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Non è sicuramente un male, ma forse un indubbio vantaggio, che si conservi ancor
oggi questa tradizionale suddivisione, giacché, se è vero che l'attuale decorso
clinico della malattia nulla o ben poco ricorda di quello che in era preantibiotico-chemio-terapica
era la norma, è altrettanto vero che nulla o poco è cambiato nell'evoluzione delle
lesioni intestinali, che seguono il loro abituale andamento anche dopo che il processo
morboso sembra apparentemente superato; è questa una insidia che non va dimenticata!
Il periodo di incubazione che, come abbiamo visto, corrisponde alla fase di penetrazione
delle salmonelle nelle linfoghiandole mesenteriche, della durata di 1-3 settimane,
non è caratterizzato da una fenomenologia ben determinata: i disturbi lamentati
dal paziente sono: malessere generale, cefalea, astenia, insonnia, stipsi e qualche
modesto ed irregolare movimento subfebbrile.
L'esordio clinico della malattia coincide
con la fase di invasione della malattia, vale a dire con la fase batteriemica, durante
la quale la febbre assume un andamento caratteristico, elevandosi ogni giorno ad
un livello superiore a quello del giorno precedente (febbre a scaglioni, febbre
a gradini) per raggiungere, nel giro di una settimana, anche i 40°, intorno a cui
si mantiene nell'immediata successione di tempo. Contemporaneamente,
verso
la fine del 1° settenario e l'inizio del 2°, si ha la comparsa, in numero limitato,
in genere non superiore a 5-10, delle tipiche roseole tifose che si localizzano
sulla superficie anteriore dell'addome e del torace, scompaiono facilmente alla
compressione con un vetrino coprioggetto e regrediscono spontaneamente nello spazio
di 4-5 giorni. Un altro elemento molto significativo che si apprezza già in questa
fase è la dissociazione polso-temperatura, nel senso che la frequenza del polso
non è proporzionata all'aumento della febbre (bradicardia relativa), mentre fanno
la loro comparsa o si accentuano le turbe gastrointestinali (nausea, inappetenza,
stipsi, lingua saburrale, gorgoglio ileo-ciecale) e comincia ad apprezzarsi spenomegalia
con viscere molle (milza vascolare) e indolente. Un altro elemento semeiologico
cui per il passato si è attribuita una notevole importanza diagnostica è l'apprezzamento
di una zona di ottusità di estensione variabile alla base del polmone di destra,
dovuta ad atelettasia polmonare, sul cui significato patogenetico ancora si discute. Caratteristiche cliniche essenziali del 2° settenario, sono la persistenza della
temperatura a livelli elevati con relativa bradicardia, l'assenza di sudorazione,
la comparsa di segni di grave disidratazione con labbra secche e screpolate, lingua
fuligginosa, secca, disepitelizzata ai margini ed alla punta (lingua a dardo, lingua
di pappagallo), con presenza di piccole ulcerazioni a stampo sui pilastri anteriori
del velopendulo (angina di Duguet)', addome meteorico, dolente alla palpazione,
con evidente gorgogli ileo-ciecale, alvo diarroico con emissione di feci color verde
pisello. Ma quello che, pur nella sua proteiformità, conferisce l'impronta peculiare
al quadro clinico è l'impegno del sistema nervoso che si traduce nella comparsa
di uno stato stuporoso, per cui il paziente giace abbandonato nel letto, stordito,
apatico ed indifferente all'ambiente che lo circonda, più di rado in preda a idee
deliranti e con tendenza a movimenti involontari delle mani o delle labbra. Sempre
nel corso del 2° settenario, comincia ad aversi un più severo impegno dell'apparato
cardiocircolatorio, con polso sempre bradicardico, ma molle e dicroto per l'ipotonia
tossica dei vasi periferici e tendenza alla progressiva riduzione della pressione
arteriosa. Contemporaneamente, la milza diventa chiaramente apprezzabile conservando
i caratteri prima ricordati.
Di transizione può essere definito il 3° settenario,
in cui si ha la caduta delle escare, la formazione delle ulcere tondeggianti od
ovali a margini netti con il maggior diametro disposto lungo l'asse dell'intestino,
e nel quale, per la prima volta, si fa evidente la tendenza ad ampie escursioni
della curva termica quotidiana (periodo anfibolico); mentre nel quarto settenario,
se la malattia è stata lasciata a sé e non sono nel frattempo intervenute complicazioni,
inizia la defervescenza per lisi, cui corrisponde sul piano anatomopatologico la
detersione delle ulcere e I 'inizio del processo di riparazione. A questo punto
si entra nella fase della convalescenza, nel corso della quale si ha una rapida
ripresa delle condizioni del paziente con aumento considerevole dell'appetito e
progressivo recupero del peso corporeo. Per le ragioni prima ricordate il decorso
della febbre tifoidea ben poco ha oggi in comune con quello tradizionale; giacché
lo sfebbramento, se la malattia viene tempestivamente diagnosticata e prontamente
curata, si ha nello spazio di 5-7 giorni; ma la suddivisione in stadi anatomoclinici,
seguita in era pre-antibiotica, conserva la sua validità ove si voglia rendersi
conto dei tempi in cui si verificano le principali complicazioni della malattia.
Anche se l'affezione sembra completamente superata, già alla fine della prima settimana
di decorso, le emorragie si verificano abitualmente verso la fine del secondo settenario,
epoca in cui si ha la necrosi delle placche del Peyer e dei follicoli solitari con
successiva caduta dell'escara, mentre la perforazione intestinale avviene in coincidenza
del terzo settenario per l'approfondimento delle ulcerazioni residuate alla necrosi
ed alla caduta dell'escara. Mentre il quadro dell'emorragia intestinale è quello
comune a tutte le gravi emorragie digestive e dipende dall'entità delle perdite
ematiche (anemizzazione acuta e fenomeni collegati, collasso ipovolemico, ecc.),
quello della perforazione, non di rado favorita oggi dall'associata terapia cortisonica,
si caratterizza per il dolore violento alla fossa iliaca destra, la contrattura
della muscolatura addominale, la chiusura dell'alvo alle feci ed ai gas, la scomparsa
dell'ottusità epatica, la caduta della pressione arteriosa sino allo shock tossiinfettivo.
La diagnosi di
tifo riposa, oltre che su talune peculiarità del quadro clinico (febbre a scalini,
roseole, stato stuporoso, ecc.) sull'isolamento dal sangue della Salmonella typhi,
la cui positività è peraltro oggi spesso inibita ed inficiata dagli spesso intempestivi
ed indiscriminati trattamenti antibiotici instaurati prima che si sia maturato un
plausibile orientamento clinico sulla vera natura del processo morboso che si vuole
depistare. In caso di negatività della emocoltura, nella fase in cui non si può
fare ancora assegnamento sulla presenza di un movimento anticorpale efficiente,
al posto dell'emocoltura si può fare vantaggiosamente ricorso alla sternomielocoltura,
mentre, al di là del terzo settenario e durante la fase della convalescenza, anche
per avere elementi utili ai fini della formulazione del giudizio sulla radicalità
delle terapie praticate, è indispensabile ricorrere alla coprocoltura. Soltanto
dopo che tre successive coprocolture, saranno risultate negative, il paziente potrà
essere considerato completamente guarito e dimesso dal reparto isolamento dove
era stato ricoverato. è ovvio che, poiché la positività della coprocoltura è condizionata
da continue immissioni di salmonelle nell'intestino, via bile (la cistifellea ne
è un ottimo serbatoio), la coprocultura potrà essere sostituita dalla bilicoltura.
La ricerca degli anticorpi agglutinanti, che un tempo veniva effettuata mediante
la classica sierodiagnosi di Widal, che in effetti evidenziava solo la presenza
di anticorpi contro l'antigene ciliare, si avvale oggi di tecniche che consentono
il dosaggio delle singole agglutinine anti-H, anti-O e anti-Vi. Le prime a comparire
sono le agglutinine anti-O che si lasciano evidenziare già fra il 6° ed il 10° giorno
di malattia e raggiungono titoli significativi nel periodo di stato; le agglutinine
anti-H fanno la loro comparsa in 10-15a giornata, raggiungono titoli
molto elevati e si lasciano documentare per parecchi anni; mentre le agglutinine
anti-Vi sono le ultime a comparire (3° settenario - convalescenza) e si lasciano
dimostrare finché nell'organismo sono ospitate delle salmonelle. Ve da tener presente
a questo riguardo che le terapie antibiotiche e corticosteroidee spesso indiscriminatamente
instaurate possono incidere sulla risposta anticorpale e falsare così il risultato
delle prove sierologiche.
Reperti complementari possono essere considerati la leucopenia
con granulocitopenia e linfomonocitosi. Particolare rilievo per il passato è stato
attribuito all'assenza nella formula leucocitaria degli eosinofili (aneosinofilia),
che ricomparirebbero invece nella fase di convalescenza della malattia, donde l'appellativo
di "cellule della salute", con cui essi venivano indicati dai vecchi medici. Numerose
sono le affezioni morbose che potrebbero entrare in discussione dal punto di vista
della diagnosi differenziale: noi ci limiteremo ad elencarne le principali senza
scendere in particolari, perché questo comporterebbe uno sviluppo della trattazione
di questa classica malattia incompatibile con le dimensioni e le finalità di questo
Compendio. Esse sono anzitutto altre affezioni sostenute da salmonelle, al tifo
strettamente imparentate, come il paratifo A e B, in cui tutte le manifestazioni
del quadro clinico sono attenuate ed il sensorio permane integro; certe rickettsiosi,
come il tifo murino, l'infezione palustre da Plasmodium falciparum, tutti gli stati
settici, ecc. La prognosi, a differenza di tempi non lontani in cui la mortalità
era elevata (intorno al 15%), è oggi generalmente buona a condizione che al riconoscimento
della malattia si arrivi tempestivamente ed altrettanto tempestivamente si instauri
la terapia antibiotica o chemioterapica. Fra gli antibiotici il più attivo è il
cloramfenicolo, anche se il suo impiego va fatto con cautela in funzione degli effetti mieloaplastizzanti che può indurre, donde la necessità di non eccedere con i dosaggi
e con la durata del trattamento. Il dosaggio più congrue si è dimostrato essere
di 2 g prò die in quattro dosi quotidiane di 0.5 g. Si consiglia di prolungare il
trattamento per almeno 15 giorni dopo la normalizzazione della temperatura; ma prudenza
vuole che si proceda a controlli ravvicinati della crasi sanguigna e che una volta
ottenuto lo sfebbramento si riduca la dose ad un solo g il giorno. Al posto del
cloramfenicolo può essere usato un suo analogo, il tiofenicolo, oppure l'ampicillina,
che, fenomeni di intolleranza individuale a parte, non è gravata da inconvenienti
di rilievo e offre anzi il vantaggio, essendo eliminata via bile, di agire sulle
localizzazioni della Salmonella typhi a livello del sistema biliare. Tra i chemioterapici
valida si è dimostrata, dopo i più antichi insoddisfacenti tentativi di cura con
sulfamidici (l'azione ipoglicemizzante delle sulfaniluree venne evidenziata per
la prima volta appunto nei pazienti affetti da tifo sottoposti a scopo curativo
a tale trattamento) l'associazione trimethoprim-sulfametossazolo. Quanto alla opportunità
di associare alla somministrazione di antibiotici e chemioterapici i cortisonici,
questi dovrebbero essere riserbati solo ai casi di particolare gravita, quando i
rischi sono compensati dai risultati che ci si attende dal loro impiego. Il rischio
più grave è quello delle emorragie e della perforazione intesti-nale, la quale ultima
verrebbe a mancare, per effetto della terapia cortisonica, degli aspetti più significativi
(dolore, febbre, ecc.). Alla terapia antinfettiva deve far da corredo l'adozione
di tutte quelle misure sintomatiche richieste dalle peculiari condizioni del caso.
Importante è soprattutto il reintegro della dotazione idroelettrolitica del paziente,
a mezzo della generosa somministrazione, per ipodermoclisi o fleboclisi, di liquidi
addizionati di glucosio, vitamine, elettroliti, ecc., a seconda delle necessità
del momento. In appendice al tifo, brevi cenni debbono essere dedicati alle affezioni
affini sostenute dalle Salmonelle paratyphi, rispettivamente A, B C, anch'esse produttrici
di un'endotossina, che con il tifo addominale condividono le principali caratteristiche
cliniche, se si prescinde dalla minore gravita del quadro sintomatologico, e dalla
assente o minore compromissione del sensorio. Anche la patogenesi
e l'epidemiologia sono sovrapponibili a quelle descritte per il tifo, eccezion fatta
per le S. paratyphi B e C che, oltre che per l'uomo, sono patogene anche per altre
specie di animali. Elementi differenziali riguardano invece le alterazioni anatomo-patologiche,
che nel paratifo interessano maggiormente il colon anziché il tenue e, riecheggiano,
come aspetto delle ulcerazioni, piuttosto quelle della dissenteria bacillare. L'eccertamento
diagnostico è affidato alle indagini colturali e sierologiche che sono le stesse
di quelle ricordate per il tifo. Anche la terapia è la stessa. Eziologicamente,
ma non epidemiologicamente e clinicamente, imparentate con il tifo addominale, sono
altre salmonellosi sostenute da germi, ospiti abituali di varie specie animali (roditori,
polli, suini, cavalli, volatili, ecc.), ma patogene anche per l'uomo nel quale si
rendono per lo più responsabili di gravi tossinfezioni alimentari. Questo gruppo
di salmonelle, di cui sempre nuove specie continuano ad essere identificate, infettano
l'uomo per via orale a mezzo degli alimenti contaminati. Superata la barriera gastrica,
le salmonelle giungono nell'ileo da cui si portano nei linfonodi mesenterici, per
diffondersi nell'organismo.