La chemioembolizzazione epatica (TACE) rappresenta oggi uno dei trattamenti
più diffusi del tumore epatico non resecabile con riferimento all'epatocarcinoma
(HCC).
Altri trattamenti che si affiancano e la completano sono:
a) termo ablazione a RF
b) laser, micro-onde
c) crio-ablazione
d) alcolizzazione del nodulo.
L'incidenza di questa neoplasia (HCC) nella popolazione occidentale, da sempre in continua ascesa, sembrerebbe ora in fase di stabilizzazione.SI tratta di un tumore epatico maligno che origina dagli epatociti. Puo' insorgere su fegato sano o, piu' comunemente, su fegato affetto da cirrosi. Sono presenti tumori ben differenziati e forme indifferenziate che generalmente sono quelle piu' aggressive.
L'epatocarcinoma e' il tumore primitivo piu' frequente del fegato. Tra tutti i tumori e' il quinto per frequenza negli uomini e l'ottavo nelle donne. In Italia l'incidenza di HCC si aggira intorno ad 11 casi ogni 100.000 abitanti. Si stima che ogni anno nel mondo ci siano 1.000.000 di nuovi casi. La variabilita' geografica con cui si presenta la neoplasia epatica e' principalmente connessa ai fattori di rischio. Tra questi i piu' rilevanti sono rappresentati delle infezioni da virus epatico B e C. L'italia rappresenta un'area a rischio intermedio. La fascia d'eta' piu' colpita e' compresa tra i 60 e gli 80 anni, il sesso maschile e' piu' colpito rispetto a quello femminile.
La cirrosi epatica rappresenta il fattore di rischio piu' importante per lo sviluppo del tumore, tanto che la maggior parte dei casi di neoplasia si presenta su fegato cirrotico. Le condizioni che portano piu' frequentemente alla cirrosi sono le infezioni da epatite B e C oltre all'abuso di alcool. L'infezione da virus B costituisce il fattore di rischio piu' importante. L'eta' di infezione, il sesso maschile e la presenza di danno attivo del fegato, associato alla replicazione del virus, rappresentano dei fattori di rischio molto importanti e spesso l'HCC si puo' presentare nei portatori cronici di epatite B, anche in assenza di cirrosi. Fattori determinanti in grado di aumentare il rischio di sviluppare HCC in una cirrosi ad eziologia alcolica sono: l'eta' avanzata, il sesso maschile, la presenza di infezione da epatite B e C. Fattori di rischio meno conosciuti e meno frequenti nelle nostre aree, che possono portare al cancro, sono le aflatossine (tossine assunte con la dieta, presenti nei cereali conservati nei climi caldo-umidi come l'Africa e il sud-est Asiatico). Inoltre anche le malattie metaboliche come l'emocromatosi (accumulo di ferro), il morbo di Wilson (accumulo di rame), il déficit di alfa-1-antitripsina, la tirosinemia di tipo 1 e le glicogenosi possono portare ad un aumentato rischio di sviluppo di cirrosi e HCC.
Nodulo di epatocarcinoma aggredito dalla chemioembolizzazione: notare la neoformazione di vasi attorno alla neoplasia |
La chemioembolizzazione intraepatica consiste in un trattamento regionale indicato in caso di neoplasie epatiche maligne. Le indicazioni principali alla chemioembolizzazione intraepatica sono la non resecabilità chirurgica e la presenza di una lesione confinata al fegato. Questa procedura comprende l'infusione intrarteriosa di agenti chemioterapici e l'angioembolizzazione dei vasi afferenti alla neoplasia, una combinazione che garantisce un'elevata concentrazione locale del farmaco e l'ischemia del tessuto neoplastico, con riduzione della tossicità sistemica. La tecnica prevede l'incannulamento, previa anestesia locale, dell'arteria femorale a livello dell'inguine. Attraverso questo accesso e con particolari guide e cateteri è possibile raggiungere l'arteria epatica e iniettare un'apposita sostanza (mezzo di contrasto) che consente di visualizzare radiologicamente la distribuzione delle arterie del fegato (angiografia) e la presenza di epatocarcinoma (definendone numero e diametro). Posto l'apice del cateterino a livello dell'arteria epatica propria si iniettano poi le sostanze tossiche (antiblastici) che determineranno la necrosi tumorale.
La chemioembolizzazione intraepatica è una procedura
relativamente sicura ed efficace dal momento che i tumori epatici ricevono la loro
vascolarizzazione dall'arteria epatica. La presenza di una duplice irrorazione epatica
(dall'arteria epatica e dalla vena porta) consente un'embolizzazione sicura
e con minimo rischio di ischemia epatica. Al termine della procedura il paziente
dovro' rimanere sdraiato e con una medicazione compressiva all'inguine per alcune
ore per evitare le complicanze dovute alla emorragia nella sede della puntura dell'
arteria femorale. E' frequente la comparsa di febbre attribuibile alle tossine
rilasciate dal "dissolvimento" del tumore associata a dolore al fianco con gastralgia
e nausea. Tale sintomatologia è solitamente controllabile con comuni terapie antidolorifiche,
antiacide, antiemetiche e antipiretiche. La chemioembolizzazione intraepatica
dovrebbe essere impiegata per il trattamento di pazienti con neoplasie epatiche
maligne. L'intervento chirurgico rappresenta il trattamento di scelta in caso di
pazienti con neoplasia epatica maligna. Sfortunatamente, molti di questi pazienti
non risultano candidati all'intervento chirurgico a causa dell'estensione del tumore,
dell'infiltrazione vascolare, delle associate alterazioni funzionali epatiche o
della presenza di metastasi a distanza. Inoltre, in questi pazienti si ottengono
scarsi risultati con altre procedure terapeutiche convenzionali come la chemioterapia
sistemica o la radioterapia. La chemioembolizzazione intraepatica risulta efficace
in caso di carcinoma epatocellulare, metastasi da carcinoide e da tumori pancreatici
appaiono incoraggianti; tuttavia, i risultati sono poco promettenti in caso di metastasi
da tumori del colon-retto. Questa procedura risulta efficace come palliativo nel
trattamento dei sintomi, anche se non è stato riscontrato alcun incremento in termini
di sopravvivenza.