In Italia l'ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le
neoplasie, causando il 1%-12% di tutti i decessi per anno, e rappresenta la principale
causa d'invalidità. Ogni anno si verificano in Italia (dati estrapolati dalla popolazione
del 2001) circa 196.000 ictus, di cui l'80% sono nuovi episodi (157.000) e il 20%
recidive, che colpiscono soggetti già precedentemente affetti (39.000). Si calcola
che l'evoluzione demografica porterà, in Italia, se l'incidenza rimane costante,
ad un aumento dei casi di ictus nel prossimo futuro. Il numero di soggetti che hanno
avuto un ictus (dati sulla popolazione del 2001) e ne sono sopravvissuti, con esiti
più o meno invalidanti, è calcolabile, in Italia, in circa 913.000. Il tasso
di prevalenza di ictus nella popolazione anziana (età 65-84 anni) italiana è del
6,5%, più alto negli uomini (7,4%) rispetto alle donne (5,9%). L'incidenza dell'ictus
aumenta progressivamente con l'età raggiungendo il valore massimo negli ultra ottantacinquenni.
Però in tale soggetti è il sesso femminile più colpito.
L'ictus ischemico rappresenta la forma più frequente di ictus (80% circa), mentre le emorragie intraparenchimali riguardano il 15%-20% e le emorragie subaracnoidee circa il 3%. L'ictus ischemico colpisce soggetti con età media superiore a 70 anni, più spesso uomini che donne; quello emorragico intraparenchimale colpisce soggetti leggermente meno anziani, sempre con lieve prevalenza per il sesso maschile; l'emorragia subaracnoidea colpisce più spesso soggetti di sesso femminile, di età media sui 50 anni circa.
Lo studio eco-Doppler dei tronchi sovra-aortici è indicato nei soggetti con TIA
o ictus recente per un migliore inquadramento eziopatogenetico. L'angio-RM documenta
con sufficiente accuratezza la pervietà o meno dei vasi intra ed extra cranici.
Nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare ad elevato rischio di ictus è indicata la terapia anticoagulante orale mantenendo l'INR tra 2 e 3, purché il paziente non sia a rischio emorragico.Oggi, pero', si preferiscono impiegare i nuovi farmaci anticoagulanti orali. Nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare a rischio moderato di ictus è indicato scegliere tra la terapia antiaggregante orale con ASA (325 mg/die) e la terapia anticoagulante orale mantenendo l'INR tra 2 e 3 sulla base del possibile rischio emorragico, della possibilità di controllare l'INR per adeguare la terapia tenendo conto della compliance del paziente.
Nello studio RELY, il dabigatran è risultato non inferiore al warfarin nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale ed almeno un altro fattore di rischio; alla dose di 110 mg due volte al dì il farmaco è risultato più sicuro del warfarin nella riduzione degli eventi emorragici mentre a quella di 150 mg due volte al dì si è dimostrato più efficace nel ridurre l'end point primario ed anche gli eventi ischemici. Nei pazienti trattati con dabigatran 150 mg due volte al giorno, il tasso di emorragie gastrointestinali maggiori è risultato più elevato che nei pazienti trattati con warfarin, a parità di eventi avversi. Dabigatran a entrambi i dosaggi ha inoltre ridotto rispetto a warfarin l'incidenza di emorragie intracraniche, di sanguinamenti totali e di sanguinamenti pericolosi per la vita. Dabigatran, inoltre, ha ridotto la mortalità cardiovascolare e quella totale, anche se quest'ultima in maniera non significativa. Nello studio ROCKET-AF il rivaroxaban 20 mg una volta al dì è risultato non inferiore al warfarin nella prevenzione di ictus o embolia non cerebrale in pazienti con fibrillazione atriale ad alto rischio. Nei pazienti che assumevano effettivamente la terapia (analisi on treatment) il rivaroxaban è risultato anche superiore al warfarin nel ridurre il verificarsi dell'end-point primario. Il tasso di sanguinamenti ed eventi avversi nello studio è risultato simile nei pazienti che assumevano i due farmaci.
Tuttavia,
il gruppo dei pazienti trattati con rivaroxaban ha presentato, rispetto al gruppo
trattato con warfarin, un minor numero di emorragie intracerebrali e fatali ed un
maggior numero di emorragie che richiedevano trasfusione o che causavano riduzione
dell'emoglobina. Rivaroxaban ha inoltre ridotto il numero di infarti del miocardio
e la mortalità per ogni causa, anche se non in maniera statisticamente significativa.
Agli effetti della prevenzione dell'ictus, il trattamento con simvastatina 40 mg/die
è indicato nei pazienti ad alto rischio per patologie vascolari. Agli effetti della
prevenzione dell'ictus, il trattamento con atorvastatina 10 mg/die è indicato nei
pazienti ipertesi con almeno tre altri fattori di rischio per patologie vascolari.
Nello studio ARISTOTLE in pazienti con fibrillazione atriale ed almeno un altro
fattore di rischio per ictus apixaban 5 mg due volte al dì non solo è risultato
non inferiore al warfarin, ma addirittura superiore nel ridurre il rischio di ictus
ed embolia sistemica ed il rischio di sanguinamenti maggiori. Inoltre Apixaban ha
ridotto rispetto a warfarin l'incidenza di
emorragia intracranica, la mortalità per qualsiasi causa e il numero di infarti
anche se quest'ultimo non in maniera statisticamente significativa. Ad oggi non
è possibile un confronto indiretto tra le tre molecole a causa del diverso disegno
dei tre studi e delle differenze delle popolazioni arruolate.
La
terapia in acuto si avvale di:
a) trombolisi
b) trombectomia
In genere si ricorre al primo caso se l'occlusione è distale o se il trombo è parzialmente
occlusivo oppore se si tratta di trombosisu stenosi per cui si procede con fibrinolisi
e si attendono i risultati prima di reintervenire. La trombectomia si attua su paziente
selezionato, che viene studiato con TAC ed angio TC, che ha un trombo di un grosso
vaso e dopo trattamento endoarterioso si procede se NIHSS dà uno score fino a 7.
Ciò è possibile grazie a nuove tecniche che impiegano dei cateteri speciali, del
tipo STENTTRIEVER.
Numerose fonti di indicazioni terapeutiche (p.es Clinical Evidence 2011) continuano
a indicare la trombolisi come "trade off tra beneficio e danno", soprattutto alla
luce dei dati della Revisione
Cochrane, ove appare chiaro un beneficio in termini di riduzione dell'end-point
combinato "morte/disabilità", a fronte di un aumento del rischio di morte e delle
emorragie sintomatiche. Il dato è peraltro viziato da una elevata eterogeneità (I2
=62%), che ne riduce l'affidabilità. Sono quindi necessari nuovi dati, che da un
lato verifichino la solidità in termini statistici e clinici delle attuali indicazioni,
e dall' altro consentano di capire se è legittimo estendere l' indicazione ai pazienti
ultraottantenni ed a coloro che risultano trattabili tra 4,5 ore e 6 ore. Queste
considerazioni, pur non portando a modificare il grado della raccomandazione, debbono
però suggerire cautela nell' utilizzo in clinica delle informazioni disponibili,
e soprattutto nella loro estensione a pazienti che non corrispondono a quelli analizzati
nella revisione. La somministrazione di streptochinasi e.v. non è idicata.
Il trattamento con r-tPA e.v fra le 4,5 e le 6 ore presenta ancora una efficacia
tendenziale ma non statisticamente significativa. Lo studio randomizzato e controllato
verso terapia standard, chiamato IST3, ha l'obiettivo di rivalutare su una casistica
molto ampia, il rapporto rischio/beneficio del trattamento somministrato fino a
6 ore dall'esordio dei sintomi. I risultati saranno comunicati il 22-5-2012 alla
ESC di Lisbona. Al momento sappiamo che sono stati inclusi 3035 pazienti (di cui
326 in Italia); 1007 di questi sono stati inclusi tra 4,5 e 6 ore; 1407 avevano
piu' di 80 anni. 612 avevano una NIHSS da 0 a 5, mentre 428 avevano una NIHSS >
20. Il trattamento con r-tPA e.v. (0,9 mg/kg, dose massima 90 mg, il 10% della dose
in bolo, il rimanente in infusione di 60 minuti) è indicato entro 4.5 ore dall'esordio
di un ictus ischemico. Il trattamento anticoagulante con eparina non frazionata
o eparina a basso peso molecolare è indicato in pazienti con trombosi dei seni venosi.
L'uso di farmaci neuroprotettori non è indicato nel trattamento dell'ictus ischemico
acuto. I corticosteroidi non sono indicati nel trattamento dell'ictus ischemico
acuto. I diuretici osmotici (mannitolo, glicerolo) non sono indicati nel trattamento
sistematico dell'ictus ischemico acuto, ma solo per quanto concerne il trattamento
dell'edema cerebrale. Pazienti trattati con terapia anticoagulante orale con farmaci
anti-vit K e INR = 1.7 pur presentando un rischio più elevato di emorragia cerebrale
sintomatica hanno una mortalità ed un outcome funzionale comparabili a quelli di
pazienti non anticoagulati. Pertanto a giudizio del clinico possono essere sottoposti
a trombolisi i.v. o, nei centri adeguatamente organizzati, a trattamenti di rivascolarizzazione
i.a. Considerato il profilo di maggior sicurezza dei nuovi farmaci anticoagulanti
orali rispetto al warfarin relativamente al rischio di emorragie intracerebrali,
confermato nel sottogruppo dei pazienti con storia di pregresso TIA o ictus, è ragionevole
ritenere che sia possibile prendere in considerazione la trombolisi i.v. in pazienti
trattati con i nuovi anticoagulanti orali con effetto sub terapeutico, evidenziato
da test specifici e standardizzati che devono essere disponibili presso tutti i
centri dedicati.