I due tipi principali di leucemia cronica sono:
(1) la leucemia mieloide cronica (Chronic Myelogenous Leukemia, CML)
(2) la leucemia linfocitica cronica (Chronic Lymphocytic Leucemia, CLL).
Si possono sviluppare forme differenti di leucemia mieloide cronica, a seconda della linea delle cellule
tumorali (per es., leucemia neutrofilica cronica [Chronic Neutrophilic Leukemia,
CNL], leucemia eosinofilica cronici [Chronic Eosinophilic Leukemia, CEL]).
Diversamente da quanto accade nella leucemia acuta, nella leucemia cronica le
cellule sono ben differenziate e possono essere facilmente identificate. I
soggetti con leucemia cronica hanno un'aspettativa di vita maggiore, che in
genere si estende per diversi anni dal momento della diagnosi.
Le leucemie croniche sono responsabili della maggior parti dei casi negli
adulti, che comprendono circa il 30% delle leucemie nei Paesi occidentali. Si
stima che nel 2012, negli Stati Uniti, siano stati diagnosticati più di 15680
nuovi casi di CLL e 5920 nuovi casi di CML. L'incidenza di leucemia
linfatica cronica e leucemia mieloide cronica aumenta significativamente
negli individui di età superiore ai 40 anni, con maggiore prevalenza tra la
sesta e l'ottava decade. La leucemia mieloide cronica appartiene a un gruppo di
condizioni patologiche denominate
disturbi mieloproliferativi, che include
anche la policitemia vera, la trombocitosi essenziale e la mielofibrosi
idiopatica (invasione del midollo osseo da parte di tessuto fibroso).
La leucemia linfocitica cronica implica una trasformazione maligna e l'accumulo progressivo di linfociti B monoclonali; raramente in (meno del 5% dei casi) le leucemie linfocitiche croniche sono tumori che originano da cellule T. L'immunofenotipo tipico è caratterizzato dall'espressione delle molecole CD5, CD19 e CD23 e da bassi livelli di Ig di membrana e CD20. Il CD5 è una molecola che partecipa alla trasduzione del segnale ed è associata al recettore delle cellule B (B-Cell Receptor, BCR); il CD19 è un recettore a bassa affinità per gli antigeni che è espresso sulle cellule B in maturazione ma è assente nelle plasmacellule; il CD23 è un recettore a bassa affinità per la porzione Fc delle IgE. La leucemia linfocitica cronica deriva dalla trasformazione di una cellula B parzialmente matura che non è ancora venuta a contatto con l'antigene. Il gene per la regione variabile della catena pesante degli anticorpi (IGHV) è spesso mutato (nel 30-40% dei soggetti). Gli individui con mutazione del gene IGHV tendono a presentare una forma più benigna della malattia, con sviluppo più lento e meno maligno. Un numero significativo di queste mutazioni è associato a una sopravvivenza mediana superiore a 20-25 anni, mentre l'assenza di mutazioni è associata a un tasso di sopravvivenza più basso (sopravvivenza mediana 8-10 anni). L'eziologia della leucemia linfocitica cronica non è nota. La tendenza alla familiarità suggerisce un'associazione genetica; i parenti di primo grado hanno un rischio tre volte maggiore di sviluppare la malattia. Si osserva raramente in soggetti di età inferiore ai 45 anni e il 95% dei pazienti affetti ha un'età superiore ai 50 anni all'epoca della diagnosi. Anomalie genetiche si rilevano in circa il 90% dei casi, frequentemente delezioni, sebbene nessuna sia stata associata all'eziologia della leucemia linfocitica cronica.
Le cellule della leucemia linfocitica cronica che si accumulano nel midollo
interferiscono con la normale produzione di sangue, ma non nella stessa misura
osservata nelle leucemie acute. Questa è una caratteristica importante che
spiega la ridotta gravità della malattia nello stadio iniziale. L'accumulo di
cellule B tumorali è il risultato dell'arresto del ciclo cellulare in fase G0/G1.
Le cellule della leucemia linfocitica cronica tendono a esprimere livelli più
elevati di proteine anti-apoptotiche, come BCL2, e viceversa sopprimono le
proteine pro-apoptotiche, come BAX, il che riduce la loro sensibilità all'apoptosi.
Poiché il deficit fisiopatologico principale nella leucemia linfocitica cronica
è la mancata maturazione delle cellule B in plasmacellule che sintetizzano
immunoglobuline, spesso si verifica ipogammaglobulinemia (nel 60% dei
pazienti).
La leucemia mieloide cronica fa parte di una famiglia di disturbi
mieloproliferativi che include anche la policitemia vera, la
trombocitopenia essenziale, la mielofibrosi idiopatica cronica (invasione del
midollo da parte di tessuto fibroso), la leucemia neutrofilica cronica e la
leucemia eosinofilica cronica. La leucemia mieloide cronica è clonale e si
ritiene abbia origine da una cellula staminale ematopoietica. Le cellule
osservate nella leucemia mieloide cronica sono eterogenee quanto a
differenziazione, a seconda dello stadio della malattia.26 Durante la fase
cronica la cellula predominante è una cellula staminale ematopoietica di lunga
durata. Si osservano elementi leucemici precursori di granulociti-monociti. Il
cromosoma Philadelphia è presente in più del 95% dei casi di leucemia mieloide
cronica e la presenza della proteina BCR-ABL1 è responsabile dell'insorgere
della patologia. Nella malattia avanzata, l'accumulo di ulteriori mutazioni
conduce a un fenotipo leucemico più aggressivo.
Leucemia linfocitica cronica (CLL) (H-K). Quadro H. Lo striscio di sangue periferico
tipicamente mostra linfocitosi; le caratteristiche citologiche delle cellule
della CLL sono variabili. Quadro I. Le cellule classiche hanno un nucleo piccolo con
struttura cromatinica a "pallone da calcio". Quadro J. In alcuni casi si osserva un
aumento di cellule voluminose con cromatina più aperta e nucleoli prominenti
"perforati" (prolinfociti, sul lato destro). K. Il midollo osseo può mostrare
infiltrati nodulari di cellule della CLL.
Leucemia mieloide cronica (CML) (L-N). Quadro L. Lo striscio periferico mostra
leucocitosi marcata attribuibile a proliferazione granulocitica di tutti gli
stadi, con particolare incremento di mielociti e basofìlia assoluta. Quadro M. La
biopsia del core osseo mostra un midollo marcatamente ipercellulare attribuibile
a proliferazione granulocitica e aumento di piccoli megacariociti ipolobati. N.
L'aspirato di midollo osseo mostra proliferazione granulocitica e un mecariocita
piccolo, "nano".
La leucemia cronica progredisce lentamente e in modo
insidioso. Circa il 70% dei soggetti con leucemia linfocitica cronica è
asintomatico al momento della diagnosi. Quando compaiono i sintomi, il reperto
più comune è la linfoadenopatia. L'effetto più significativo della leucemia
linfocitica cronica è la soppressione dell'immunità umorale e l'aumento della
suscettibilità a infezioni da parte di batteri capsulati. Frequentemente il
numero di neutrofili è ridotto e ciò aumenta il rischio di infezione.
L'invasione della maggior parte degli organi non è frequente, ma
un'infiltrazione si verifica nei linfonodi, nel fegato, nella milza e nelle
ghiandole salivari. Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale è raro.
Circa il 10% dei soggetti affetti sviluppa un tumore più aggressivo, in genere
un linfoma diffuso a grandi cellule B. In questi pazienti si osservano
frequentemente affaticamento estremo, perdita di peso, sudorazione notturna,
febbre di basso grado, livelli elevati dell'enzima acido lattico deidrogenasi,
ipercalcemia, anemia e trombocitopenia.
I soggetti affetti da leucemia mieloide cronica possono procedere attraverso
tre fasi della malattia: una fase cronica che dura 2-5 anni, durante la quale i
sintomi possono non manifestarsi, una fase accelerata di 6-18 mesi in cui si
sviluppano i sintomi primari e una fase terminale blastica ("crisi blastica")
con sopravvivenza di soli 3-6 mesi. La fase accelerata è caratterizzata da
proliferazione eccessiva e accumulo di cellule maligne. La splenomegalia è il
reperto più comune. La milza può essere prominente e dolente, ma in genere non
vi è linfoadenopatia. Anche il fegato può ingrossarsi, ma raramente la funzione
epatica è compromessa. L'iperuricemia è comune e causa artrite gottosa.
Frequentemente si osservano anche infezioni, febbre e perdita di peso. La fase
blastica terminale è caratterizzata da leucocitosi rapida e progressiva con
aumento del numero di basofili. Negli stadi più tardivi della fase terminale,
che ricorda la leucemia mieloide acuta, predominano i blasti o promielociti e i
pazienti vanno incontro a crisi blastica.
Gli effetti acuti della leucemia mieloide cronica ricordano quelli della
leucemia acuta, ma con splenomegalia più pronunciata e milza dolente. La
funzione epatica è raramente alterata, nonostante l'ingrossamento del fegato, e
la linfadenopatia in genere si osserva solo nella fase acuta della malattia. L'iperuricemia
è invariabilmente presente e produce artrite gottosa. Infezioni, febbre e
perdita di peso si osservano comunemente nei pazienti con leucemia mieloide
cronica. La febbre, nelle fasi più avanzate, puòindicare lo sviluppo di una
leucemia prolinfocitica acuta o di un linfoma aggressivo. Un'iperviscositàclinicamente significativa (che puòprovocare sanguinamenti cutanei e mucosi,
disturbi visivi, cefalea e altre manifestazioni neurologiche mutevoli) è rara,
verificandosi soltanto quando il numero dei GB è >= 800 000/ml.
La diagnosi di leucemia cronica è ef-fettuata mediante
analisi di laboratorio su campioni di sangue periferico e midollo osseo. La
diagnosi di leucemia linfocitica cronica si basa sull'individuazione di una
linfocitosi monoclonale a cellule B nel sangue. Le cellule devono avere il
caratteristico immunofenotipo della leucemia linfocitica cronica (CD5+, CD19+,
CD20 [basso], CD23+) ed essere presenti in numero superiore a 5000 per un
periodo di tempo prolungate (in genere 4 settimane). Il midollo osseo può
contenere più del 30% di linfociti ed essere normocellulare o ipercellulare.
II trattamento spesso è stabilito sulla base di indicatori pro-gnostici e varia
dall'osservazione con trattamento di infezioni emorragie o complicanze
immunitarie fino a una varietà d: terapie farmacologiche. Poiché questa malattia
tipicamente s: manifesta in adulti di età avanzata e il tasso di progressione e
lento, spesso è semplicemente monitorata finché progredisce Meta-analisi di
studi randomizzati mostrano che per gli individui con malattia in stadio
precoce un trattamento immediate non offre alcun vantaggio, in termini di
sopravvivenza, rispette a un trattamento tardivo.
Caratteristicamente, i soggetti con leucemia linfocitica cronica sopravvivono
10 anni o più. Tuttavia, quelli che presentano alcuni marcatori di rischio
vanno incontro a una forma pi-aggressiva della malattia che riduce la
sopravvivenza a meno ed 3 anni. Gli indicatori di alto rischio includono anemia,
trombocitopenia e assenza di mutazioni del gene IGHV. Le mutazioni di IGHV
risultano strettamente correlate ai livelli di ZAP-70. intracellulare, la
cui valutazione può sostituire i test per l'individuazione di mutazioni del gene IGHV. ZAP-70 è una
tirosinchinasi associata
al recettore delle cellule T. La negatività per ZAP-70 è associata a una
maggiore sopravvivenza media. Normalmente questa proteina non è presente nelle
cellule leucemiche con mutazioni del gene IGHV, mentre è facilmente individuabile
mediante analisi immunoistologica nelle cellule □ IGHV non mutato.
La terapia più comune per i pazienti con la forma più aggressivi della malattia
è rappresentata dal clorambucil, somministrato con o senza corticosteroidi, su
base giornaliera o intermittente. Tale trattamento spesso allevia i sintomi,
senza però incidere sostanzialmenete sulla sopravvivenza. La terapia combinata
(CHOP) che include ciclofosfamide, idrossi-daunomicina (adriamcina), vincristina
e prednisone ha un migliore tasso di risposta, ma anch'essa non produce un
apprezzabile miglioramento della sopravvivenza. La fludarabina, un analogo
purinico, determina un tasso di risposta più elevato e maggiori intervalli
senza malattia. ma non ha effetto sulla sopravvivenza. L'uso del rituximab, un
anticorpo monoclonale murino anti-CD20, ha apportato benefici limitati nel
trattamento della leucemia linfocitica cronica (tasso di risposta del 20%). L'ofatumumab è un anticorpo monoclonale
umano anti-CD20 che
ha mostrato tassi di risposta complessiva rei 50% in soggetti con leucemia
linfocitica cronica.
Le modalità di trattamento attuali per la leucemia mieloide cronica non curano la
malattia, non impediscono la trasformazione blastica né prolungano il tempo
medio di sopravvivenza. Il trattamento standard consiste nella chemioterapia combinata nell'impiego di agenti che modificano la risposta biologica.
Il
trapianto allogenico di cellule staminali, sebbene sia
potenzialmente curativo, il suo impiego è ostacolato dalla scarsa disponibilità
di donatori e dall'elevata tossicità nei soggetti più anziani, che ne limita
l'uso nei pazienti di età superiore di 65 anni. Il trapianto allogenico di midollo osseo ha significativamente
aumentato il tempo di sopravvivenza (del 20-30%) quando attuato in combinazione
con alte dosi di radiazioni e chemioterapia e concomitante trattamento con
interferone. Gli agenti chemioterapici tradizionali più utilizzati sono l'idrossurea
e il busulfan. Lo sviluppo e l'introduzione dell'inibitore delle tirosinchinasi
imatinib mesilato come modalità di trattamento hanno cambiato l'attuale
gestione della leucemia mieloide cronica. L'imatimab mesilato, che è altamente specifico
della leucemia
mieloide cronica e per la soppressione dell'attività chinasica di BCR-ABL,
produce una risposta citogenetica mpleta in più dell'80% dei soggetti con
diagnosi recente. La soppressione dei sintomi ematologici si verifica nel 97%
dei parenti trattati e l'uso dell'imatinib mesilato è ormai divenuto la terapia standard per la leucemia mieloide cronica. Una piccola
percentuale di
pazienti sviluppa mutazioni aggiuntive di BCR-ABL che conferiscono resistenza
all'imatinib mesilato. Sono realmente in corso di studio diversi nuovi
inibitori delle tirosinchinasi per il trattamento della leucemia mieloide
cronica.