministrata al caregiver.
Inoltre tutti i pazienti vengono pesati, calcolato il BMI e somministrato il Mini Nutritional Assessment, per identificare precocemente i soggetti a rischio o che già presentano malnutrizione sia in eccesso che in difetto, programmando interventi dietetici individuali mirati alla correzione del problema.
Viene quindi stilato un PAI concordato con i familiari. Periodicamente vengono rivalutati tramite ADL, IADL, CBI, individuati come indicatori di qualità di funzionamento dell'attività del Centro Diurno. Giornalmente vengono valutati PA, in alcuni casi eseguito controllo glicemico e della temperatura corporea e vengono monitorate le terapie mediche, modulandole di concerto con gli specialisti delle UVA e medici curanti dei pazienti. Vengono inoltre date indicazioni all'esecuzione di moderato esercizio motorio.
I farmaci attualmente a disposizione per il trattamento dei disturbi cognitivi nella Malattia di Alzheimer ( donepezil, rivastigmina, galantamina e memantina) solo in un terzo circa dei pazienti si sono dimostrati efficaci nel rallentare la progressione della patologia.
Inoltre in conseguenza dell'efficacia relativa e degli effetti avversi gravi della terapia farmacologica, si sta sempre più diffondendo fra gli esperti l'opinione che per il trattamento dei sintomi associati alla demenza l'uso dei farmaci dovrebbe costituire la seconda opzione, considerando prima opzione i trattamenti non farmacologici.
In particolare per quanto riguarda agitazione, aggressività,
disturbi dell'umore, sintomi psicotici, disinibizione, disturbi
dell'alimentazione e ripetitività verbale, il tentativo è quello di elaborare
specifiche procedure che, basandosi sulla plasticità neuronale, possono
favorire riorganizzazioni corticali come nel caso di deprivazioni sensoriali,
schematizzate nella tabella tratta da "Linee Guida Sindrome Demenza Diagnosi e
trattamento Regione Toscana 2011 aggiornamento 2015":
Trattamento dei sintomi cognitivi e della disabilità
Trattamento dei sintomi psicologici e comportamentali
Psicoterapie brevi
- ROT ( Reality Orientation
Therapy)
- terapia di validazione
- terapia della reminiscenza
- terapia occupazionale -musicoterapia
- terapia comportamentale
- Bright Light Therapy
- approccio multisensoriale
(Snoezelen)
- aromaterapia
- terapia con l'ausilio di animali
-arte terapia -terapia cognitivo
comportamentale
- approccio interpersonale
Questo orientamento è confermato e promosso anche dal "Piano nazionale demenze"
che raccomanda anche per le strutture semiresidenziali la gestione dei sintomi
psicologici e comportamentali (BPSD) delle persone affette da demenza - fonte di
un notevole carico assistenziale e di depressione per i caregiver e di un
aumento del tasso di istituzionalizzazione per le persone con demenza - con
interventi individualizzati per il paziente e il caregiver combinando
interventi psico-sociali e terapie farmacologiche (Presidenza del Consiglio dei
ministri - Con-ferenza unificata, 2014). Gli interventi psico-sociali devono
essere individualizzati a seconda dello stadio di malattia, delle problematiche
e dei desideri dei singoli ospiti. Per questo l'ospite deve essere valutato dal
punto di vista clinico, del profilo neuropsicologico, funzionale e
comportamentale e della storia e degli interessi personali, al fine di definire
in modo personalizzato il suo trattamento psico-sociale.
Elemento comune alle varie attività, in qualsiasi stadio di malattia, è la
creazione di un clima ambientale e relazionale ottimale, finalizzato a
valorizzare le risorse e le capacità conservate di ogni soggetto, limitare
l'isolamento sociale, favorire la condivisione delle esperienze e mantenere il
senso di autostima e di identità personale. Nei limiti delle risorse
disponibili, ogni attività deve essere adattata alla storia personale, al
livello cognitivo-funzionale e allo stato psicologico-comportamentale degli
ospiti, con l'obiettivo di formulare piani assistenziali individualizzati,
finalizzati in particolare al trattamento dei BPSD.
Recenti ricerche dimostrano come alcune terapie riabilitative non farmacologiche
possano contribuire a migliorare le performance cognitive ed a ridurre i
disturbi comportamentali, nonchè a migliorare la qualità della vita del
paziente ( Fagherazzi, 2009). Esistono fondamentalmente due approcci
terapeutici: uno più tradizionale che concettualmente è più vicino alla
riabilitazione fisica, l'altro invece considera metodologie legate alla sfera affettiva-relazionale.
Il primo approccio prevede che il paziente svolga una serie di esercizi per
allenare una o più funzioni cognitive che presentano dei deficit, come se
queste fossero dei distretti corporei: memory training, ROT, 3 R, i training di
lettura-scrittura e altre tecniche cognitive già descritte nella tabella
precedente. Queste tecniche non sono nate in modo specifico per la
riabilitazione della malattia di Alzheimer o delle demenze in genere, ma sono
derivate dalla rieducazione funzionale dei deficit cognitivi causati da
traumatismi o da accidenti vascolari. Parecchi studi hanno dimostrato outcomes
positivi, con risultati a volte migliori anche rispetto alla terapia
farmacologica, ma hanno il limite che, una volta sospesi, il paziente perde i
risultati ottenuti nel training, in quanto l'abilità cognitiva in una malattia
degenerativa continua progressivamente a degradare e pertanto deve essere
costantemente mantenuta attiva. Inoltre il paziente a mano a mano che peggiora
mostra maggiore frustrazione in quanto riesce sempre meno a svolgere compiti di
tipo cognitivo e spesso si rifiuta di svolgere i cicli di training per il forte
senso di inaguedatezza.
Il secondo approccio è più globale e riguarda i vari aspetti della malattia e
dell'ambiente esterno sia esso relazionale ( le persone che si prendono cura del
paziente) sia fisico ( gli ambienti), comportando un impegno maggiore, una
maggiore conoscenza della malattia e della persona, una formazione del caregiver,
approcci personalizzati con un fine e complesso lavoro di equipe, di
condivisione, di comunicazione, di conoscenze, di azioni sinergiche e di
passione ( Pasin, 2012): il Metodo Gentle Care di Moira Jones e il Metodo
Validation di Naomi Feil.
In conclusione, possiamo affermare che la gestione delle demenze richiede non
solo competenza clinica, ma anche capacità di gestione dei molteplici aspetti
della malattia sia in ambiente ospedaliero che territoriale. Essendo una
patologia ad alta prevalenza negli over 65 il Geriatra, attualmente, è la
figura professionale che maggiormente dispone delle capacità cliniche ed
organizzative più conformi al trattamento di una malattia eterogenea e spesso
in comorbilità. Pertanto la sua presenza costante nei CDA permette una piena
aderenza ai protocolli gestionali più utili per il raggiungimento degli
obiettivi prefissati dal "Piano nazionale Demenze".
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