Il fatto reale. Luigi era un ragazzo molto sensibile che viveva in una famiglia agiata, di estrazione borghese, dove il padre-padrone, di professione avvocato, ne rappresentava il "faro illuminante". Tutti ruotavano attorno al suo perno autoritario, compresa la brava madre, una signora piacevole, di una bellezza ormai sfiorita, grande madre di famiglia, ma figura secondaria e sottomessa pur'ella all'autorità del marito. Quando Luigi (nome di fantasia) si era diplomato, aveva pensato di emulare il genitore e di intraprendere la carriera forense, iscrivendosi alla Facoltà di Giurisprudenza, la "facoltà per Eccellenza", come ribadiva il padre. Così, il genitore, ben conoscendo le pecche del figlio, la sua fragile personalità e la limitata bravura a scuola, ma temendo di fare cattiva figura, aveva imposto al figlio di studiare insieme al cugino Francesco, anch'egli iscritto al primo anno della stessa facoltà, figlio, quest'ultimo, di un povero questurino, che faceva salti mortali con avviluppamento su sé stesso, per mantenere il figlio all'Università di Pavia. Per tale ragione Luigi e Francesco studiavano insieme.
Ma mentre il cugino povero studiava con passione ed impegno, passando ore ed ore curvo sui testi universitari, spesso saltando il pasto pur di seguire tutte le lezioni, Luigi, invece, non riusciva a studiare che poche ore al giorno, 2 o 3, al massimo, dopodiché sentiva l'ansia impossessarsi di lui: doveva uscire a prendere aria ed andava a correre al Parco Sora. Il vecchio genitore, avvisato da Francesco che le cose non andavano per il verso giusto, si preoccupava, pensando, stupidamente, che Luigi era svogliato, che gli piaceva fare "la bella vita", mentre egli, al suo tempo, andava giù sodo con lo studio. Così, incurante della vera ragione del calo di attenzione del figlio Luigi e della mala resa accademica, rimproverava il ragazzo, lo umiliava di brutto davanti a Francesco e finiva perfino per picchiarlo davanti a lui. Ma, più passavano i mesi e più la situazione peggiorava..
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Luigi stava sempre più male ed in ansia: una sera era scappato di casa e Francesco lo aveva cercato per ore ed ore; era andato al Parco, ma nulla: non lo aveva trovato. Aveva chiamato i pronto soccorso degli ospedali di Pavia, ma niente, nessuna notizia. Quando era quasi l'alba e pensava che avrebbero telefonato ai carabinieri, ecco che Luigi tornava a casa malconcio, dicendo che si era addormentato all'aperto, che aveva bisogno di ossigeno, che la sua mente era confusa, che qualcosa sentiva scoppiargli dentro, tanto da farlo impazzire di ansia. Il vecchio padre pensava che stesse facendo uso di droghe, così lo aveva accompagnato dal curante per un controllo. Neppure il medico di famiglia ci aveva capito qualcosa!
Cosi il figlio del questurino aveva sostenuto l'esame di Diritto con 30 e lode, mentre Luigi era stato respinto, neppure un diciotto. Un disastro! Poco c'era mancato che al padre venisse un coccolone! Ma ancora con fare arrogante e con gli occhi foderati di mortadella, inconsapevole dei problemi mentali del figlio Luigi, aveva punito quest'ultimo chiudendolo in casa per tutta l'estate (ultimo colpo di grazia al condannato alla malattia mentale!) ed aveva investito di male parole Francesco, cacciandolo via dalla sua casa di Pavia e dicendogli testualmente: " Ti senti scaltro perchè hai preso 30 e lode? Ancora sei come un naufrago nel vasto pelago che vede la riva da lontano e mai la raggiungerà!"- Ebbene, purtroppo Francesco finì in mezzo alla strada e dovette cercarsi un alloggio con gli extracomunitari, una branda in una stanza dove dormiva con altri 4 ragazzi stranieri, e studiava con i tappi di cera nelle orecchie, dentro la sua mente, tra mille difficoltà economiche e logistiche, ma alla fine, dopo 5 anni i suoi sforzi furono premiati e si laureò a pieni voti. Oggi è un avvocato che lavora presso l'equipe dello Studio Legance (nome di fantasia) in Milano, mentre Luigi entra ed esce dai SPDC (servizi di salute mentale delle ASL). Oggi suo padre è passato a miglior vita, da qualche anno ma per Luigi è stato un bene: seguito dai servizi sociali, ha cominciato a stare meglio ed essere più partecipe e collaborante alla vita sociale e di relazione. Non è diventato avvocato, ma riesce ad essere più sereno grazie alle nuove cure di oggi.
Numerosi ricercatori ritengono che vi sia una base eredo-genetica che predispone alla schizofrenia ma che non conduce ineluttabilmente ad essa. Soggetti con eredità schizofrenica possono sfuggire alla malattia per circostanze ambientali favorevoli e, per converso, conflittualità intrapsichiche o difficoltà ambientali possono attivare alterazioni metaboliche geneticamente determinante (Tissot). Essenziale, pertanto, è il ruolo esplicato da altri fattori nel determinismo del fenotipo schizofrenico; legittimo appare ricercare questi fattori nella famiglia e nell'ambiente socio-culturale. In altre parole, su un terreno predisposto geneticamente, anche l'ambiente influisce.
Negli ultimi trenta anni notevole attenzione è stata dedicata allo studio dei
genitori e delle famiglie dei pazienti schizofrenici nel tentativo di
isolare peculiarità personologiche e comportamentali, di uno o di entrambi i genitori,
e di individuare specifiche modalità interattive alle quali poter conferire un qualche
ruolo nella genesi della schizofrenia. Numerose ricerche hanno documentato che il
comportamento dei genitori di un soggetto schizofrenico differisce da quello dei
genitori di figli non schizofrenici. Sulla base dei suddetti rilievi si è ritenuto
che in queste strutture familiari si celino situazioni disturbanti e conflittuali
e si elaborino modelli cognitivi abnormi. Si è così giunti a teorizzazioni dogmatiche
quale quella espressa nella frase di Lidz "I disordini schizofrenici (sono) fondamentalmente
una malattia da carenza ... non di una vitamina, bensì della capacità della famiglia
di educare, strutturare, inculturare e socializzare il bambino nel corso del suo
sviluppo". Vi è ormai accordo nel considerare con cautela simili affermazioni. In
questo campo della ricerca antropologica, come sottolinea la Palazzoli-Selvini,
si è proceduto per "verità parziali, per isolamenti arbitrari e per contrapposizioni".
Gli studi sulla famiglia infatti inizialmente hanno solo ribaltato l'atteggiamento
emotivo nei confronti del paziente schizofrenico, che è passato dall'antico "guardate
questi poveri genitori afflitti da questo intollerabile schizofrenico", al successivo
"guardate questo adorabile schizofrenico ... "rovinato dai suoi intollerabili
genitori". Finalmente si è giunti ad una posizione più integrata, quale quella
attuale, che considera il soggetto schizofrenico e la sua famiglia come "un'unità
paziente e sofferente", nella quale non è lecito ricercare "né un prima né un dopo",
"né colpevoli né vittime". Le famiglie con paziente schizofrenico, inoltre,
nel gioco dell'apprendimento, non permettono l'assunzione di alcuna immagine, sono
come spugne assorbenti senza possibilità di veri scambi. Esse sono specchi che non
riflettono, come "buchi neri" che assorbono immagini ed energia, in modo tale da
impedire al bambino la possibilità di una sua immagine. Caratteristiche dei genitori
con un figlio schizofrenico "Dopo aver trascorso una o due ore con uno o ambedue
i genitori del paziente, mi sono chiesto quanto a lungo sarebbe durato il mio
equilibrio mentale ...
vivendo
con queste persone, figuriamoci di essere cresciuto da loro". In questa frase Lidz
esemplifica quello che l'esperienza quotidiana ci propone: i genitori di pazienti
schizofrenici presentano assai spesso peculiarità cognitivo-affettive e relazionali
o sono chiaramente disturbati dal punto di vista psichico. Non è agevole tuttavia
stabilire se le loro distorsioni psicologiche e comportamentali siano conseguenti
ai problemi determinati da un figlio con difficoltà di sviluppo affettivo e cognitivo
o francamente psicotico, o ne siano invece causa.
Come si è sopra detto l'essere passati ad una visione sistemica della famiglia,
ha deprivato di significato, soprattutto sul piano operativo, stabilire se i genitori
o il figlio debbano avere la responsabilità primaria della distorsione del rapporto
che li lega, più importante è infatti definire la struttura del loro rapporto transazionale.
Nello studio dei genitori particolare attenzione è stata dedicata alla figura materna
il cui ruolo primario nello sviluppo del bambino è ben noto ("madre come destino";
Schottlaender). Premessa fondamentale per un normale succedersi delle prime fasi
evolutive, che includono la formazione del rapporto duale madre-bambino e il suo
successivo superamento, è il senso primario della maternità, la capacità cioè della
madre di mantenere la giusta distanza dal bambino. Un rapporto patologico (tra madre
e figlio si instaura allorché la madre, inconsapevolmente, "abusa del bambino"
per i suoi propri scopi; il bambino può così acquisire il ruolo di alleato contro
il marito o di sostituto del coniuge, o di un aspetto del proprio sé. Madri
di questo tipo amano il figlio solo a condizione che egli soddisfi i loro inconsci
bisogni, mentre non lo percepiscono, né lo riconoscono come essere autonomo con
bisogni propri. Kauffmann ha descritto le relazioni "incestuose" tra madri e figli
schizofrenici, relazioni che non consentono ai figli di "avere uno spazio in cui
collocare i loro fantasmi", e "di elaborare nel profondo della loro mente i loro
de-sideri", condannandoli ad essere "privati del loro destino" (Carta e Infante).
Il riscontro di queste modalità interattive in un'alta percentuale di madri di pazienti
schizofrenici ha portato alla definizione del concetto di "madre perversa" (Rosen)
o di "madre schizofrenogena" (Fromm-Reichmann). Il termine di "madre schizofrenogena"
(fredda, dominante, che esercita un controllo continuo), divenuto popoIare non ha
ricevuto prove attendibili a supporto ed è attualmente abbandonato. Sulla base degli
studi metodologicamente più corretti si può sostenere che le madri degli schizofrenici
sono più protettive ed intrusive delle altre madri, non solo dopo che la malattia
si è manifestata, ma anche prima del suo esordio. Questa intrusività ed iperprotettività
non possono tuttavia essere considerati fattori etiologici della schizofrenia.
Già prima di Fromm-Reichmann, Levy aveva focalizzato l'attenzione sulla iperprotettività
materna ricondotta alle carenze affettive sofferte da questi madri durante l'infanzia
e che le spingeva a "cercare di ottenere dai figli ciò che non avevano ottenuto
dalle proprie madri"; impenetrabili ai bisogni dei figli, ad essi continuamente
propongono la mancanza di significato della loro vita (Lidz). Questo abnorme atteggiamento
materno, espresso con comportamenti dominanti o indulgenti, sarebbe responsabile
di una disarmonica integrazione della personalità del figlio.
In contrasto a madri apertamente rifiutanti sono state de-scritte anche madri noiose,
adesive, che si calano nel ruolo della martire o della malata per controllare la
libertà del figlio ed impedirgli l'autonomia e l'espressione della sua aggressività.