La plasticità neuronale è un continuo rimodellamento dei circuiti neuronali che consente al cervello di adattarsi ai cambaiamenti dell'ambiente si esterno che interno: è una proprietà essenziale per il cervello e caratterizza le varie epoche di crescita della vita di un individuo. Fino dalle prime fasi della vita embrionale le cellule interagiscono con l'ambiente extracellulare per indirizzare la formazione delle varie aree cerebrali e delle loro connessione. Inizialmente, prima della nascita, un codice molecolare insito nel DNA regola il susseguirsi dei processi di sviluppo del sistema nervoso, la replicazione delle cellule, la migrazione, il differenziamento cellulare, la sinaptogenesi). Successivamente compare l'attività spontanea ed individuale durante l'ultimo periodo di sviluppo. Se, sul piano puramente strutturale, numerose aree cerebrali appaiono già formate alla nascita, in realtà la specializzazione funzionale delle aree cerebrali è indipendente dagli stimoli sensoriali.
Risultati acquisiti nei mammiferi sembrano suggerire che il rimaneggiamento e la maturazione funzionale delle singole cellule nervose e/o di gruppi interconnessi di cellule necessitano di stimoli specifici, in questo caso sensoriali, per acquisire le caratteristiche funzionali proprie dell'adulto. Un esperimento interessante, i cui risultati rispondono almeno in parte alla precedente domanda, è stato condotto dal gruppo guidato di Mriganka Sur. Se durante lo sviluppo postnatale del furetto, gli assoni retinici sono costretti a innervare il nucleo genicolato mediale e quindi a inviare un input visivo all'area acustica Al, questa sviluppa caratteristiche strutturali e funzionali simili a quelle dell'area corticale visiva. Anche nell'uomo, in particolare in individui congenitamente sordi, si sono registrate, in alcuni casi, risposte evocate dallo stimolo visivo in aree corticali temporali che normalmente rispondono solo allo stimolo acustico. Questi studi suggeriscono che durante il periodo postnatale, il sistema nervoso è molto plastico e fortemente influenzato dall'attività neuronale, in questo caso non piu' spontanea ma modulata dagli stimoli sensoriali provenienti dall'ambiente circostante. In sintesi, le mappe neurali vengono in gran parte formate durante la vita embrionale, ma rimangono plastiche e sensibili a essere rimodellate e stabilizzate durante la vita postnatale sotto l'influsso dell'ambiente esterno.
Grande risonanza e importanza nel determinare una tale visione hanno avuto, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, gli esperimenti sulla plasticità corticale visiva condotti da due pionieri delle neuroscienze, insigniti del premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1981, David H. Hubel e Torsten N. Wiesel.
Questi due scienziati, in una serie di esperimenti, hanno dimostrato che, se a un animale si impedisce la visione da un occhio (deprivazione monoculare mediante sutura delle palpebre, che rende impossibile la visione di immagini strutturate e permette solo il passaggio di luce uniforme di intensità molto attenuata), dopo un certo tempo, quando si riattiva l'occhio precedentemente deprivato, questo presenta un'efficienza visiva molto ridotta (l'acuità visiva si riduce di almeno il 50% rispetto all'occhio non deprivato, fenomeno che va sotto il nome di ambliopia e i neuroni della corteccia visiva primaria perdono la capacità di rispondere all'occhio precedentemente deprivato.
Se la deprivazione monoculare è effettuata nel primo periodo di vita postnatale, i suoi effetti sono massimali e praticamente irreversibili, mentre se è effettuata nella vita adulta, gli effetti sono molto attenuati. Da qui il concetto di periodo critico, ovvero il periodo di tempo in cui la plasticità sinaptica è massima. Nel caso della plasticità corticale visiva, il primo periodo di sviluppo postnatale del mammifero coincide con il periodo critico. La durata e l'inizio del periodo critico varia nelle singole specie di mammiferi e dipende dalla modalità sensoriale (visiva, somatosensoriale, acustica). Lo stesso effetto registrato nell'animale deprivato monocularmente della visione durante il periodo critico si verifica nei neonati affetti da cataratta congenita e quindi deprivati dell'esperienza visiva; se questa patologia non è prontamente risolta, i bambini vanno incontro a effetti simili a quelli causati dalla deprivazione monoculare. Anche i bambini affetti da forte strabismo, che un tempo erano trattati mediante copertura di un occhio per lunghi periodi di tempo, correvano il rischio di sviluppare patologie similari.
La plasticità durante la vita postnatale è, quindi, guidata dall'attività neuronale generata da stimoli ambientali e appare per sua natura competitiva. Infatti, se sono privati della visione entrambi gli occhi e in uguale misura, il disturbo arrecato è assai inferiore. Nel caso di deprivazione monoculare si mettono in gioco meccanismi di competizione sinaptica a livello corticale, in cui le sinapsi guidate dall'occhio non deprivato prevalgono a scapito di quelle guidate dall'occhio deprivato. Numerosi fattori e meccanismi sono in grado di controllare gli effetti della deprivazione monoculare e quindi di modulare i fenomeni plastici. Recentemente si è dimostrato che fattori neurotrofici, come il fattore di crescita nervoso (nerve growth factor, NGF) scoperto da Rita Levi-Montalcini nel sistema simpatico, sono in grado di modulare la plasticità corticale visiva durante il periodo critico. Secondo questo modello, i fattori neurotrofici, come il NGF e il fattore neurotrofico derivato dal cervello (brain-derived neurotrophicfactor, BDNF) sono liberati da alcuni neuroni e captati da altri con cui sono connessi e che esprimono recettori specifici; i neuroni dotati di scarica elettrica quanti-tativamente e qualitativamente adeguata sono premiati, ricevendo la loro quantità di fattore neurotrofico, e le loro sinapsi sono stabilizzate. Resta ancora da chiarire se l'azione dei fattori neurotrofici avvenga prevalentemente per via anterograda e/o per via retrograda, ovvero se questi fattori diffusibili siano liberati dalle fibre afferenti alle cellule bersaglio o viceversa. A livello cellulare, si è proposto che la plasticità sinaptica a lungo termine dipendente dall'attività neuronale, di tipo LTP (potenziamento sinaptico a lungo termine) e LTD (depressione sinaptica a lungo termine), e strutturale, come il pruning e lo sprouting dendroassonale o rimodellamento delle spine sinaptiche, rappresentino la base cellulare della plasticità corticale visiva. I fattori coinvolti sono rappresentati dal sistema glutammatergico, in particolare le sottoclassi di recettori NMDA e di recettori metabotropici, dal sistema noradrenergico del tronco encefalico, dal sistema colinergico del telencefalo basale e dal sistema GABAergico, che forma connessioni intrinseche di natura inibitoria.
L'attività neuronale dipendente dall'esperienza sensoriale è quindi in grado di
modulare la specificità dei rapporti sinaptici nelle singole aree cerebrali e
di determinare la maturazione di funzioni cellulari, come la risposta da parte
di neuroni corticali visivi a un occhio piuttosto che all'altro (dominanza
oculare), la risposta all'orientamento e alla direzione di movimento di uno
stimolo visivo o tattile, la risposta a determinate frequenze di uno stimolo
acustico nelle rispettive aree corticali visive, somatosensoriali e acustiche.
Quanto riportato suggerisce che la maturazione postnatale di una determinata
area cerebrale possa risentire di una deprivazione sensoriale fino a sviluppare
alterazioni funzionali e strutturali. Questo è esattamente quanto dimostrato nei
mammiferi, dove una deprivazione completa dello stimolo visivo dalla nascita
(allevamento al buio) induce un rallentamento della maturazione e
un'alterazione delle aree corticali visive difficilmente recuperabile dopo la
fine del periodo critico. è esperienza comune che bambini vissuti fin dalla
nascita in ambienti scarsamente stimolanti, se non addirittura in condizioni di
deprivazione sensoriale, siano successivamente andati incontro a problemi
di deficit sensoriali spesso associati a una coordinazione motoria molto povera.
In un classico esperimento d'arricchimento, Greenough e i suoi collaboratori
hanno allevato ratti dello stesso ceppo dopo lo svezzamento in tre differenti
condizioni: in un caso i ratti erano uno per gabbia e allevati in condizioni
standard, in un'altra gabbia erano in gruppo, mentre nella terza condizione
erano in gruppo all'interno di una gabbia di ampie dimensioni che era fornita
di una ricca varietà di oggetti. Quello che variava era quindi il grado
d'arricchimento sociale e/o sensoriale: ebbene, i neuroni degli animali
allevati in condizioni d'arricchimento sociale e sensoriale erano
caratterizzati da un piu' alto numero di sinapsi e di alberi dendritici dei
singoli neuroni. Anche l'arricchimento motorio, ovvero l'allevamento in gabbie dotate di scale ruotanti
in cui i roditori amano correre, si riflette
positivamente sullo sviluppo non solo delle aree corticali motorie ma anche su
quello di altre aree cerebrali non strettamente coinvolte nell'attività motoria.
Analogamente il coinvolgimento dei ratti in compiti cognitivi è in grado di
influire sullo sviluppo di diverse aree cerebrali.
Periodo di plasticità massima del cervello nel bambino Per i primi quattro-sei anni, il cervello del bambino sviluppa un alto numero di contatti
sinaptici; i processi di maturazione neurale continuano fino a diciotto-vent'anni
con il processo di mielinizzazione, che è uno dei piu' tardivi a completarsi. Da
quanto riportato dagli studi condotti su differenti modelli animali, si puo'
ipotizzare che i primi anni di vita del bambino siano caratterizzati da un
elevato grado di neuroplasticità e di reattività a stimoli ambientali in
condizioni normali e patologiche.
La reattività a lesioni nervose consente di utilizzare numerose osservazioni
cliniche per fare luce sul grado e tipo di plasticità che caratterizza il
cervello del bambino. In questo contesto, il termine neuroplasticità assume il
significato di una capacità reattiva del SNC a elaborare cambiamenti
strutturali e funzionali in risposta a eventi patologici.
Fino a pochi anni or sono, si riteneva che il recupero dei deficit
postlesionali fosse facilitato durante i primi anni di vita del bambino, in
quanto l'elevato grado di plasticità indirizzava i meccanismi riparativi. Dopo
anni di osservazioni cliniche condotte in bambini affetti da lesioni del sistema
nervoso, si è imparato che il recupero non è funzione solo dell'epoca in cui si
è verificata la lesione, ma anche del tipo, della dimensione e della
sede della
lesione, oltre che della distanza temporale che intercorre tra la lesione e il
momento in cui il bambino è esaminato. Per esempio, mentre lesioni delle aree
temporali anteriori, che inducono un deficit di riconoscimento visivo, vanno
incontro a un buon recupero nel tempo se confrontate con analoghe lesioni
nell'adulto, lesioni parziali a livello dello stesso lobo temporale, ma piu'
spostate posteriormente provocano deficit visivi quasi permanenti.
In vista di un possibile recupero funzionale è importante considerare i
meccanismi alla base della neuroplasticità, che sono rappresentati dal
reclutamento di cellule e sistemi neuronali funzionalmente omologhi, dalla
sinaptogenesi o dall'utilizzo di sinapsi precedentemente silenti e dal
cambiamento dell'efficacia sinaptica (LTP e LTD). Non in tutte le
aree cerebrali sono utilizzati meccanismi di neuroplasticità identici per
recuperare un deficit. Lesioni delle aree corticali frontali che determinano
alterazioni della memoria di lavoro, per esempio, vanno incontro a un recupero
anomalo del deficit che risulta in una povertà d'esecuzione di test mirati.
Questo sembra dipendere dall'intervento di altre strutture cerebrali, come i
nuclei della base, che assumono un ruolo preminente nel controllo della
funzione, in seguito alla lesione, ma che non sono capaci di prestazioni
altrettanto efficienti.
Questi risultati suggeriscono che la neuroplasticità non puo' essere considerata
alla stregua di una funzione la cui finalità è quella di riparare la lesione e
recuperare il deficit, bensi' come una proprietà essenziale dello sviluppo del
cervello in condizioni normali e patologiche.
Una forma di plasticità intensamente studiata negli ultimi anni è la
modificabilità delle mappe corticali di un soggetto adulto in seguito a variazioni
degli input a livello periferico. è stato dimostrato, soprattutto
grazie agli studi di Michael Merzenich e John Kaas, che in un'area corticale
deprivata della stimolazione proveniente dalla periferia, ovvero dell'attività
neuronale evocata, è possibile, dopo un periodo iniziale, evidenziare una nuova
rappresentazione nervosa. In altri termini, la regione di corteccia che non
riceve piu' informazioni dai recettori che fanno capo al nervo inattivato viene
occupata dalla rappresentazione delle regioni periferiche vicine.
Questi esperimenti sono stati condotti dapprima nel sistema somatosensoriale,
utilizzando una vasta gamma di modificazioni periferiche (dal taglio di un nervo
alla sua legatura o al suo schiacciamento, dall'amputazione di un dito alla
fusione di due dita adiacenti) e successivamente anche in altri sistemi
sensoriali, come quelli visivo e uditivo, e nella corteccia motoria.
Se una scimmia riporta una lesione del nervo mediano che, insieme con il nervo
ulnare, trasmette la sensibilità della mano, la mappa dei campi recettivi
nella corteccia somatosensoriale controlaterale si modifica. Le osservazioni condotte principalmente nelle aree corticali somatosensoriali,
visive e acustiche introducono a un tipo di plasticità che è coinvolta nei
cambiamenti cerebrali conseguenti a lesioni del sistema nervoso periferico o
centrale. Osservazioni cliniche condotte in pazienti che hanno subito l'amputazione
di un arto hanno messo in evidenza che la rappresentazione corticale dell'arto
si riduce nel tempo, mentre quella di aree limitrofe, corrispondenti anche a
differenti zone del corpo, si espande.
Alla base dei processi plastici coinvolti nella riorganizzazione neuronale in
seguito a lesione è il reclutamento di cellule neuronali funzionalmente
omologhe, ma anatomicamente distinte, come avviene in seguito a lesione della
via motoria corticospinale di tipo piramidale, dove possono essere utilizzate
vie corticospinali non piramidali, quali il fascio rubrospinale. Altri
meccanismi sono rappresentati dalla sinaptogenesi e/o dall'utilizzo di
connessioni sinaptiche già presenti, ma funzionalmente silenti, nella stessa
area della lesione o in aree limitrofe e disponibili a ricevere le afferenze
dalle vie in grado di vicariare la funzione lesa; anche la riorganizzazione
dell'arborizzazione dendritica (aumento del numero e della disposizione dei
processi dendritici e delle spine sinaptiche) partecipa ai meccanismi che sono
coinvolti nella plasticità indotta da alterazioni nervose. Infine, è stato
riportato che pazienti affetti da episodi ischemici che colpiscono differenti
aree cerebrali possono andare incontro a un recupero funzionale basato su
cambiamenti della plasticità sinaptica anche a distanza di poche settimane dalla
lesione.
Da vari studi emerge che in pazienti affetti da lesioni del sistema nervoso i
meccanismi di neuroplasticità, se attivati correttamente, consentono un
recupero strutturale e funzionale con conseguente riduzione dei deficit. Un buon
recupero funzionale è favorito da adeguati trattamenti riabilitativi volti a
favorire i differenti meccanismi di neuroplasticità illustrati e che sono
attivabili nelle sedi lese in quanto intrinseci; la partecipazione attiva dei
pazienti stessi alla riabilitazione facilita e indirizza il recupero
funzionale.
Un recupero spontaneo è sempre possibile, in quanto il substrato della
neuroplasticità, ovvero la reattività agli stimoli ambientali, è intrinseco al
sistema nervoso, anche se varia nelle differenti regioni nervose e si basa su
meccanismi che possono differire. Queste considerazioni comportano che un
recupero spontaneo, non controllato dal fisiatra, possa dare luogo ad anomalie
funzionali e strutturali, come già discusso a proposito del recupero di deficit
cognitivi in bambini affetti da lesioni cerebrali localizzate.