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L'insulinoresistenza

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Una delle ragioni per cui una persona va incontro alla malattia diabetica, risiede nella cosiddetta condizione di "insulinoresistenza", condizione questa che si caratterizza per la mancata azione insulinica periferica. In parole povere significa che l'insulina prodotta dalla beta cellula pancreatica non funziona   in periferia per come dovrebbe essere, cioè non trasmette  il suo segnale ormonale in periferia. Per fare un esempio, è come se una persona sorda chiedesse al suo interlocutore di alzare il tono della voce per riuscire ad ascoltarlo. Così facendo, però, la voce della persona finirebbe per esaurirsi ed insorgerebbe la raucedine. Tornando alla fisiopatogenesi della insulinoresistenza, il nostro pancreas sarebbe costretto ad "alzare il volume" della beta cellula, con una produzione eccessiva di insulina, per cercare di vincere l'incapacità della periferia a ricevere il segnale insulinico. In questa maniera il pancreas andrebbe incontro ad esaurimento della beta-cellula, virando verso la forma conclamata del diabete. Per insulinoresistenza si intende la bassa sensibilità delle cellule periferiche all'azione dell'insulina, il che può portare ad eccessiva produzione di insulina, esaurimento della beta cellula ed, infine, a diabete mellito di tipo 2; per questa ragione, cioè per il problema della insulinoresistenza periferica, un pancreas è costretto a produrre grandi quantità di insulina per riuscire a fornire un adeguato segnale insulinico in periferia.  Le cause possono essere ormonali (le più comuni), genetiche, o farmacologiche.

Cause ormonali

L'insulina è un ormone polipeptidico che è indispensabile per l'assorbimento del glucosio all'interno delle cellule, esso si lega a un recettore proteico che si trova nella membrana cellulare, questo legame causa a sua volta tutta una serie di eventi metabolici (una via di trasduzione del segnale) che da ultimo, attraverso le proteina IRS, causa l'ingresso del glucosio all'interno della cellula ed il suo accumulo nel fegato. Questo è l'organo di deposito del glucosio, che nelle prime ore del digiuno, cioè dalla 4-5° ora dal pasto, supplisce al fabbisogno di glucosio e tiene i livelli di glicemie elevati nel sangue, grazie all'azione di gluoconeogenesi. Nel paziente, diabetico, invece, come appresso spiegato, il fegato continua a dismettere glucosio anche nel post-prandium, contribuendo alle pericolose impennate glicemiche del diabete. è importante sottolineare che i rapporti tra diabete e fegato sono complessi e, come già accennato, differenti a seconda del tempo di esordio del diabete rispetto all'epatopatia. Se vi è un elemento comune è l'insorgere di insulino-resistenza, cui possono poi associarsi, nel diabete cosiddetto "epatogeno", altri fattori quali l'alterata risposta delle cellule beta insulari e la ridotta clearance epatica dell'insulina. Va detto che molti ormoni (cortisolo e glucocorticoidi, ma anche GH, glucagone, adrenalina), antagonizzano l'azione insulinica, perché se questa non fosse limitata si andrebbe incontro ad un eccessivo assorbimento cellulare di glucosio, con conseguente ipoglicemia e morte (come accade ad esempio nei casi più gravi della sindrome di Addison).

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Questi ormoni antagonizzano l'azione insulina in vari modi, ad esempio i glucocorticoidi diminuiscono l'affinità dei recettori insulinici con l'insulina stessa abbassando quindi la capacità legante del'insulina con il suo recettore, in più inibiscono la sintesi della proteina IRS-I, il GH diminuisce il numero dei recettori insulinici. Ovviamente l'equilibrio di questi sostanze è indispensabile per una corretta azione insulinica, tuttavia quando gli ormoni che antagonizzano l'insulina sono in eccesso (come nel caso di malattie endocrine quali la sindrome di Cushing, l'acromegalia, glucagonoma, feocromocitoma) si instaura l'insulinoresistenza.

Effetti metabolici dell'insulinoresistenza

è importante sottolineare che i rapporti tra diabete e fegato sono complessi e, come già accennato, differenti a seconda del tempo di esordio del diabete rispetto all'epatopatia. Se vi è un elemento comune è l'insorgere di insulino-resistenza, cui possono poi associarsi, nel diabete cosiddetto "epatogeno", altri fattori quali l'alterata risposta delle cellule beta insulari e la ridotta clearance epatica dell'insulina. Sindrome metabolica e diabete di tipo 2, per la loro rilevanza epidemiologica, sono comunque i modelli patogenetici più studiati. In queste condizioni cliniche, l'insorgere di insulino-resistenza è in grado di generare una catena di eventi che conducono al danno epatico. L'nsulino-resistenza è una condizione metabolica a genesi polifattoriale conseguente a un alterato equilibrio tra fattori genetici e ambientali. Nella sindrome metabolica e nel diabete mellito di tipo 2 il momento fenotipico cruciale è rappresentato dall'aumento della massa adiposa e dall'alterazione dell'espressione genica degli adipociti, con conseguente innesco di insulino-resistenza. Ciò induce un'aumentata lipolisi adipocitaria con incremento degli acidi grassi liberi circolanti (FFA) e del loro afflusso al fegato, cui consegue la maggiore produzione epatica di glucosio e un ridotto uptake del glucosio nel muscolo scheletrico (cfr metabolismo dei glicidi). Inoltre nel paziente con diabete mellito di tipo 2 viene meno l'effetto soppressivo dell'iperinsulinemia sulla gluconeogenesi e glicogenolisi epatiche, con la conseguenza che anziché ridursi la produzione di glucosio, questa si attua perfino nel post-prandium. Infine l'iperinsulinemia induce una iperproduzione epatica di VLDL (Very Low Density Lipoprotein) e di apolipoproteina B con conseguente ipertrigliceridemia (cfr metabolismo dei lipidi). A ciò si accompagna frequentemente un ridotto livello di HDL (High density lipoprotein). Al complesso meccanismo regolatorio neuro-ormonale dell'omeostasi lipidica a livello adipocitario partecipano, oltre a ormoni regolatori, anche citochine di origine adipocitaria, le adipochine, quali leptina, adiponectina e resistina, neurotrasmettitori (noradrenalina ed angiotensina II) e citochine immunomodulatrici, quali TNFα e IL6.

Questo milieu biochimico, in condizioni di insulinoresistenza, è squilibrato in favore del TNFα, che ha azione pro infiammatoria. Ne deriva una cascata di reazioni infiammatorie rappresentate da:

•Disfunzione endoteliale
•Ipercoagulabilità
•Infiammazione
•Eterogenesi
•Fibrogenesi
•Crescita cellulare

Insulina, glucosio e FFA, le cui concentrazioni sieriche sono aumentate a seguito dell'insulino-resistenza, rappresentano sia precursori biochimici che segnali metabolici a valenza steatogenica. Iperinsulinemia e iperglicemia attivano fattori trascrizionali a livello epatico, quali SREBP-lc (Sterni Regulator Element-Binding Protein e ChREBP (Carbohydrate Response Element Binding Protein), che attivano enzimi finalizzati alla conversione dell'eccesso di glucosio in acidi grassi. Un terzo fattore di trascrizione attivato in corso di insuline-resistenza è il Peroxisome Proliferator-Activated Receptor y (PPARy), implicato nella differenziazione degli adipociti e nell'accumulo di trigliceridi nel fegato con conseguente steatosi. La steatosi stessa, una volta emersa come evento fenotipico, favorisce la sintesi e la secrezione di TNFa mediante l'aumentata concentrazione intraepatica di FFA. Il TNFa interferisce con il signalling dell'insulina a livello recettoriale, inducendo insuline-resistenza "steatosi-associata" (epatica), evento biochimico che va ad associarsi all'insulino-resistenza "periferica" propria dell'obesità. Il risultato è un ulteriore accumulo intraepatico di grasso. Un ambito fisiopatologico particolarmente interessante è quello dei rapporti tra virus dell'epatite C e insulino-resistenza. Un recente studio ha dimostrato che pazienti con epatite cronica C lieve-moderata hanno significativa insulino-resistenza in confronto a controlli sani di pari età, BMI e attività fisica e che tale insulino-resistenza è principalmente periferica con un contributo minimo da parte del fegato, contrariamente a quanto segnalato sino ad ora.

Fibrosi nell'insulinoresistenza

II fegato steatosico è sensibilizzato a un ulteriore danno. In questa fase gli FFA derivati dalla lipolisi adipocitaria inducono una serie di eventi proinfiammatori:
• produzione di radicali liberi dell'ossigeno (ROS), a causa della loro ossidazione (perossidazione), con conseguente danno mitocondriale, danno alla catena respiratoria cellulare, ridotta disponibilità di adenosina trifosfato, sintesi di mediatori dell'infiammazione tra cui TNFa, TGFp, IL6, Fas ligando e deplezione dei normali sistemi antiossidanti presenti nel fegato;
• attivazione diretta della via IKKβ/NF-kB (il fattore nucleare kB e il suo attivatore I kappa B kinase beta) negli epatociti, attraverso un meccanismo lisosomiale dipendente dalla catepsina B, con translocazione di Bax ai lisosomi, loro successiva destabilizzazione e rilascio di catepsina B nel citosol. Ciò induce attivazione del NF-kB, attraverso IKKB e successivo incremento dell'espressione del TNFa e aumento della trascrizione genica di un ampio range di mediatori infiammatori, inclusi TNFa, IL6 e IL1 , nonché l'attivazione delle cellule di Kupffer. Inoltre, nel soggetto obeso, aumentati livelli circolanti di leptina e ridotti livelli di adiponectina possono contribuire alla progressione della steatosi a NASH. La leptina stimola il rilascio da parte degli epatociti di osteopontina, una citochina proinfiammatoria. D'altra parte, la produzione di adiponectina, un'adipochina antinfìammatoria, può essere soppressa daI TNFa rilasciato dai macrofagi del tessuto adiposo. Iperinsulinemia e iperglicemia in corso di insuline-resistenza possono stimolare la sintesi del Connettive Tissue Growth Factor (CTGF) nelle cellule stellate epatiche con conseguente trasformazione dallo stato di quiescenza al fenotipo attivato miofibroblastico, deposizione di proteine dalla matrice extracellulare e sviluppo di fibrosi epatica. Le cellule stellate epatiche possono poi essere stimolate direttamente sia dalla leptina che attraverso mediatori quali osteopontina, angiotensina II e noradrenalina.

 

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