Prima visita
Dinanzi ad un paziente che giunge per la prima volta alla visita lamentando stitichezza sono almeno sei gli obiettivi
che il medico si deve porre:
1. stabilire un rapporto di fiducia reciproca
con il paziente;
2. determinare l'esordio, e il successivo
sviluppo, della condizione clinica;
3. comprendere perché il paziente ha deciso
di rivolgersi al medico per una condizione che dura da molto tempo;
è importante valutare attentamente l'evoluzione nel tempo del disturbo, ricercando eventuali abitudini dietetiche o comportamentali potenzialmente responsabili di stipsi. Quando, nel raccogliere la storia clinica, domandiamo "da quanto tempo soffre di stipsi", molti pazienti rispondono "da sempre" o da "molti anni". In effetti, guardando le casistiche riportate negli studi clinici sulla stipsi cronica la maggior parte dei pazienti arruolati riferisce molti anni di malattia. Una così lunga storia implica che il paziente ha messo in atto dei comportamenti e/o attuato terapie per controllare il disturbo, ma venendo adesso dal medico, ci domandiamo perché i vari rimedi utilizzati non abbiano funzionato e che cosa lo spinga a chiedere aiuto dopo tanti anni. Esistono diverse modalità di comportamento nella gestione della stipsi, e motivazioni per la richiesta di visita medica, da parte del paziente.
La stipsi funzionale, in particolare
nella donna, inizia solitamente alla, o subito dopo, la pubertà, con una progressiva
riduzione della frequenza dell'alvo, mediamente ogni 5-10 giorni, che non viene
avvertita come un disturbo in quanto non accompagnata né da difficoltà evacuativa
né da sintomi addominali. La rarefazione dell'atto evacuatorio, che si normalizza
durante il ciclo mestruale, viene vissuta come un aspetto facilitante la vita
quotidiana e pertanto un periodo felice al quale, nel corso di diversi anni, segue
la progressiva comparsa della distensione addominale, che diventa talmente fastidiosa
e talora dolorosa da indurre, finalmente, la richiesta di visita medica.
In questo tipo di comportamento il paziente,
anche se disturbato dalla presenza della stipsi per la rarefazione e difficoltà
della defecazione, non ricorre all'uso dei lassativi ma, negli anni, cerca di regolarizzare
l'alvo con diete, iperattività fisica e sforzi durante l'atto evacuatorio, tuttavia
l'entità della sofferenza, l'interferenza del disturbo nella vita quotidiana e l'insorgere
di complicanze spingono finalmente il paziente a richiedere aiuto al medico.
L'assunzione prolungata, spesso sotto
forma di automedicazione, di lassativi e clisteri da parte dei pazienti è un'evenienza
frequente che spesso interferisce con la valutazione anamnestica del quadro
clinico e il trattamento della stipsi. L'uso continuo di lassativi e/o di clisteri
impedisce, infatti, al paziente di fornire informazioni attendibili sul suo alvo
spontaneo, sulla consistenza delle feci e sull'eventuale difficoltà ad evacuare.
In questa situazione è importante eseguire un'attenta valutazione dell'alvo e dell'uso
di lassativi e/o clisteri e/o preparati evacuativi.
Il medico può avere difficoltà a valutare
l'entità del disturbo e se il paziente possa gestire l'alvo con una dose minore
o addirittura senza lassativi o se invece il paziente non ha affatto alcuna alterazione
dell'alvo ed il suo unico disturbo è rappresentato dalla mancanza di un normale
stimolo alla defecazione, come conseguenza dello svuotamento artificioso indotto
dai lassativi. Nei pazienti che hanno assunto o assumono lassativi, è opportuno
indagare dettagliatamente sul loro impiego e sulla possibile comparsa di effetti
collaterali. Per valutare più oggettivamente i disturbi può essere utile un diario,
nel quale il paziente riporta la frequenza dell'alvo, la consistenza delle feci,
le caratteristiche dell'evacuazione ed eventuali sintomi significativi per un periodo
nel quale si astiene da lassativi o clisteri. Autogestione della stipsi con lassativi
è il comportamento più frequente che può avvenire con due principali modalità. In
questa condizione si trovano, non sapendolo, quei pazienti che fanno uso di lassativi
sotto forma di erbe, le più efficaci delle quali sono a base di antrachinonici.
La prima modalità è l'impiego del lassativo al bisogno, usando generalmente un lassativo
da contatto stimolante o osmotico salino a dosi, e con effetti, catartici ad intervalli
di tempo regolati dal disturbo derivante dall'ingombro fecale e dalla distensione
addominale.
La durata dell'intervallo è variabile ma usualmente una, due volte alla settimana. Tale pratica spesso comporta, dopo l'assunzione di un lassativo catartico, una vigorosa attivazione della contrattilità intestinale con crampi e dolore colico, l'avvio della defecazione con sforzo per la presenza di feci che sono secche e dure ("il c.d. tappo fecale" nell'ampolla rettale), una evacuazione dolorosa e successivamente ancora la possibilità, per il protrarsi dell'azione farmacologica del lassativo, di ulteriori stimoli evacuatori e dolori addominali per spasmi dell'intestino. L'assunzione del macrogol al bisogno, se a basso dosaggio pari a 15-30 g/die, come di solito riportato nelle modalità di uso, non è efficace perché il suo effetto lassativo si realizza dopo più giorni consecutivi di terapia, se ad alto dosaggio più di 2 litri insieme, è efficace nell'indurre la defecazione, ma svolgendo un'azione di lavaggio tende a vuotare il colon dalle feci ed è seguito da un periodo di stipsi fintante che il colon non si sia nuovamente riempito. La seconda modalità è il ricorso al lassativo quotidiano con evacuazioni di feci non formate o liquide ogni giorno, nessuna difficoltà evacuativa, ma comparsa di distensione e dolori addominali. Quest'ultima forma di comportamento può essere motivata da diverse cause: la convinzione che si debba evacuare ogni giorno per essere normale, il timore che un episodio di ostruzione o perforazione avvenuto in precedenza per fecaloma possa ripetersi, per tentare di eliminare la sensazione di distensione addominale, per avviare lo stimolo della defecazione da tempo scomparso. Alcuni pazienti sono convinti che sia necessario evacuare ogni giorno o più di una volta al giorno. Altri, pur avendo un alvo normale, ritengono che sintomi come il gonfiore o il dolore addominale, la nausea o il mal di testa siano dovuti ad uno svuotamento intestinale insufficiente e possano migliorare con evacuazioni più frequenti. Questi soggetti ricorrono abitualmente ai lassativi senza ottenere nessun vantaggio sui sintomi che, al contrario, possono peggiorare proprio a causa dei lassativi.
L'uso di preparati evacuanti per via
rettale a base di glicerina o che liberano gas può non essere soddisfacente nei
pazienti con rallentamento delle feci nel colon o se impiegati al bisogno dopo diversi
giorni di mancata evacuazione e conseguente accumulo di feci disidratate nel rettosigma
e/o colon. In queste condizioni il beneficio è limitato alla emissione di scarse
quantità di feci presenti nel retto, ma permane il senso di mancato svuotamento
intestinale e talora la difficoltà e lo sforzo alla defecazione per le feci dure
e caprine. L'uso quotidiano o comunque frequente e protratto nel tempo di clismi
iperosmolari e supposte a base di lassativi stimolanti da contatto può essere insoddisfacente
per gli effetti collaterali di tenesmo e dolore retto-anale e per inefficacia nei
casi di rallentamento delle feci nel colon. Il ricorso al clistere evacuativo
non è di per sé una modalità di trattamento da praticare nella gestione della stipsi
cronica funzionale. Il ricorso quotidiano o comunque frequente al clistere evacuativo
come terapia continuativa è insoddisfacente perché, vuotando il colon, tende a mantenere
artificiosamente una riduzione della frequenza dello stimolo e della defecazione
spontanea.