Approccio diagnostico e terapeutico all'esofago di Barrett
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Definizione di Barrett e rischio di cancro
L'importanza della mucosa di Barrett consiste nel fatto che si tratta di
lesione precancerosa, destinata a trasformarsi in cancro dell'esofago.
E' chiaro che, perchè ciò non accada, il medico pratico dovrà prescrivere
dei trattamenti adatti al caso e cure specifiche. La mucosa si riconosce per
l'aspetto arancione (cfr appresso), dove lingue di mucosa gastrica sconfinano in
esofago. La prima descrizione di esofago a rivestimento colonnare (Columnar-Lined
Esophagus, CLE) è di Tileston, anatomopatologo che nel 1906, osservando alcuni casi
di pazienti con ulcera peptica dell'esofago, notò la stretta somiglianza
della
mucosa circostante l'ulcera con quella normalmente presente nello stomaco. Nei successivi
quaranta anni seguirono analoghe descrizioni di pazienti con ulcera peptica sita
in esofago a rivestimento simil-gastrico. In un articolo del 1950 il chirurgo inglese
Norman Barrett descrisse un caso di ulcera peptica localizzata in un organo intratoracico
tubulare che sembrava essere l'esofago, ad eccezione del fatto che la sua porzione
distale era rivestita da strutture epiteliali colonnari di tipo gastrico. La definizione
dell'esofago come organo a rivestimento squamoso gli fece concludere che quell'organo
a rivestimento colonnare fosse una porzione tubulare dello stomaco risalita in torace
come esito di un brachiesofago congenito.
Nel 1953 Allison e Johnstone dimostrarono che la struttura evidenziata da Barrett
era esofago: a differenza dello stomaco, infatti, "...mancava di un rivestimento
peritoneale, presentava isole di epitelio squamoso e aveva ghiandole sottomucose
e tonaca muscolare caratteristiche dell'esofago..." . Da allora l'eponimo di
Barrett fu utilizzato per indicare la presenza di epitelio colonnare in un
tratto di esofago distale, posto sopra la giunzione gastro-esofagea, normalmente
rivestito da epitelio piatto. La maggior parte dei ricercatori
che studiarono questa particolare condizione, inclusi Barrett e Allison, riconobbero
la stretta relazione con l'ernia jatale e una grave
esofagite da reflusso; ma, nonostante ciò, continuarono a considerarla di natura
congenita. Solo nel 1959 Moersch suggerì che il rivestimento colonnare potesse essere
la sequela diretta dell'esofagite da reflusso, e quindi il CLE una patologia acquisita
e non congenita. Nessuno di questi ricercatori aveva descritto un rivestimento colonnare
di "tipo intestinale". I primi autori a menzionare le goblet cells furono Bosher
e Taylor, che nel 1951 riportarono il caso di una paziente con lungo tratto di esofago
"...rivestito da mucosa gastrica ghiandolare contenente goblet cells ma non cellule
parietali...". Nel 1952 anche Morson e Belcher descrissero le goblet cells, in una
paziente con adenocarcinoma, su mucosa esofagea con atrofia e rassomiglianza con
epitelio di tipo intestinale.
Nel 1976 furono definiti in maniera precisa i tre
tipi di epitelio colonnare che potevano rivestire l'esofago: "giunzionale", "gastrico"
e "specializzato". Nel frattempo, veniva evidenziata la stretta associazione tra
Esofago di Barrett e adenocarcinoma dell'esofago inferiore e questa condizione cessava
di essere una mera curiosità patologica per diventare una delle più studiate condizioni
precancerose intestinali. A questo punto, occorreva definire con maggiore accuratezza
cosa fosse l'Esofago di Barrett (EB), per potere stabilire criteri diagnostici precisi,
definire il rischio e l'incidenza dell'adenocarcinoma nei soggetti portatori di
questa. definizione fu solo quantitativa: Skinner e collaboratori proposero di limitare
la diagnosi di EB ai pazienti con un epitelio colonnare, sito in esofago distale,
di lunghezza superiore a 3 cm, con il preciso intento di escludere i casi di pazienti
con piccole isole di epitelio colonnare - che possono essere presenti alla giunzione
squamo-colonnare - ed evitare una "sovra-diagnosi". Studi successivi dimostrarono
che il rischio di degenerazione neoplastica era molto maggiore quando fosse
presente una metaplasia di tipo intestinale (analogamente a quanto osservato
per le neoplasie gastriche) e venne accettata come definizione di EB: "la presenza
di epitelio metaplastico di tipo intestinale nell'esofago inferiore, visibile
endoscopicamente, indipendentemente dalla sua estensione". L'EB venne ulteriormente
suddiviso in segmento lungo (Long Barrett's segment) se l'estensione dell'esofago
ricoperto da questo epitelio era uguale o maggiore a 3 cm, e in segmento corto (Short
Barrett's segment) se era inferiore a 3 cm.
Diagnosi, protocolli di follow-up e studi funzionali nel Barrett
Per diagnosticare la presenza di EB è necessaria una stretta collaborazione tra
endoscopista e anatomo-patologo: la semplice presenza di un epitelio di colore gastrico
al di sopra della giunzione esofago-gastrica non è sufficiente a porre diagnosi
di EB. Un recente studio di Meining ha, infatti, dimostrato che la dia-gnosi endoscopica
sovrastima una reale presenza di metaplasia intestinale in tre casi su quattro.
L'anatomo-patologo però, per potere dare una risposta corretta e clinicamente interpretabile,
deve disporre di informazioni precise sui punti di prelievo dei campioni bioptici,
rispetto alle "coordinate endoscopiche": la giunzione esofago-gastrica e il passaggio
tra mucosa di tipo squamoso e mucosa di tipo gastrico (linea Z).
Addizionali
informazioni (presenza di esofagite e/o di ernia iatale) vanno anch'esse fornite
al patologo. Lo schema raccomandato attualmente, e adottato dal Registro Regionale
del Veneto dell'Esofago di Barrett, prevede una biopsia al di sopra della linea
Z, sulla parete esofagea rivestita da epitelio squamoso, biopsie sui quattro quadranti
della zona rivestita (o sospetta) da EB ad intervalli di 2 centimetri, sino ad arrivare
alla giunzione esofago-gastrica, e una biopsia sul fondo gastrico. Le biopsie vanno
inviate in boccette separate per ogni livello e l'uso di una richiesta prestampata
può facilitare lo scambio di informazioni tra endoscopista e patologo. Per quanto
riguarda la misurazione dell'estensione dell'EB endoscopico, è stata recentemente
proposta una nuova classificazione (Lundell e Sharma) detta di Praga, che tiene
in considerazione l'altezza dell'EB circolare e quella delle "lingue" che da esso
possono dipartire.
Una volta stabilita la diagnosi di EB, la frequenza dei successivi controlli dipende
dalla presenza o meno di Neoplasia Non invasiva (NiN) - o displasia - e dalla sua
gravità. La necessità di sottoporre i pazienti con EB ad un programma di sorveglianza
endoscopica è controversa, ma cautelativamente è ancora indicato ripetere una endoscopia
ogni 2-3 anni in caso di EB senza NiN. In caso sia presente una NiN di alto grado,
il controllo andrà ripetuto immediatamente ed è consigliabile chiedere una "seconda
opinione" ad un altro patologo: in caso di conferma, il comportamento successivo
dipende dalle condizioni generali del paziente: '.e opzioni sono la esofagectomia,
la mucosectomia, l'ablazione termica o la semplice sorveglianza ad intervalli di
2 mesi.
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