Già nei primi anni del '900, un geniale scienziato austriaco, Theodor Boveri, studiando lo sviluppo del riccio di mare, aveva intuito che i cromosomi contenevano l'informazione genetica e che squilibri nella segregazione dei cromosomi nelle cellule figlie potevano causare difetti di sviluppo, formulando così la teoria della natura cromosomica dell'ereditarietà. Sviluppando la sua teoria nel trattato sull'origine dei tumori maligni, Boveri postulò che i tumori fossero causati da sbilanciamenti nella distribuzione dei cromosomi, con un incremento del numero dei "cromosomi stimolanti la proliferazione" (sui quali verosimilmente erano localizzati degli oncogeni) ed una riduzione del numero di altri cromosomi in grado, altrimenti, di sopprimere la proliferazione (sui quali verosimilmente erano localizzati dei geni oncosoppressori). Queste straordinarie deduzioni anticiparono di quasi cento anni l'effettiva identificazione di oncogeni ed oncosoppressori. Gli oncogeni ed i geni oncosoppressori sono mutazioni geniche attivanti ed inattivanti nel cancro. Il cancro è causato dall'accumulo di molteplici mutazioni a carico di specifici geni: gli oncogéni ed i geni oncosoppressori. Nel caso degli oncogéni, le mutazioni determinano un'acquisizione di funzione (gain-of-function), viceversa gli oncosoppressori sono colpiti da mutazioni inattivanti (loss-of-function). Le mutazioni che colpiscono gli oncogeni, dovendo causare attivazione della funzione della proteina, sono in genere estremamente specifiche e dominanti (come ad esempio la mutazione dei codoni 12, 13, 61 dei geni RAS).
Al contrario, le mutazioni inattivanti dei geni oncosoppressori possono essere molto eterogenee [delezioni geniche, mutazioni non-senso, e mutazioni n slittamento della cornice di lettura (frame-shift)] ed il più delle volte sono recessive. Le prime evidenze sperimentali a supporto dell'esistenza dei geni oncosoppressori furono ottenute con esperimenti di fusione cellulare. Vari agenti, chimici quali il glicole polietilenico (PEG) o biologici come il virus Sendai (un paramixovirus), sono in grado di causare la fusione della membrana plasmatica di cellule adiacenti, determinando la formazione di un sincizio, ovvero un'unica cellula binucleata. Se le due cellule fuse hanno un patrimonio genetico diverso, il prodotto della fusione viene definito eterocarion. E' possibile selezionare gli ibridi sfruttando la differente resistenza ad antibiotici delle due cellule di partenza. Quando gli eterocarion entrano in mitosi, le due membrane nucleari si dissolvono ed i corredi cromosomici si fondono, dando origine a cellule con un doppio patrimonio genetico (tetraploide). Nella maggior parte dei casi, la fusione di una cellula normale con una cellula neoplastica genera cellule ibride con fenotipo normale. Questo risultato fu interpretato immaginando che il fenotipo tumorale della cellula di partenza fosse prevalentemente legato alla perdita di alcune funzioni chiave, e che tali funzioni venissero complementate dal genoma della cellula normale. I geni, integri nelle cellule normali ed inattivati nelle cellule tumorali, furono definiti geni oncosoppressori.
Gli esperimenti con gli ibridi cellulari
non solo anticiparono l'esistenza dei geni oncosoppressori, ma suggerirono anche
che, a differenza delle mutazioni che colpiscono gli oncogeni, le mutazioni dei
geni oncosoppressori erano recessive (dovevano cioè colpire
entrambi gli alleli) (Fig. 1). Come si vedrà in seguito, tuttavia, esistono
numerose eccezioni al paradigma: oncogeni <=> mutazioni dominanti; geni
oncosoppressori <=> mutazioni recessive.
Esistono due categorie di geni oncosoppressori: quelli di tipo gate-keeper e quelli di tipo care-taker. I care-taker ("curatori") sono quei geni che contribuiscono a mantenere l'integrità dell'informazione genetica, orchestrando il riparo dei danni subiti dal DNA ad opera di agenti genotossici. Dunque, i care-taker sopprimono la cancerogenesi in maniera "indiretta", riducendo il rischio che la cellula sviluppi mutazioni a carico di oncogeni e oncosoppressori. Come si vedrà in seguito, esempi di geni oncosoppressori care-taker sono quelli coinvolti nel cancro ereditario del colon non poliposico e nel carcinoma familiare della mammella.
I gate-keeper ("custodi") sono, invece, quei geni oncosoppressori che hanno la capacità di contrastare in maniera "diretta" l'acquisizione del fenotipo neoplastico. In un celebre articolo, Douglas Hanahan e Robert A. Weinberg hanno codificato le sei hallmark ("caratteristiche fondamentali") del fenotipo tumorale e geni oncosoppressori:
Proliferazione autonoma ->RB, P53, APC, NF1
Insensibilità agli stimoli-antiproliferativi->RB, DPC4
Resistenza all'apoptosi ->P53, PTEN
Resistenza alla senescenza ->RB, P53
Invasi vita e metastasi ->CDH1
Angiogenesi-> VHL
I gate-keeper si oppongono all'acquisizione di queste caratteristiche
svolgendo dunque un'azione opposta a quella degli oncogeni che invece promuovono
l'acquisizione delle hallmark del cancro. Altri gate-keeper che
controllano la proliferazione sono RB (il gene del retinoblastoma), P53
(il gene della sindrome di Li-Fraumeni), e APC (il gene della poliposi fanulare
del colon). I gate-keeper possono anche promuovere l'apoptosi (ad esempio
PTEN, il gene della sindrome di Cowden, o anche P53), bloccare
l'angiogenesi (VHL, il gene della sindrome di Von Hippel-Lindau). Infine,
alcuni gate-keeper bloccano l'invasività e le metastasi (ad
esempio CDH1, che codifica l'E-caderina, ed è responsabile del cancro gastrico
familiare).
Molti geni oncosoppressori sono stati scoperti studiando un gruppo di rare
neoplasie ereditarie trasmesse con modalità autosomico dominante. Il
retinoblastoma rappresenta il paradigma di queste malattie. Il retinoblastoma è
un tumore maligno delle cellule pigmentale della retina che colpisce circa 1 su
20.000 bambini.
La malattia insorge prima dei 6-8 anni di età e può presentarsi in forma
sporadica oppure familiare. Il retinoblastoma familiare insorge nel
50% dei figli di soggetti affetti (trasmissione autosomico dominante). A
differenza della forma sporadica, esso è spesso multifocale (presenza di più
tumori indipendenti a carico della retina), bilaterale (colpisce entrambi gli
occhi) e generalmente mostra un'età d'insorgenza inferiore rispetto alla forma
sporadica. Inoltre, i bambini affetti hanno una forte predisposizione a
sviluppare altri tipi di neoplasie quali l'osteosarcoma (circa 500 volte più dei
soggetti normali). E' possibile, infine, che il retino-blastoma insorga de novo
con una mutazione che colpisce uno dei due gameti; queste forme, determinando
comunque la presenza della mutazione in tutte le cellule somatiche, sono
assimilabili alla forma familiare malgrado l'assenza di malattia nei genitori.
Nel 1971, Alfred Knudson notò che il retinoblastoma bilaterale ( cioè familiare)
si manifestava nel corso degli anni con una cinetica compatibile con la
probabilità di sviluppare un singolo evento genetico (1 "hit" = 1 mutazione).
In sostanza, il modello di Knudson postulava che la mutazione di RB fosse recessiva e che dovesse essere, quindi, in configurazione bi-allelica per iniziare il tumore. La frequenza media di mutazione ad uno specifico locus è di circa 10-6 per ciclo cellulare. Quindi la probabilità che due mutazioni sequenziali ed a carico dei due alleli dello stesso locus avvengano nella stessa cellula molto bassa (10-12). Tuttavia eventi di ricombinazione genetica (crossing-over) tra i due cromosomi omologhi mediante la mitosi (ricombinazione mitotica) possono lentare notevolmente la frequenza di mutazione del condo locus. è anche possibile che, con un meccanismo definito conversione genica, durante la replicazione del DNA, un tratto di cromosoma normale venga copiato usando come stampo il cromosoma omologo contenente la mutazione. Sia la ricombinazione mitotica che la conversione genica rendono altamente probabile il verificarsi della seconda mutazione di RB e quindi la perdita dello stato di eterozigosi (da eterozigote RB +/- a omozigote RB +/+ o RB -/-) (LOH: loss of heterozygosity). Ricombinazione mitotica e conversione genica avvengono, infatti, con una frequenza 10-100 volte superiore a quella delle mutazioni spontanee. Il modello di Knudson spiega la trasmissione di tipo dominante del retinoblastoma e malattie simili. Infatti, ereditare una sola mutazione (primo hit) di fatto favorisce la seconda mutazione (secondo hit) e quindi la trasformazione neoplastica. Infine, il modello dei 2 hit offre anche una ragionevole spiegazione del fatto che le malattie tumorali familiari siano spesso legate a mutazioni di geni oncosoppressori. Queste ultime, infatti, necessitano di un secondo hit a livello somatico e quindi sono tollerate nella gametogenesi e nello sviluppo, perché in queste fasi esse sono ancora silenti. Al contrario, le mutazioni degli oncogeni, non richiedendo il secondo hit, sono fenotipicamente manifeste già nelle prime fasi dello sviluppo, compromettendone il corretto svolgimento. Esistono eccezioni a questo paradigma, come ad esempio la MEN2, una sindrome tumorale familiare legata a mutazioni attivanti l'oncogene RET, e le malattie tumorali familiari legate a mutazioni dei geni RAS o del pathway di RAS.
Il gene responsabile del retinoblastoma, RB (o RB1), è stato il primo
oncosoppressore identificato. Ispirandosi al modello di A. Knudson ed al
concetto di LOH, il gene RB fu isolato in base al fatto che la regione
cromosomica (13ql4) che lo contiene risultava deleta in alcuni casi di
retinoblastoma. La sua delezione, per definizione una mutazione loss-of-function,
confermava l'ipotesi che RB fosse un oncosoppressore.
RB codifica una proteina di 928 amminoacidi e del peso di 110 kDa (pi 10RB). La
proteina pllORB è un classico gate-keeper in grado di arrestare il ciclo
cellulare, controllando il punto R (punto di restrizione) alla fine della fase
GI del ciclo cellulare .
Tramite un dominio definito "A/B pocket". essa interagisce con fattori trascrizionali e con
enzimi capaci di rimodellare la cromatina (quali l'istone-deacetilasi HDAC) e
di reprimere così la trascrizione genica. In particolare, VA/B pocket lega
proteine che contengono la sequenza amminoacidica LxCxE (L = leucina; C =
cisteina; E = ac. glutammico; x = qualunque amminoacido).
I fattori trascrizionali più noti che legano pllORB sono quelli della famiglia
E2F. I fattori E2F, in particolare E2F1, in complesso con altre proteine
chiamate DPI, stimolano la trascrizione di geni coinvolti nella progressione del
ciclo cellulare (quali la ciclina E). RB ne blocca la funzione inibendo così il
superamento del punto R. La proteina RB, quando fosforilata, si stacca da E2F,
liberandone così la capacità di promuovere il ciclo cellulare. In particolare,
vie di trasduzione del segnale innescate dai fattori di crescita (ad esempio
quella delle MAPK, AKT, /S-catenina) stimolano la trascrizione della ciclina D.
La pi 10RB viene fosforilata dai complessi ciclina D-CDK4/CDK6 a bassa
stechiometria.
Questo libera piccole quantità di E2F che sono sufficienti per stimolare la trascrizione della ciclina E ed innescare la fosforilazione più intensa di p 11ORB ad opera del complesso ciclina E-CDK2. La pllORB iperfosforilata libera definitivamente E2F ed innesca la progressione del ciclo cellulare. Infatti oltre alla ciclina E, E2F stimola la sintesi di numerose proteine necessarie per la progressione in fase S (DNA polimerasi a, MCM, CDC6, ciclina A, timidino chinasi). Stimolando l'espressione di pl4ARF, E2F (e quindi indirettamente l'inibizione di RB), si attiva P53. Bloccando il ciclo cellulare, pi 10RB è anche coinvolta nell'arresto irreversibile della proliferazione, fenomeno noto come senescenza. Questo avviene in caso di invecchiamento cellulare, di danno al DNA, oppure di sollecitazioni proliferative inappropriate. L'induzione della senescenza è un meccanismo importante dell'azione di soppressione tumorale esercitata da RB. Infine, sebbene il controllo del punto R sia una componente essenziale dell'azione di pllORB, numerose altre proteine legano pi 10RB e mediano altri effetti importanti.
Alcune oncoproteine virali quali EIA di adenovirus. E7 di papillomavirus (HPV) e
Large T di SV40 sono in grado di sabotare il funzionamento di RB. Queste proteine virali,
legando la forma ipo-fosforilata di pllORB, ne bloccano la funzione (EIA, Large
T) oppure ne stimolano la degradazione (E7). In questo modo, simulando l'effetto
di mutazioni inattivanti di RB, i virus oncogeni promuovono la replicazione
della cellula ospite e con essa la loro stessa replicazione. Tipicamente le mutazioni di RB non si riscontrano nei casi di carcinoma della
cervice dell'utero causati da infezione da HPV; in questi casi infatti, la
proteina pllORB è inattivata da E7 e quindi non c'è nessuna pressione selettiva
a favore della sua inattivazione genetica. Come vedremo in seguito, il blocco di RB operato dai virus oncogeni a DNA è in grado tramite E2F
e pl4ARF) di causare attivazione di P53, il che risulterebbe in arresto della
crescita oppure apoptosi. Per questo motivo, probabilmente, i virus hanno
sviluppato dei meccanismi per bloccare simultaneamente i due oncosoppressori (RB
e P53).
La funzione di p 11ORB può essere abrogata anche in seguito a mutazioni che
colpiscono altri elementi del pathway. Importanti esempi di questo meccanismo
sono rappresentati dalle mutazioni di ciclina D, CDKN2A, di componenti del
pathway del TGF/S e di MYC.
In alcune neoplasie emopoietiche (linfoma mantellare e mieloma multiplo) la traslocazione del gene della ciclina D in prossimità dei promotori dei geni
delle immunoglobuline ne potenzia l'espressione, causando l'iperfosforilazione
di RB.
Il locus genico CDKN2A, localizzato sul braccio corto del cromosoma 9, codifica,
utilizzando cornici di lettura (open reading frames, ORF) alternative, due
importanti oncosoppressori pl6INK4A e pl4ARF implicati, rispettivamente, nel
controllo di RB e P53. pl6IN-K4A è un inibitore di CDK selettivo per le CDK4/6;
dunque, esso attiva pllORB bloccandone la fosforilazione. Come
discusso in seguito (Fig. 24.10), pl4ARF, invece, bloccando l'ubiquitino-ligasi
MDM2, stabilizza la proteina P53 aumentandone i livelli intracellulari.
Mutazioni inattivanti di CDKN2A, dunque, inattivano indirettamente sia RB che
P53. Esse sono estremamente comuni in neoplasie quali il glio-blastoma ed il
carcinoma del pancreas. A livello germinale, la mutazione di CDKN2A predispone
al melanoma familiare. Inoltre, sono stati descritti meccanismi epigenetici
(mediazione del promotore) che, anche in assenza di mutazione, sono in grado di
silenziare sia il gene RB che CDKN2A.
La famiglia del TGF/S (transforming growth factor fi) comprende un gruppo di
citochine.
Nelle cellule di carcinoma, il TGF/3, con meccanismi ancora in larga parte
sconosciuti, stimola la motilità e l'invasività cellulare (da qui il nome "transforming"
originariamente attribuito a queste citochine). Al contrario, in cellule
normali, il TGF/3 ha proprietà anti-proliferative. Il TGF/3 lega un recettore
chiamato TGF/SRII che a sua volta attiva un altro recettore chiamato TGF/3RI
dotato di attività serino/treonino chinasi. Una volta attivo, TGF/3RI fosforila
i fattori trascrizionali SMAD2/3, i quali in complesso con il cofattore SMAD4
(DPC4) entrano nel nucleo e stimolano l'espressione di alcuni specifici geni
bersaglio. Questo pathway. ad esempio, conduce alla trascrizione di pl5INK4B. un
inibitore di CDK4/6, in grado di inibire la fosforilazione di RB e dunque il
ciclo cellulare. Come descritto in seguito, mutazioni inattivanti di TGF/3RII
e SMAD4 (DPC4) sono importanti nella formazione del cancro del colon e del
pancreas e nella trasmissione ereditaria di una forma rara di poliposi
familiare. Infine, la proteina oncogenica MYC, un fattore trascrizionale del
tipo basic-helix-loop-helix, induce l'espressione di ciclina D e CDK4 e riduce
l'espressione di p21CIPl e pl5INK4B; questi eventi mediano così la
fosforilazione di RB e dunque la sua inattivazione funzionale.
indice