L'insufficienza pancreatica irreversibile si manifesta principalmente in seguito
a pancreatite cronica, una condizione clinica caratterizzata da un processo
infiammatorio a carico del pancreas, che progressivamente provoca la distruzione
del parenchima ghiandolare. Il dolore è il sintomo principale; frequenti sono
anche altri segni clinici, quali il calo ponderale, la steatorrea e i sintomi
tipici del malassorbimento. La perdita di peso corporeo, la malnutrizione e la
carenza di nutrienti specifici aumentano in relazione alla gravità dell'IPE. In
questi pazienti l'apporto di energia è notevolmente ridotto non solo a causa di
una cattiva digestione, ma anche in conseguenza a un apporto insufficiente di
cibo dovuto al dolore postoperatorio, alla nausea e all'abuso di alcool.
Questi deficit nutritivi possono poi associarsi a diverse complicanze, quali diabete mellito e infiammazione cronica. Complessivamente, la malnutrizione osservata nei pazienti con pancreatite cronica produce un bilancio energetico sfavorevole e incrementa il rischio di un deficit di micro- e macronutrienti, in particolare di vitamine e sali minerali, la cui carenza può causare molteplici conseguenze cliniche. In particolare, la pancreatite cronica è associata al malassorbimento della vitamina D3, che ha un ruolo importante nel metabolismo osseo. I soggetti con pancreatite cronica sono più suscettibili alle alterazioni del metabolismo osseo, che possono ridurre la densità minerale ossea, aumentando il rischio di fratture.
Questi soggetti mostrano una fragilità ossea, con una prevalenza di fratture soprattutto all'anca confrontabile o maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti con altre malattie gastrointestinali, tra cui il morbo di Crohn, per le quali sono disponibili le linee guida dell'American Gastroenterological Association per lo screening delle patologie correlate al metabolismo osseo, in primis l'osteoporosi.
Lo studio di Tignor e coli, ha
evidenziato per la prima volta che la pancreatite cronica può rappresentare un
fattore di rischio per le fratture e quindi necessita della definizione di linee
guida relative alla gestione e alla prevenzione delle alterazioni metaboliche,
analogamente a quanto già disponibile per gli altri pazienti ad alto rischio con
malattie gastrointestinali. Oltre il 40% dei pazienti con IPE secondaria a pancreatite cronica presenta
un'elevata crescita batterica intestinale, conseguente a un'alterazione della
motilità gastrointestinale e della secrezione biliopancreatica, oltre che a una
ridotta secrezione degli enzimi pancreatici. Da un punto di vista clinico si
distinguono due fasi: una fase precoce, in cui prevalgono il dolore addominale
ed episodi ricorrenti di flogosi acuta con complicanze; una fase avanzata, i cui
sintomi sono correlati all'insorgenza dell'insufficienza pancreatica esocrina
e/o endocrina. La pancreatite cronica in fase avanzata rappresenta un fattore
di rischio per il tumore del pancreas. Sono stati descritti numerosi fattori di
rischio per l'insorgenza della pancreatite cronica, sebbene nella maggior parte
dei casi l'eziologia sia idiopatica. La causa più comune della pancreatite
cronica è l'abuso di alcool, che risulta tossico per le cellule acinose
pancreatiche poiché determina l'accumulo citoplasmatico dei lipidi, responsabile
del processo fibrotico e quindi dell'insufficienza pancreatica. L'alcool causa
inoltre una maggiore litogenicità delle secrezioni pancreatiche, che può
produrre la formazione di calcoli e l'ostruzione del dotto pancreatico,
aumentando così il rischio di ulcerazioni, stasi, atrofia e fibrosi. L'abuso di
alcool e il consumo di una dieta ricca di lipidi possono infine incrementare i
prodotti del metabolismo ossidativo, che a loro volta causano un reflusso
biliare all'interno del dotto pancreatico, favorendone l'ostruzione.
Uno studio condotto tra il 2000 e il 2005 in Italia sembra però imporre una revisione in merito all'associazione tra abuso di alcool e sviluppo di pancreatite cronica. Lo studio PanCrolnf, condotto in 893 pazienti con nuova diagnosi di pancreatite cronica reclutati in 21 centri italiani, ha infatti evidenziato una correlazione inaspettatamente inferiore rispetto a dati precedenti tra abuso di alcool e pancreatite cronica (44%), sebbene sia difficile distinguere se questo risultato sia la conseguenza di una riduzione del consumo di alcolici oppure sia imputabile a una precedente sovrastima. Lo studio ha inoltre rilevato che in Italia il 10% dei casi di pancreatite cronica è rappresentato da pancreatiti autoimmuni e da distrofia cistica della parete duodenale, quest'ultima strettamente correlata all'abuso quotidiano di alcool. Questa analisi demografica e clinica, estesa a tutto il territorio nazionale, propone per la prima volta una classificazione della pancreatite cronica basata sui fattori di rischio più che sui fattori eziologici, evidenziando una complessità patogenetica in precedenza sottovalutata. L'eliminazione dell'alcool e la riduzione dei grassi introdotti con la dieta rimangono comunque alcune delle raccomandazioni indicate dalle linee guida dell'Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas (AISP), recentemente elaborate per la diagnosi e il trattamento della pancreatite cronica. Le linee guida sono state costruite secondo livelli di evidenza e gradi di raccomandazione e sviluppate mediante una metodologia rigorosa, basata su analisi molecolari e diagnostica per immagini. Da un punto di vista diagnostico, le linee guida AISP indicano come tecnica d'elezione per la diagnosi delle fasi precoci della pancreatite cronica, la colangiopancreatografia (MRCP), riduzione della secrezione pancreatica a opera di CCK, causata dalla resezione intestinale; rapido svuotamento gastrico, cui segue il passaggio di particelle di grosse dimensioni responsabili delle difficoltà digestive; riduzione della secrezione pancreatica secondaria alla resezione del pancreas; assenza di coordinazione tra lo svuotamento gastrico e la secrezione biliopancreatica, dovuta alla ricostruzione chirurgica.
La mutazione genica presente nei pazienti con fibrosi cistica altera il trasporto di cloruro di sodio attraverso la membrana cellulare. In condizioni fisiologiche, il cloro viene scambiato con il bicarbonato così da creare un ambiente luminale basico, necessario a garantire la solubilità delle proteine. La mutazione genica del trasportatore sodio/cloruro provoca l'acidificazione del lume intestinale e aumenta la viscosità delle secrezioni, che possono ostruire il dotto pancreatico e distruggere progressivamente il parenchima attraverso fenomeni di proteolisi, fibrosi e formazione di cisti. La riduzione della secrezione di bicarbonato impedisce la neutralizzazione del chimo acido e si associa in genere a un'insufficienza pancreatica, soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia. La riduzione del pH duodenale a valori compresi tra 3 e 5 provoca l'inattivazione degli enzimi pancreatici e la denaturazione dei sali biliari, essenziali per la solubilizzazione dei lipidi, la cui digestione e il cui assorbimento risultano pertanto compromessi. L'IPE è presente in più dell'80% dei pazienti affetti da fibrosi cistica; inoltre la probabilità di sviluppare IPE dipende dalla natura della mutazione del gene alla base del difetto (particolarmente elevata nei pazienti con mutazione DF508). In generale, i pazienti che presentano un genotipo con due mutazioni "severe" hanno un'elevata probabilità di sviluppare IPE, mentre quelli con almeno una mutazione genotipica "lieve" di solito mantengono un pancreas funzionante IPE nell'anziano. Il naturale processo d'invecchiamento può produrre alcuni cambiamenti della struttura del pancreas, che includono fibrosi, lipomatosi, iperplasia epiteliale duttale e accumuli proteici intraluminali. Nel contempo, possono comparire o aumentare i sintomi della cattiva digestione e del malassorbimento, che nell'anziano sono in parte conseguenti a un'inadeguata secrezione enzimatica, causata dai processi degenerativi del pancreas. Uno studio condotto in 159 pazienti sani di età compresa tra 60 e 92 anni ha dimostrato che i livelli di elastasi-1 fecale diminuiscono in maniera significativa con l'età, raggiungendo una concentrazione inferiore al cut-off (200 mg/g) nel 21,7% dei partecipanti allo studio, valori indicativi di un'IPE conseguente ad atrofia e degenerazione della ghiandola. I risultati dello studio mostrano che tra i soggetti anziani, apparentemente sani e privi di malattie gastrointestinali importanti, una buona percentuale di individui potrebbe beneficiare della terapia sostitutiva con enzimi pancreatici, sebbene non sia stata evidenziata alcuna correlazione tra i livelli di elastasi-1 fecale e la sintomatologia clinica addominale. è perciò importante un'attenta sorveglianza clinica da parte dei medici di medicina generale nei confronti di questa popolazione.
Cecità (problemi alla vista specialmente di notte), Disturbi della pelle, Bassa resistenza alle infezioni
Lieve anemia emolitica, Deficit neurologici aspecifici, Disturbi legati alla riproduzione e infertilità, Fragilità delle cellule rosse del sangue, Macchie legate all'età, Cataratta, Danni neurologici, Diminuzione del desiderio sessuale Alterazioni delle funzioni muscolari, del fegato, del midollo osseo e cerebrali
Ipocalcemia, Tetania, parestesie e convulsioni
Coagulopatia
Anemia perniciosa Mielosi funicolare
La diarrea prolungata può causare perdita di potassio a livello intestinale Debolezza, crampi muscolari Aritmia cardiaca