Non è possibile invertire il decorso di un'osteoporosi stabilita. Tuttavia, un intervento precoce può prevenire l'osteoporosi nella maggior parte delle persone e un intervento piu' tardivo può arrestare la progressione dell'osteoporosi una volta sviluppatasi. In presenza di una causa secondaria di osteoporosi, si dovrebbe intraprendere un trattamento mirato a correggere la patologia sottostante. Durante la fase acuta di una compressione vertebrale, l'attenzione è rivolta ad alleviare il dolore con analgesici, miorilassanti, calore, massaggi e/o riposo. Molti pazienti con problemi legati a fratture o deformità da osteoporosi traggono beneficio da un programma ben elaborato di fisioterapia. Alcuni pazienti sembrano trarre beneficio da un corsetto o da un busto ortopedico. Esercizi sotto carico e in scarico sembrano avere effetti benefici sulla massa ossea. Per la maggior parte dei pazienti sono appropriati esercizi per il potenziamento dei muscoli addominali e dorsali e spesso è utile rivolgersi ad un fisioterapista esperto nel trattare pazienti osteoporotici. Si dovrebbero prendere precauzioni contro le cadute. La terapia farmacologica è mirata a prevenire un'ulteriore perdita ossea e a ridurre le possibilitàdi future fratture.
Tanto l'assunzione dietetica di calcio quanto l'assorbimento intestinale di calcio frazionato diminuiscono con l'eta'. Molte donne in post-menopausa consumano meno di 500 mg/die di calcio, quantitàdi gran lunga inferiore alla razione dietetica consigliata (recommended dietary allowance, RDA) negli Stati Uniti, pari a 1.000-1.500 mg/die. Sembra che il calcio ritardi, ma non arresti, la perdita di osso corticale dall'avambraccio nelle donne nei primi anni di menopausa. Gran parte degli studi non è riuscita a dimostrare un ef-fetto protettivo del calcio contro la perdita ossea vertebrale nelle donne all'inizio della menopausa. La terapia con calcio sembra piu' efficace nell'arrestare la perdita ossea nelle donne in menopausa avanzata, sebbene alcuni studi indichino che la somministrazione di calcio non arresta completamente la perdita ossea. La maggior parte degli esperti raccomanda che le donne in post-menopausa assumano da 1.000 a 1.500 mg/die di calcio con la dieta o con supplementi. Poichè il calcio può aumentare il picco di massa ossea, negli Stati Uniti la dose dietetica quotidiana raccomandata per gli adolescenti e i giovani adulti è di 1.200-1.500 mg/die. I supplementi di calcio dovrebbero essere assunti in gran parte con i pasti, sebbene il calcio citrato possa essere assunto a stomaco vuoto. Dal punto di vista clinico, è difficile dimostrare importanti differenze tra le varie forme di supplemento di calcio.
La vitamina D è importante per l'assorbimento del calcio dal tratto
gastrointestinale. Sebbene sia comune, una carenza di vitamina D è raramente
diagnosticata. Uno studio ha riportato che metàdei pazienti ricoverati ha
un'ipovitaminosi D. A causa di una scarsa assunzione di vitamina D, di
un'insufficiente esposizione alla luce solare e di una ridotta capacitàdi
sintetizzare la vitamina D nella cute, gli anziani sono a rischio di carenza di
vitamina D. La carenza di vitamina D può portare a un iperparatiroidismo
secondario e a una perdita ossea accelerata. Piccole dosi di vitamina D (800 UI/die)
piu' calcio fosfato riducono l'incidenza di fratture dell'anca e di altre
frattu-re non vertebrali negli anziani di ambo i sessi. Poichè non sono stati
segnalati effetti tossici con tali dosaggi di vitamina D, questa terapia può
essere raccomandata praticamente a tutte le donne in post-menopausa. L'apporto
giornaliero di vitamina D attualmente raccomandato è di 200 UI per adulti da 19
a 50 anni d'eta', di 400 UI per adulti da 51 a 70 anni d'etàe di 600 UI per gli
ultrasettantenni. Comunque, alcuni esperti raccomandano che tutti gli adulti
consumino 800 UI/die di vitamina D. L'uso dell'1,25-(OH)2D come terapia per
l'osteoporosi post-menopausale è piu' controverso. Sebbene dei ricercatori
abbiano riportato che 0,5 mg/die di l,25-(OH)2D piu' calcio preservano la massa
ossea vertebrale e riducono il tasso di fratture, non è chiaro se la terapia con
l,25-(OH)2D sia superiore al trattamento con dosi fisiologiche di vitamina D.
Poichè l'indice terapeutico della terapia con l,25-(OH)2D è basso, è probabile
che l'uso di queste agente debba essere ri-servato a pazienti non candidati ad
altre forme di terapia farmacologica.
I bisfosfonati inibiscono il riassorbimento osseo osteocla-stico e sono un'importante forma di terapia per l'osteoporosi. Sino agli anni '90, l'unico bisfosfonato disponibile per somministrazione orale negli Stati Uniti era l'etidronato, sebbene non sia stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dell'osteoporosi. Studi prospettici hanno dimostrato che l'etidronato somministrato ciclicamente aumenta leggermente la densitàminerale dell'osso vertebrale e riduce l'incidenza di fratture ver-tebrali in donne in menopausa avanzata alle quali era stato somministrato per 2 o 3 anni. Non è chiaro quale sia l'effetto sul tasso di fratture di una terapia con etidronato protratta per piu' di 2 o 3 anni. L'etidronato previene anche la perdita ossea nelle donne in menopausa iniziale. La dose piu' comune di etidronato è di 400 mg/die per le prime 2 settimane di ogni periodo di 3 mesi. Per assicurane un adeguato assorbi-mento, il farmaco dovrebbe essere assunto a stomaco vuoto. L'alendronato, un bisfosfonato di seconda generazione molto piu' potente dell'etidronato, è approvato dalla FDA sia per prevenzione che per il trattamento dell'osteoporosi postmenopausale. In donne con fratture vertebrali preesistenti, la terapia con alendronato incrementa la densitàos-sea del rachide e delle anche e riduce i rischi di fratture vertebrali e non vertebrali. L'alendronato riduce il rischio di fratture vertebrali anche in donne che non hanno fratture vertebrali preesistenti. La dose raccomandata di alendronato è di 10 mg/die. L'alendronato deve essere assunto la mattina a digiuno insieme a 250 mi di acqua e le pazienti dovrebbero rimanere in piedi e a digiuno per almeno 30 minuti dopo averlo ingerito. L'esofagite è un effetto colla-terale potenzialmente grave. Modulatori selettivi del recettore degli estrogeni
La terapia estrogenica sostitutiva, sia orale che transdermica, previene la perdita ossea in donne carenti di estrogeni, indipendentemente da quando la terapia viene iniziata. Sebbene studi caso-controllo suggeriscano che la terapia estrogenica riduca in modo significativo il rischio di fratture dell'avambraccio, delle vertebre, del bacino e dell'anca in donne in post-menopausa, un ampio studio randomizzato controllato non è riuscito a dimostrare una significativa riduzione di fratture cliniche in donne in post-menopausa che ricevevano una terapia ormonale di sostituzione. La dose mi-nima efficace per prevenire la perdita ossea è pari a 0,625 mg/die di estrogeni coniugati, 2 mg/die di estradiolo, 25 (ig/die di etinilestradiolo o 50 mg/die di estrogeni transdermici, sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che dosi minori di estrogeni coniugati (0,3 mg/die) possono prevenire la perdita ossea quando associati ad un sufficiente introito di calcio. Non è stato stabilito quale sia la durata appropriata della terapia estrogenica di sostituzione.
La decisione di prescrivere estrogeni è influenzata da diversi
fattori e deve essere personalizzata. In alcune donne gli estrogeni sono
prescritti per alleviare i sintomi della menopausa. Per altre è inaccettabile
la prospettiva di aderire ad un programma terapeutico che produce una
mestruazione ciclica. Quando somministrata senza associazione pro-gestinica, la
terapia estrogenica sostitutiva aumenta il rischio di carcinoma endometriale.
Quindi, in donne con utero integro, la terapia sostitutiva dovrebbe essere
combinata con un progestinico e somministrata ciclicamente (p. es., da 5 a 10 mg
di medrossiprogesterone acetato per 12-14 giorni ogni mese) o in modo continuo
(p. es., 2,5 mg/die di medrossiprogesterone acetato). Spesso l'ultimo regime
elimina il sanguinamento mestruale dopo un periodo iniziale di 3-6 mesi durante
il quale si possono verificare sanguinamenti irregolari. Alle donne sottoposte
a isterectomia si dovrebbero somministrare quotidianamente i soli estrogeni. La
terapia estrogenica è generalmente controindicata nelle donne con una storia di
cancro endometriale. Il trattamento ormonale sostitutivo aumenta il rischio di
eventi tromboembolici venosi. La relazione tra terapia estrogenica sostitutiva e
carcino-ma mammario o cardiopatia è stata materia di molti studi caso-controllo
e di coorte, ma resta ancora oscura. Numerosi studi indicano che l'uso di
estrogeni in postmenopausa, particolarmente se protratto per piu' di 5-10 anni,
è associato ad un rischio aumentato di carcinoma mammario. Numerosi studi
caso-controllo e di coorte hanno riportato che la terapia estrogenica
sostitutiva riduce del 40-50% circa il rischio di malattia coronarica
importante. Tuttavia, in questi studi non randomizzati non si può escludere un
potenziale errore dovuto alla selezione delle pazienti o ad una sorveglianza
disomogenea. Infatti, il primo ampio studio randomizzato controllato per
valutare gli effetti della terapia estroprogestinica di sostituzione
sull'incidenza di infarto miocardico non fatale o di morte cardiovascolare in
donne in post-menopausa con malattia coronarica accertata non ha rilevato alcuna
differenza complessiva tra donne trattate e donne non trattate. Lo studio
Women's Health Initiative è stato pianificato per verificare se la terapia
ormonale sostitutiva modifichi l'incidenza di eventi cardiovascolari in donne
che non hanno una coronaropatia preesistente: lo studio, interrotto dopo 5,2
anni, ha rilevato che la terapia ormonale sostitutiva aumenta il rischio
coronarico del 29%, di stroke del 41 % e di carcinoma mammario del 26%.
Tutti gli antagonisti attualmente disponibili del recettore degli estrogeni
hanno una certa attivitàestrogeno-simile e pertanto sono stati chiamati
modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (selective estrogen receptor
modulators, SERM). Il tamoxifene, il primo modulatore selettivo del recettore
degli estrogeni di ampio uso clinico, previene la perdita ossea vertebrale,
abbassa i livelli sierici di colesterolo e blocca gli effetti degli estrogeni
sulla mammella nelle donne in post-menopausa, ma induce iperplasia endometriale.
Un altro modulatore selettivo del recettore degli estrogeni, il raloxifene,
previene la perdita ossea post-menopausale e abbassa i livelli di
LDL-colesterolo senza avere alcun effetto sull'endometrio o sulla mammella in
donne in post-meno-pausa iniziale. In donne con osteoporosi post-menopausale
stabilita, il raloxifene riduce il rischio di fratture vertebrali e sembra
ridurre anche l'incidenza dei casi di carcinoma della mammella con positività
del recettore degli estrogeni. Come la terapia ormonale di sostituzione, il
raloxifene incrementa il rischio di eventi tromboembolici venosi. Il raloxifene
è approvato dalla FDA per la prevenzione dell'osteoporosi ed è allo studio per
il trattamento dell'osteoporosi stabilita e per la prevenzione del carcinoma
della mammella.
Le basi molecolari degli effetti differenziati del raloxifene sui tessuti
sensibili agli estrogeni sono ragionevolmente ben comprese. Sia gli estrogeni
che il raloxifene si legano allo stesso sito del recettore degli estrogeni.
Quando l'estrogeno si lega al suòrecettore, il complesso assume una
conformazione che consente il legame di specifiche proteine che fun-gono da
coattivatori. Quando il raloxifene si lega al recettore degli estrogeni,
tuttavia, il recettore si ripiega in modo da prevenire il legame di queste
proteine e può reclutare i legami di altre proteine che agiscono come
corepressori. Un'espressione differenziata nei tessuti di queste proteine agenti
come coattivatori e corepressori può essere implicata negli effetti
tessuto-specifici del raloxifene e degli estrogeni.
La calcitonina è un peptide di 32 aminoacidi prodotto dal-le cellule C della
tiroide. Gli osteoclasti hanno recettori del-la calcitonina e la calcitonina
inibisce il riassorbimento dell'osso. Gli effetti della calcitonina sulla
perdita ossea nelle donne in post-menopausa iniziale sono stati incostanti.
Nelle donne in post-menopausa avanzata, la calcitonina sembra prevenire la
perdita ossea vertebrale, sebbene prosegua la perdita di osso appendicolare.
L'effetto della terapia calcitoninica sul tasso di fratture da osteoporosi non
è stato ancora ben studiato, sebbene una ricerca faccia ritenere che possa
leggermente ridurre il rischio di fratture vertebrali. La calcitonina è
approvata dalla FDA per il trattamento di donne con osteoporosi post-menopausale
stabilita ed è disponibile per l'uso sia parenterale che intranasale. La dose
raccomandata è di 100 UI/die per via sottocutanea o di 200 UI/die per via
intranasale, somministrata con adeguate quantitàdi calcio e vitamina D. Effetti
collaterali come nausea e fenomeni vaso-motori sono comuni nelle pazienti
trattate con calcitonina per via parenterale, ma sono rari in caso di
somministrazione sottocutanea. In pazienti occasionali, la calcitonina può avere
un effetto analgesico. Pertanto, può essere particolarmente utile in pazienti
con osteoporosi che lamentano dolore cronico dovuto a fratture o deformità
scheletriche.
Numerosi agenti terapeutici sono attualmente sottoposti a sperimentazioni
cliniche. E ben noto come il fluoruro di so-dio incrementi la densitàdell'osso
vertebrale. Tuttavia, una classica formulazione terapeutica con fluoruro di
sodio non è riuscita a ridurre il rischio di fratture vertebrali ed ha in realtà
aumentato l'incidenza di fratture dello scheletro appendicolare. Dosaggi
inferiori di una formulazione a lento rilascio di fluoruro di sodio possono
incrementare la densitàossea vertebrale senza accelerare la perdita ossea
corticale e sembrano ridurre l'incidenza di fratture vertebrali.
L'ormone paratiroideo, quando somministrato a intermittenza e a bassi dosaggi,
è un potente stimolatore dell'o-steoformazione osteoblastica. Uno studio ha
dimostrato che il PTH previene la perdita ossea in donne giovani con grave
carenza di estrogeni. Inoltre, il PTH incrementa la densitàossea in donne con
osteoporosi post-menopausale in terapia estrogenica. Attualmente sono allo
studio altri agenti anabolizzanti dell'osso.